Napoli, lunedì 24 giugno 2024 – Una tempesta elettrica nel cervello che attraversa i circuiti neurali facendo attivare migliaia di cellule contemporaneamente, ecco cosa accade durante una crisi epilettica. Quando tutto ciò è accompagnato da convulsioni si parla di epilessia.
Una malattia neurologica che nei Paesi industrializzati interessa mediamente 1 persona su 100, ma che colpisce prevalentemente i bambini: nel 60% dei casi la malattia insorge, infatti, prima della pubertà, entro i 13-14 anni, con possibili conseguenze negative sullo sviluppo psicomotorio e ricadute sul piano sociale. Nonostante ciò, il trattamento delle epilessie in età pediatrica è ostacolato dalla bassa specificità delle terapie disponibili. Sebbene gran parte delle epilessie non presentino né una specifica causa né una chiara trasmissione ereditaria, in circa il 40% dei casi è possibile identificare una chiara origine genetica, ovvero la presenza di varianti in geni direttamente correlati alla funzione cerebrale.
“Storicamente, gli studi di efficacia dei farmaci contro le convulsioni sono stati condotti sugli adulti e, solo in un secondo momento e non in modo sistematico, su soggetti in età pediatrica. Il giudizio di efficacia nel bambino è quindi prodotto, in modo assai indiretto, tramite un processo deduttivo derivante da studi sugli adulti, inevitabilmente condotti su popolazioni con forme di epilessia scarsamente paragonabili a quelle tipiche dell’età infantile– sottolinea Maurizio Taglialatela, ordinario di Farmacologia dell’Università “Federico II” di Napoli e coordinatore dello Spoke 3 -. Uno degli obiettivi che si pone lo Spoke 3 di MNESYS dedicato a “Omeostasi neuronale e interazione cervello-ambiente” è quindi proprio quello di andare a studiare i meccanismi responsabili dell’epilessia e di comprendere come questi possano offrire nuove opportunità di trattamento per l’epilessia pediatrica”.
A tal proposito, il lavoro De novo variants in KCNA3 cause developmental and epileptic encephalopathy, pubblicato su Annals of Neurology a novembre 2023.
Frutto di una collaborazione multidisciplinare tra ricercatori italiani, tedeschi, olandesi, inglesi, statunitensi e australiani e coordinato dai gruppi di Maurizio Taglialatela e di Johannes Lemke dell’Università di Lipsia, si è concentrato sulla genetica delle encefalopatie epilettiche e dello sviluppo in età pediatrica e ha individuato come variazioni nel gene dei canali del potassio KCNA3, proteine della membrana cellulare, possano causare queste patologie.
“Per fare ciò sono stati selezionati individui portatori di una variante del KCNA3 e l’86% dei quali ha manifestato encefalopatie epilettiche e dello sviluppo con marcato ritardo del linguaggio con o senza ritardo motorio, disabilità intellettiva, epilessia e disturbo dello spettro autistico.
Lo studio ha inoltre mostrato che il farmaco antidepressivo fluoxetina potrebbe rappresentare un potenziale trattamento mirato per gli individui portatori di alcune varianti di KCNA3”, spiega Taglialatela.
Anche la ricerca Identification of an epilepsy-linked gut microbiota signature in a pediatric rat model of acquired epilepsy pubblicata su Neurobiology of Disease a marzo 2024, condotta in collaborazione tra i gruppi coordinati da Pasquale Striano dell’Università di Genova e dell’IRCCS Gaslini di Genova e di Teresa Ravizza dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, ha studiato la connessione tra microbiota intestinale e cervello come potenziale meccanismo causale nell’epilessia acquisita.
“È stato indotto uno stato epilettico in modelli animali ed è stata monitorata la presenza di crisi spontanee 5 mesi dopo l’episodio iniziale. Il 56% ha sviluppato epilessia e, a un confronto con le cavie che non hanno mostrato crisi e con quelli del gruppo di controllo, sono state riscontrate alterazioni strutturali, cellulari e molecolari che riflettono un intestino disfunzionale, specificamente associato all’epilessia – riferisce Ravizza dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, tra gli autori dello studio -. Lo studio fornisce, quindi, nuove prove di alterazioni intestinali a lungo termine, insieme a cambiamenti metabolici legati al microbiota, che si verificano specificamente nei ratti che sviluppano epilessia dopo una lesione cerebrale all’inizio della propria vita”.
STUDIO MNESYS APRE NUOVE SPERANZE PER IL GLIOBLASTOMA: PROMETTENTE MIX DI CURA BLOCCA LA CRESCITA DELLE CELLULE TUMORALI
Lo Spoke 3 si è inoltre occupato della ricerca di un nuovo approccio farmacologico per il trattamento del glioblastoma, il più aggressivo tra i tumori cerebrali e ancora incurabile. “Nonostante i progressi scientifici degli ultimi anni nella caratterizzazione e classificazione di queste neoplasie, le “armi” terapeutiche a disposizione dei medici sono ancora poche e spesso inefficaci e il glioblastoma rimane ad oggi un tumore cerebrale incurabile, con un tempo di sopravvivenza mediano basso, pari a 15 mesi”, ricorda Lorenzo Chiariotti, professore di Patologia Generale presso l’Università “Federico II” di Napoli.
I ricercatori guidati da Chiariotti stanno però facendo dei passi avanti nello studio di questo tumore. Nel lavoro Targeted inhibition of the methyltransferase SETD8 synergizes with the Wee1 inhibitor adavosertib in restraining glioblastoma growth, uscito a settembre 2023 su Cell Death & Disease, sono riusciti infatti a rilevare che in più della metà dei glioblastomi analizzati è maggiormente espresso, rispetto al normale tessuto cerebrale, un particolare enzima: la lisina metiltransferasi SETD8. “Abbiamo trattato cellule di glioblastoma con UNC0379, un inibitore specifico di SETD8, e notato che si riduceva la proliferazione delle cellule maligne – spiegaChiariotti –.
Siamo poi riusciti a dimostrare che la combinazione dell’inibitore di SETD8 con un farmaco antitumorale sperimentale, l’Adavosertib, induce la morte delle cellule di glioblastoma.
Gli esperimenti sono stati condotti anche sui modelli murini, nei quali cellule di glioblastoma sono state impiantate nel fianco degli animali e il risultato è stato confermato: l’associazione UNC0379-Adavosertib blocca la crescita di cellule di glioblastoma anche in modelli animali. E non è tutto.
Le caratteristiche chimico-fisiche di UNC0379 fanno pensare che il farmaco sia in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, cioè la struttura funzionale interposta fra sangue e tessuto nervoso, che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche da e verso il cervello, proteggendo il sistema nervoso da avvelenamenti e intossicazioni. Sono attualmente in corso studi tesi a dimostrare la permeabilità di UNC0379 attraverso la barriera in modelli murini. La prova formale in vivo della capacità del farmaco di raggiungere il cervello è, infatti, condizione necessaria per poter, eventualmente, dare il via a studi clinici sull’uomo”.
Redazione Nurse Times
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