Un team di ricercatori dello UTHealth Houston ha scoperto il meccanismo molecolare che spiega perché un infarto può variare per gravità a seconda dell’ora del giorno, con attacchi mattutini che provocano danni più significativi. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature, aprono potenzialmente la strada a trattamenti innovativi che si allineano con il ritmo circadiano.
I ricercatori hanno identificato un’interazione tra due proteine, BMAL1 e HIF2A, come fattore chiave alla base delle differenze nell’ora del giorno nella gravità del danno cardiaco a seguito di un infarto. La prima è una proteina fondamentale del ritmo circadiano, responsabile della regolazione di processi biologici come i cicli sonno-veglia, il metabolismo e il rilascio di ormoni. la seconda aiuta il corpo ad adattarsi all’ipossia (bassi livelli di ossigeno), stimolando la produzione di globuli rossi, promuovendo la crescita di nuovi vasi sanguigni e migliorando la sopravvivenza cellulare in condizioni di basso ossigeno.
Un infarto si verifica quando il flusso sanguigno al cuore è bloccato e il muscolo inizia a morire per mancanza di ossigeno. I ricercatori hanno scoperto che questa interazione tra BMAL1 e HIF2A regola il modo in cui le cellule cardiache nei topi rispondevano a bassi livelli di ossigeno dopo un infarto, modulando la risposta del cuore alle lesioni.
Dallo studio preclinico è emerso che un infarto intorno alle 3 del mattino provoca danni maggiori al cuore. Gli attacchi cardiaci che si sono verificati alle 15 sono stati invece meno gravi: il cuore è in grado di adattarsi meglio ai bassi livelli di ossigeno e promuovere una guarigione efficiente.
La ricerca ha anche rivelato che le proteine BMAL1 e HIF2A hanno come bersaglio un gene specifico, l’amphiregulin (AREG), che svolge un ruolo vitale nella regolazione dell’entità del danno cardiaco durante il giorno. Prendendo di mira il percorso BMAL1 e HIF2A-AREG con i farmaci si potrebbe fornire una protezione significativa al cuore, soprattutto quando i trattamenti sono stati programmati per allinearsi con la fase circadiana del corpo.
“Questa scoperta apre nuove strade per il trattamento degli attacchi cardiaci, considerando i tempi di somministrazione dei farmaci”, spiega Holger Eltzschig, autore senior, presidente e professore del dipartimento di Anestesiologia, terapia intensiva e medicina del dolore alla McGovern Medical School dell’UTHealth Houston.
E aggiunge: “I nostri risultati evidenziano il potenziale di utilizzare farmaci mirati verso quelle proteine per ridurre la gravità degli attacchi cardiaci quando somministrati in momenti specifici. Allo stesso modo i pazienti sottoposti a cardiochirurgia possono trarre beneficio da tali farmaci, come l’attivatore del fattore inducibile dall’ipossia vadadustat, se somministrato prima dell’operazione”.
I futuri studi clinici dovranno valutare se l’allineamento dei trattamenti con l’orologio interno del corpo può migliorare i risultati per i pazienti.
Full text dell’articolo pubblicato su Nature
Redazione Nurse Times
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