Estimated reading time: 5 minuti
Finalmente è arrivato.
Dopo mesi di attese, bozze, riunioni, sospiri e comunicati stampa più entusiasti di un bollettino di guerra, è stato firmato il nuovo CCNL Sanità 2025.
Un momento solenne: penne che scorrono, mani che si stringono, e un coro di “è un passo avanti importante” riecheggia ovunque.
Il contratto è servito.
E come ogni volta che qualcosa si firma in sanità, il Paese si divide: chi esulta, chi critica, chi non ha letto nemmeno una riga ma ha già un’opinione fortissima. Insomma, un classico tutto italiano.
La firma che (forse) non cambia tutto, ma almeno muove qualcosa
Gli aumenti? 172 euro lordi.
Gli arretrati? Circa 1.200 euro medi.
Nulla di miracoloso, certo, ma nemmeno il solito pugno di mosche. Un contratto che non farà gridare al trionfo, ma che — finalmente — ha riportato in moto la macchina negoziale.
E qui vale la pena precisare una cosa che spesso sfugge: chi ha firmato questo contratto si è garantito un posto al tavolo di quello che conta davvero — la contrattazione decentrata.
Quella dove si decide come ripartire i fondi, dove si definiscono i premi, dove si stabilisce quanta parte di quei fondi potranno diventare qualcosa di più concreto nella vita reale. Una decisione non priva di compromessi, certo, ma che ha permesso alla trattativa di non arenarsi — e di evitare che il contratto restasse sulla carta dei sogni (o delle polemiche).
Chi brinda, chi sbraita, e chi semplicemente torna in turno
I sindacati firmatari — Cisl, Fials, Nursind e Nursing Up — parlano di “contratto di equilibrio e responsabilità”.
I non firmatari — Cgil e Uil — lo definiscono “insufficiente e penalizzante”.
La realtà?
È che, come sempre, il turno di notte lo coprono comunque gli infermieri, indipendentemente da chi ha brindato o da chi ha sbattuto la porta.
Il vero spettacolo non è la firma, ma il dopo. Da un lato le conferenze stampa con le parole “storico”, “concreto”, “meritato”. Dall’altro, i comunicati indignati, le accuse di “svendita della categoria”, e la promessa dell’ennesimo “noi non ci stiamo”.
E in mezzo, i lavoratori veri — che si limitano a chiedere: “Ok, ma da domani, cambia qualcosa nei reparti?”
Un contratto che almeno restituisce un orizzonte
A guardarlo bene, questo CCNL non è né un miracolo né un disastro. È una di quelle riforme che non ti fanno saltare di gioia, ma nemmeno ti fanno venire voglia di scappare all’estero (almeno non subito).
Dentro ci sono piccole conquiste — il riconoscimento delle figure di “Infermiere Esperto” e “Specialista”, la formazione come orario di servizio, più tutele per chi subisce aggressioni — e un messaggio implicito: non si cresce se si resta fermi.
Criticare è facile, ma mantenere un equilibrio tra ideali e realtà — quello sì, è un mestiere da equilibristi.
Chi ha firmato ha scelto la strada più impopolare: quella di dire “intanto portiamo a casa qualcosa, poi discutiamo del resto”.
Una filosofia che in sanità conosciamo bene: lo stesso principio con cui ogni giorno si cura il possibile, in attesa di tempi migliori.
Il paradosso italiano della contrattazione eterna
Ogni tre anni lo stesso copione: si firma, si divide, si riparte.
E il bello è che, mentre ancora si discute di questo contratto, si prepara già il tavolo per il prossimo.
Una rotazione perfetta, quasi zen, che garantisce a tutti un ruolo: chi firma resta dentro, chi non firma resta contro, e chi lavora resta in servizio.
È la democrazia sindacale, bellezza: non perfetta, ma necessaria.
Perché anche il dissenso, se espresso con intelligenza, serve a spingere in avanti il sistema.
