Ogni giorno, in reparto, il tempo si spezza in mille frammenti: un allarme, un prelievo, una consegna, un’emergenza. È difficile descrivere cosa significhi davvero il tempo per un infermiere ospedaliero. Non basta dire che è poco. Il punto è che non basta mai.
Ma cosa accadrebbe se smettessimo di rincorrerlo e cominciassimo a gestirlo davvero? Questa domanda è al centro di una riflessione profonda, che parte da un’osservazione: la gestione del tempo non è un lusso organizzativo, ma un atto di cura. E l’infermiere, oggi più che mai, deve saperci fare i conti.
L’arte sottile di scegliere cosa viene prima
Definire le priorità. Un verbo che in reparto si coniuga con il battito cardiaco di un paziente, con il dolore che non aspetta, con la terapia da somministrare senza ritardi. Waterworth parlava già nel 2003 di questa abilità come di una “competenza di sopravvivenza”. Non solo per il paziente, ma per l’operatore stesso. Perché se tutto è urgente, nulla lo è davvero. E un infermiere che non sa decidere cosa viene prima rischia di perdere sé stesso in un caos operativo che logora e svuota.
Routine non è rigidità
Costruire una routine non significa perdere flessibilità. Significa avere una bussola dentro il turbinio del reparto. Una sequenza, anche mentale, di azioni che orienta, protegge, libera energia per ciò che imprevisto lo sarà sempre. È una forma di cura verso se stessi: una mappa per non smarrirsi. E per chi è alle prime armi una routine è spesso l’unica ancora possibile: checklist, schemi, osservazione dei colleghi più esperti diventano strumenti per non affondare nei primi mesi in corsia.
Delegare non è mollare
Tra i tabù più silenziosi c’è quello della delegazione. Ancora oggi molti infermieri – soprattutto giovani – esitano a delegare, per timore di sembrare incompetenti o di perdere controllo. Ma come insegna Anderson (2018), delegare bene è un atto di responsabilità e consapevolezza. Significa riconoscere le competenze dell’altro, comunicare con chiarezza, mantenere una supervisione efficace. Un turno ben delegato è un turno che respira.
Difendere il tempo… e la relazione
Ogni interruzione è un bisturi invisibile che taglia la nostra concentrazione. Telefonate, domande, suoni, urgenze vere o presunte: in corsia si lavora dentro un overload comunicativo costante. Eppure non tutto può essere urgente. Imparare a dire “non adesso”, creare momenti protetti per le attività critiche (come la terapia o la documentazione), significa proteggere non solo la propria performance, ma la sicurezza stessa del paziente. E forse anche quella sottile linea rossa che separa il lavoro dalla frustrazione.
La tecnologia serve… se non ci complica
Checklist digitali, SBAR, tracciamenti elettronici, app di supporto: la tecnologia può essere un grande alleato del time management. Ma solo se è pensata con e per l’infermiere, non imposta dall’alto senza formazione. Il rischio? Che lo strumento nato per aiutare diventi l’ennesima fonte di pressione. Il supporto digitale ha senso solo se libera tempo per il paziente, non se lo sottrae.
Una riflessione che interroga tutti
Questa revisione – realizzata da uno studente infermiere, ma con profondità da professionista navigato – ci mostra qualcosa di importante: la gestione del tempo è una competenza che merita spazio nei percorsi formativi, non può essere appresa solo per imitazione o per stanchezza. È tempo che il tempo entri nei corsi di laurea, nei percorsi Ecm, nei colloqui di reparto. Non solo come calcolo di ore, ma come scelta etica, organizzativa e clinica.
Una domanda per chi legge
Abbiamo strumenti, conoscenze, strategie. Ma siamo pronti davvero a dire che prendersi cura del proprio tempo è parte integrante del prendersi cura del paziente? O continueremo a considerarlo un problema individuale, finché l’affanno non ci farà dimenticare il perché abbiamo scelto di indossare questa divisa?
Guido Gabriele Antonio e Alessandro Foggetti
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