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Essere infermieri oggi conviene ancora?

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La domanda che nessuno vuole fare agli studenti

C’è una domanda che durante gli open day universitari non viene mai pronunciata ad alta voce.
Non compare nelle slide patinate, non è nei video motivazionali, non la trovi nei discorsi istituzionali.

È una domanda semplice, quasi imbarazzante: conviene ancora fare l’infermiere?

Non “è una missione”.
Non “è una vocazione”.

Conviene.

Perché l’Infermiere è a tutti gli effetti un Professionista sanitario che fornisce prestazioni intellettuali. E’ Il contesto dove fornisce queste prestazioni ad essere sconveniente.

Ma agli studenti si parla molto di vocazione. È una parola comoda, morbida, rassicurante. Serve a spiegare tutto ciò che non torna.

Turni notturni? Vocazione.
Festività lavorate? Vocazione.
Carichi di lavoro fuori scala? Vocazione.
Stipendi che arrancano? Passione.

La vocazione è diventata una sorta di colla universale: tiene insieme sacrifici, rinunce e silenzi.
Peccato che non paghi l’affitto, non accorci i turni e non riduca il rapporto infermiere-paziente.

La convenienza: un termine volgare?

Parlare di convenienza sembra quasi offensivo, come se fosse incompatibile con la cura.
Eppure gli studenti, giustamente, se lo chiedono.
E se non lo chiedono ad alta voce, lo cercano online, nei gruppi Telegram, nei messaggi privati agli infermieri più grandi.

“Quanto si guadagna davvero?”
“Che vita avrò tra dieci anni?”
“Posso permettermi una famiglia?”
“Riuscirò a lavorare senza bruciarmi?”

Domande normali.
Che però vengono spesso accolte con fastidio, come se fossero una mancanza di rispetto professionale.

Il grande scontro generazionale

Poi arrivano i commenti. Sempre gli stessi.

Da una parte i più giovani: “Io rifarei tutto.”

Dall’altra gli infermieri senior: “Se potessi tornare indietro…”

Due verità che convivono senza parlarsi davvero.
Chi ha iniziato in un’altra in un’altra “epoca” sanitaria (si parla di epoca poiché il cambiamento è netto rispetto agli anni ’90) avrebbe preferito fare altro. Chi entra oggi difende una scelta identitaria.

Non è nostalgia contro disfattismo.
È un cambiamento strutturale che nessuno ha avuto il coraggio di spiegare agli studenti.

L’orientamento sincero che manca

Orientare non significa solo entusiasmare.
Significa anche dire la verità, tutta.

Che il lavoro è bellissimo, sì.
Ma è anche faticoso.
Che le opportunità esistono.
Che la carriera non è automatica.
Che il riconoscimento sociale non è garantito.
Che la stabilità economica richiede compromessi.

Continuare a raccontare solo metà della storia non protegge gli studenti. Li espone a una disillusione precoce.

Essere infermieri oggi può ancora valere la pena.
Ma non può più essere dato per scontato.

Guido Gabriele Antonio

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