Per Gabrielle Macinati, sua moglie Debora Angeli, i sui tre collaboratori e gli 87 clienti indagati dai carabinieri le ipotesi di reato sono quelle di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, falso e accesso abusivo a un sistema informatico.
A conclusione dell’inchiesta su un vasto giro d’affari legato a falsi tamponi e falsi Green Pass rafforzati, che nel gennaio scorso portò alla chiusura dei due ambulatori aperti a Pergine Valsugana e a Trento dal 46enne infermiere Gabrielle Macinati, di Civezzano, il gip del Tribunale di Trento, Gianmarco Giua, ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Davide Ognibene per lo stesso Macinati, per sua moglie, Debora Angeli, per i sui tre collaboratori e per gli 87 clienti indagati dai carabinieri. Le ipotesi di reato, a diverso titolo, sono quelle di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, falso e accesso abusivo a un sistema informatico.
Secondo l’accusa, l’infermiere avrebbe ricevuto dai clienti somme comprese tra 200 e 250 euro per ogni attestazione che consentiva di ottenere “test rapidi mendaci”. La Procura di Trento ha ricostruito le motivazioni che avrebbero spinto decine di persone a ricorrere ai suoi servizi. Qualcuno aveva bisogno del certificato per lavorare, qualcun altro per partecipare a una gara sportiva o per andare in vacanza su una nave da crociera, ma c’erano anche genitori che avevano chiesto il via libera per i figli. L’elenco è lungo e comprende impiegati, liberi professionisti, operai e persino esponenti delle forze dell’ordine.
Nella richiesta di rinvio a giudizio csi legge he il pagamento serviva a “inserire nella piattaforma nazionale Dgc i relativi esiti dei tamponi nasali rapidi con risultato positivo, al fine di ricevere la certificazione verde al termine del prescritto periodo di isolamento sanitario”. Da qui il presunto reato di accesso abusivo a un sistema informatico, oltre alla corruzione e al falso.
I carabinieri della sezione di polizia giudiziaria hanno scoperto, tra l’altro, che alcuni clienti abitanti fuori provincia avevano richiesto il certificato inviando semplicemente la tessera sanitaria e un documento d’identità via WhatsApp. Al resto provvedeva Mancinati, il quale inseriva nella piattaforma informatica Smartlab, predisposta dall’Azienda sanitaria, l’esito dei test (sia positivi che negativi, a seconda delle necessità dei clienti), che poi confluivano nella piattaforma del ministero della Salute.
Spropositato il numero di tamponi che sarebbero stati effettuati ogni mese negli ambulatori privati di Pergine Valsugana e Trento, come ammesso dallo stesso infermiere, che ha offerto la sua collaborazione all’autorità giudiziaria. A gennaio i carabinieri gli avevano sequestrato 120mila euro, considerati proventi dell’attività illecita.
Redazione Nurse Times
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