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Tamponi falsi in Trentino: come funzionava la “fabbrica” creata dall’infermiere Gabrielle Macinati

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Biella, truffa dei falsi tamponi in farmacia: sospettato un infermiere
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Il “sistema Macinati” per modificare l’esito dei tamponi per il Covid era custodito in un quaderno rosso, in un’agenda fucsia e su più fogli excel in cui gli inquirenti hanno trovato i nomi dei clienti per tipologia di richieste. In un elenco comparivano le persone a cui era stata rilasciata l’attestazione di positività al Covid nonostante il risultato negativo. In un’altra lista figuravano i nominativi del “salta tampone”, ossia di chi chiedeva di falsificare l’esito, e di coloro che concordavano la data dell’inserimento ritardato del test.

Un sistema di corrotti e corruttori, come si legge nelle 96 pagine depositate dal gup Gianmarco Giua con le motivazioni della sentenza. La vicenda del “tamponificio” di Pergine Valsugana (Trento), il laboratorio aperto dall’infermiere Gabrielle Macinati vicino al palazetto dello sport, si è conclusa nel maggio scorso in primo grado con pene complessive per oltre 115 anni.

Erano 92 gli imputati. Di questi, in 72 (tra cui Macinati, la moglie e tre suoi collaboratori) hanno preferito patteggiare: per l’infermiere un anno e cinque mesi, sostituiti con 1.030 ore di lavori di pubblica utilità: per gli altri un anno e quattro mesi. In 20 sono stati invece giudicati con rito abbreviato: cinque assoluzioni e pene che vanno da un anno e quattro mesi fino a undici mesi.

Tre le modalità operative del “sistema Macinati”, che lo stesso infermiere aveva subito chiarito agli inquirenti: “Registrare un tampone negativo come tampone positivo quando il correo voleva risultare ammalato per diventare possessore del green pass; registrare più risultati negativi, saltando i successivi tamponi e così prolungando la durata del green pass; effettuare fittiziamente dei tamponi con esito negativo per conto di datori di lavoro relativamente ai rispettivi dipendenti”.

Il prezzo della corruzione andava dai 50 ai 150 euro, talvolta anche 200. Ben 120mila euro in contanti erano stati sequestrati a Macinati e poi destinati in beneficenza. In una chat tra la moglie dell’infermiere, pure imputata, e un rappresentante delle forze dell’ordine che “prenotava” un test con esito negativo per il turno di lavoro, “emerge con nitidezza la sussistenza di un pactum sceleris volto a eludere il sistema di certificazione rafforzata, presidio della salute pubblica durante la pandemia”.

Come ricostruito dal giudice, “gli imputati hanno preso attivamente e consapevolmente parte a un accordo di natura corruttiva avente ad oggetto il mercimonio della salute pubblica, realizzando la fattispecie della corruzione propria dei pubblici ufficiali chiamati a vigilare sulla corretta esecuzione dei tamponi di positività al Covid e chiamati a eseguire, a tutela della collettività, tali tamponi”.

Sempre secondo il giudice, “non può sostenersi in alcun modo la tesi della inconsapevolezza”. La struttura di Macinati era stata infatti “creata e organizzata con la finalità principale di eludere la normativa in materia”. Tale finalità era “nota a un numero considerevole di soggetti, quasi di pubblico dominio e, certamente, nota agli imputati”.

L’Azienda sanitaria, che solo qualche mese prima aveva autorizzato l’infermiere ad aprire un ambulatorio per i tamponi, aveva rilevato numeri anomali e fatto partire l’indagine. Emerse che dal 1° ottobre al 21 dicembre 2021 Macinati inserì nella piattaforma 33.583 test, di cui solo 91 con esito positivo, mentre in altre strutture simili nello stesso periodo erano stati inseriti da un minimo di 20 a un massimo di 4.650 test.

Dei cinque clienti assolti per mancanza di riscontri concreti, due (i cui nomi, tra l’altro, non erano nei fogli excel) sarebbero finiti nel vortice dell’indagine per “dissapori nati con Macinati e la consorte”, e non per le ragioni che hanno coinvolto gli altri imputati.

Redazione Nurse Times

Fonte

l’Adige.it

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