Il presidente della Commissione Finanze del Senato punta sull’orientamento scolastico anziché sul rilancio della professione infermieristica
La recente intervista rilasciata da Massimo Garavaglia (Lega), presidente della Commissione Finanze del Senato implicato nella manovra economica, ha scatenato reazioni contrastanti nel mondo della sanità. In un contesto in cui le carenze di infermieri e personale sanitario sono ormai quotidiane notizie, il politico ha avanzato proposte che molti denunciano come semplificatrici e pericolose per la qualità dell’assistenza.
Nel testo che segue, analizziamo le sue affermazioni, la replica della FNOPI e le implicazioni sul sistema sanitario nazionale, con dati e riflessioni per il pubblico informato.
Le affermazioni di Garavaglia
Secondo Garavaglia, la crisi degli infermieri non sarebbe dovuta a salari insufficienti o carenza di investimenti strutturali, bensì a “un percorso formativo troppo lungo e poco attrattivo”. Nella sua visione, l’Italia dovrebbe formare infermieri fin dal liceo, attraverso un “liceo infermieristico abilitante”, piuttosto che “importare personale estero che non conosce il sistema sanitario”.
«Se formiamo gli infermieri con un percorso quasi pari a quello dei medici, è ovvio che molti preferiranno diventare medici», afferma Garavaglia, sostenendo quindi che il percorso universitario dissuada molto giovani.
Riguardo agli aumenti delle indennità al personale sanitario previsti dalla manovra, il ministro rimanda ogni commento finché non sarà noto il testo ufficiale:
«Non ho mai compreso la prassi di fare calcoli sul nulla, senza un documento ufficiale da analizzare».
Queste dichiarazioni hanno scatenato reazioni da parte di politici e delle rappresentanze professionali.
Affermare che la carenza di infermieri sia principalmente causata da un percorso formativo “troppo lungo” e proporre come soluzione un “liceo infermieristico abilitante” non è solo una semplificazione intellettualmente scorretta, è un grave affronto alla complessità e al valore della professione infermieristica.
Quando si parla di assistenza, di cura e di sicurezza dei pazienti non si può ridurre tutto a slogan o a scorciatoie ideologiche. Le competenze che un infermiere esercita ogni giorno — dalla valutazione clinica alla somministrazione di terapie, dalla gestione delle emergenze al supporto alla continuità assistenziale — sono il prodotto di studi universitari, di pratiche cliniche guidate e di aggiornamenti costanti: proposte che mirino a comprimere o banalizzare questo percorso rischiano di compromettere la qualità dell’assistenza e la tutela della salute pubblica.
È comprensibile che il tema delle assunzioni e delle carenze trovi spazio nell’agenda pubblica: la manovra varata la scorsa settimana da Palazzo Chigi, le indicazioni sulla stabilizzazione e gli annunci relativi all’incremento delle risorse destinate al personale sanitario sono notizie che la comunità segue con attenzione.
Tuttavia, rinviare ogni valutazione sugli aumenti delle indennità “all’uscita del testo definitivo” è un invito alla prudenza che non può diventare alibi per proporre rimedi affrettati. Il punto non è soltanto quanti infermieri si intendono reclutare — si è parlato di 6.300 infermieri e 1.000 medici, a fronte di promesse precedenti che citavano cifre diverse — ma come si intende valorizzare la professione nel suo complesso, rendendola attrattiva, sicura e dignitosa.
La replica della Fnopi
La replica della FNOPI, che richiama l’attenzione sul ruolo centrale dell’Università e delle specializzazioni, non è un esercizio corporativo: è una difesa della qualità dell’assistenza e della sicurezza dei cittadini. Pensare di formare professionalità complesse attraverso percorsi scolastici abbreviati ignorerebbe il patrimonio di conoscenze scientifiche, cliniche e deontologiche che caratterizza l’infermieristica moderna.
Gli infermieri non chiediamo privilegi, chiedono che venga riconosciuto il valore del sapere, dell’esperienza e della responsabilità che ogni professionista assume entrando in corsia. Pretendere il contrario significa mandare segnali pericolosi alle giovani generazioni, che meritano prospettive di carriera chiare e rispettose, non scelte che rischiano di creare classi professionali gerarchizzate al ribasso.
È poi ingenuo contrapporre formazione nazionale e reclutamento internazionale come se fossero alternative inconciliabili. L’esperienza dimostra che una politica sanitaria ben progettata può coniugare formazione domestica di qualità e percorsi di integrazione per professionisti stranieri altamente qualificati. Quello che non possiamo accettare è la retorica per cui l’unica via d’uscita sia abbassare il livello formativo o chiudersi in un nazionalismo di comodo, ignorando che il Sistema sanitario nazionale si arricchisce con competenze diverse quando queste sono adeguatamente riconosciute e integrate.
Criticare la proposta non equivale a rifiutare il confronto sulle soluzioni concrete. Al contrario, è necessario che il dibattito pubblico si concentri su interventi strutturali: migliorare le condizioni contrattuali, aumentare i posti di studio con borse adeguate, pianificare percorsi di carriera e specializzazione che offrano prospettive reali, potenziare la formazione continua e la ricerca infermieristica. Sono queste le leve in grado di rendere la professione attrattiva e sostenibile nel tempo, non scorciatoie che banalizzano il sapere e la responsabilità clinica.
Rimarcare la necessità di attendere il testo definitivo della manovra per valutare gli aumenti delle indennità non deve però trasformarsi in un’impasse amministrativa.
Le organizzazioni professionali, gli enti di formazione e le istituzioni sanitarie devono essere coinvolti subito in un confronto costruttivo e trasparente, per tradurre le risorse annunciate in misure efficaci, misurabili e orientate alla qualità dell’assistenza. Ogni cambiamento che riguardi la formazione e l’organizzazione del lavoro infermieristico richiede analisi di impatto, standard formativi chiari e garanzie sulle competenze richieste.
In conclusione, le parole che sviliscono un percorso professionale fondamentale per la salute pubblica non vanno sottovalutate: esse rischiano di orientare scelte politiche sbagliate e di alimentare frustrazione in migliaia di professionisti che quotidianamente tutelano la vita dei cittadini.
Serve responsabilità, dati, programmi e rispetto per la complessità della sanità. Solo così si potranno trasformare le emergenze in progetti di investimento reale sulla formazione, sulla qualità dell’assistenza e sulla dignità delle professioni sanitarie. Continueremo a seguire gli sviluppi della manovra e gli aggiornamenti ufficiali, mantenendo alta l’attenzione e il confronto con chi ha la responsabilità di decidere, perché la salute pubblica non è materia di slogan ma di scelte consapevoli.
Redazione NurseTimes
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