Ma serve anche chi, pur tra mille critiche, ha il coraggio di firmare — e di assumersi la responsabilità di far partire qualcosa, invece di aspettare che tutto sia perfetto per non partire mai.
Conclusione: tutti felici, nessuno contento (ma un po’ più vivi)
Alla fine, questo contratto non fa miracoli, ma rompe un immobilismo che durava da troppo.
Fa discutere, divide, irrita… ma almeno riporta la sanità pubblica nel suo naturale stato vitale: in movimento. E se la perfezione non è arrivata, almeno qualcosa si è mosso.
Un po’ come quando si riesce finalmente a liberare una vena ostinata: non è ancora la guarigione, ma è il segno che il sangue torna a circolare.
E allora, la domanda che resta — pungente ma sincera — è questa:
Meglio un contratto imperfetto che apre la strada, o un ideale perfetto che resta chiuso nel cassetto?
Guido Gabriele Antonio
Articoli correlati
- Rinnovo Ccnl 2022-2024, Fials: “Abbiamo firmato per responsabilità, non per soddisfazione”
- Ccnl Sanità 2022-2024, Naddeo (Aran): “La firma è frutto di un confronto costante”
- CCNL Sanità 2022-2024 firmato: le dichiarazioni di Nursing Up, Nursind, Fials, Cgil, Cisl e Uil
- Tutte le novità del CCNL Sanità 2022-2024: 172,37 euro per tredici mensilità e arretrati medi attorno ai 1.200 euro
- Unisciti a noi su Telegram https://t.me/NurseTimes_Channel
- Scopri come guadagnare pubblicando la tua tesi di laurea su NurseTimes
- Il progetto NEXT si rinnova e diventa NEXT 2.0: pubblichiamo i questionari e le vostre tesi
- Carica la tua tesi di laurea: tesi.nursetimes.org
- Carica il tuo questionario: https://tesi.nursetimes.org/questionari
Riparto dalla similitudine della vena ostinata, non ancora guarita ma liberata.
Il problema è che qui non si tratta di una vena ostinata, ma di una cancrena ormai.
Da troppi, troppi anni al Comparto Sanità non vengono date le giuste risorse e se neppure lo shock del Covid è riuscito a smuovere le cose, il futuro io ormai lo vedo grigio.
Se poi a questo si aggiunge anche che certe sigle sindacali si accontentano e firmano sempre contratti al ribasso, la cosa non può far altro che peggiorare. E l’effetto è sotto gli occhi di tutti: servizi scadenti, personale che fugge e va nel privato, orari massacranti, …
Oltretutto, è pure avvilente per i lavoratori vedere certe sigle sindacali essere felici solo perché ‘qualcosa si muove’, solo perché il Contratto in fin dei conti è stato firmato. Come se bastasse solo fatto di averlo firmarlo, anche se poi dentro c’è ben poco.
È un po’ come vedere un’automobile in una concessionaria e dire “non mi piace granché, consuma tanto, è cara, però la compro!”….
Alla domanda finale “Meglio un contratto imperfetto o un ideale perfetto che resta chiuso nel cassetto?” risponderei citando una famosa canzone di Ligabue: “chi s’accontenta gode, così così” ……….
Ha proprio ragione. Ci vuole coraggio a firmare. Sì, ma proprio un bel coraggio e soprattutto un bel pelo sullo stomaco per approvare questo schifo di contratto!
“intanto portiamo a casa qualcosa, poi discutiamo del resto […] in attesa di tempi migliori”.
il problema è proprio questo: intanto noi lavoratori possiamo anche accontentarci di questo contratto mediocre in attesa di uno migliore, ma il fatto è che il prossimo che firmerete sarà ancora simile a questo, e così via per i futuri!
Forse è proprio per questo motivo che certe sigle sindacali si sono messe di traverso per dire ‘basta’.
No?
INFERMIERI ! ANDATE A LAVORARE ALL’ESTERO O NEL PRIVATO ! IL SSN LO STANNO UCCIDENDO !