La Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni della sentenza di ergastolo a Fausta Bonino, l’infermiera condannata in via definitiva per per aver ucciso quattro pazienti dell’ospedale Villamarina di Piombino (Livorno) con dosi letali di eparina tra il settembre 2014 e il settembre 2015. “Non c’è più spazio per il dubbio”, si legge nelle motivazioni di un provvedimento che ha archiviato oltre dieci anni di indagini e processi.
Centrale il tema dell’assenza di un chiaro movente. Nel diritto penale, Come spiegano i giudici, il movente non è condizione necessaria per affermare la responsabilità, se altri elementi sono sufficientemente solidi. Soprattutto se si tratta di un processo fondato su indizi. In particolare, nel caso Bonino “gli elementi concreti emersi e valutati non conducono a una conclusione certa sull’individuazione di un chiaro movente”, ma “la mancanza di un movente non porta automaticamente all’esclusione della responsabilità, poiché la logica indiziaria si fonda su una coerenza interna tra tutti gli elementi raccolti”.
Anche in assenza di un movente definitivo, la Corte di Cassazione ha sottolineato alcuni elementi che descrivono un profilo personale disturbato: depressione mal curata, tensioni familiari nascoste, crisi epilettiche, disagio sul lavoro, tendenza alla menzogna e un atteggiamento distaccato di fronte ai decessi in corsia. Respinta la richiesta del legale di Bonino, Vinicio Nardo, che aveva domandato alla Corte di utilizzare la sentenza assolutoria di primo appello come termine di confronto.
Per i giudici tale pronuncia è stata travolta dall’annullamento, che ha di fatto riportato tutto alla pronuncia di condanna in primo grado. L’appello-bis, uniforme rispetto alle indicazioni della Cassazione, ha ricostruito i fatti in modo coerente rispetto agli elementi probatori. Una “catena di anelli logici” in cui ogni passaggio si salda all’altro: se uno solo viene meno, l’intero impianto crolla. Ma, concludono i giudici, “in questo caso tutti gli anelli tengono”.
Bonino era stata arrestata nel 2016 con l’accusa di 13 omicidi volontari e un tentato omicidio, tutti tra il 2014 e il 2015, all’interno del reparto di terapia intensiva. La morte avveniva per emorragia interna causata da dosi elevate di eparina. Il processo in primo grado, per il quale era stato chiesto il rito abbreviato, aveva portato alla condanna all’ergastolo per quattro casi: Franca Morganti, Mario Coppola, Angelo Ceccanti e Bruno Carletti. Poi l’assoluzione piena in appello, annullata però in Cassazione per una motivazione ritenuta “troppo debole”.
Il secondo appello aveva confermato l’ergastolo e ora il caso si è chiuso in maniera definitiva. Nelle sue motivazioni la Corte di Cassazione ha spiegato che “sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili”.
Redazione Nurse Times
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