Uno studio dimostra che spesso se ne abusa. Non è detto che portino benefici.
Oli, pillole e polveri. Oggi in commercio si trova una moltitudine di integratori vitaminici, di cui forse abusiamo, soprattutto andando avanti con l’età. Stando a quanto riporta il New York Times, li assume più della metà degli americani. Il 68% di loro ha più di 65 anni e circa il 29% ne prenderebbe quattro o più di qualsiasi tipo. Un entusiasmo dilagante, che negli ultimi anni sta portando a una presa di coscienza da parte dei medici americani, un tempo entusiasti e ora invece molto più cauti nel prescrivere certi prodotti, visto che, dopo anni di ricerche, le prove della loro efficacia nel prevenire molti tipi di malattie continuano a latitare. Anzi, alcuni studi suggeriscono che l’eccessivo consumo di questi supplementi potrebbe causare effetti collaterali, anche gravi, come per esempio l’aumento dell’insorgenza di alcuni tumori.
E in Europa? Da noi, in realtà, la situazione sembra un po’ più complessa da analizzare. Alcune stime ci dicono che nei Paesi del Nord Europa, come la Danimarca, oltre il 50% della popolazione ne farebbe uso, mentre in quelli sud-europei, come Spagna, Grecia e Italia, il loro consumo è minore. “Nel nostro Paese, secondo i pochi dati disponibili, il 15% della popolazione generale assume integratori vitaminici, e sembrerebbe che il loro utilizzo aumenti con l’avanzare dell’età”, spiega Graziano Onder, geriatra della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma. Non tutti i dati però concordano sulla reale diffusione degli integratori tra la popolazione italiana: secondo una ricerca del 2015 di Gfk Eurisco, il mercato e il giro d’affari dei multivitaminici nel nostro Paese è in forte crescita e il numero di persone (tra i 55 e i 74 anni) che ne fanno uso sarebbe quadruplicato negli ultimi 20 anni, passando dall’11% al 39%.
La grande variabilità nel loro utilizzo in Europa, secondo l’esperto, è l’indicazione che questi integratori non vengono utilizzati in base alle reali necessità cliniche. In un certo senso si possono definire una moda, legata a logiche locali e di mercato: “Le evidenze sull’utilità degli integratori sono estremamente limitate. Gli studi dimostrano che alcuni possono addirittura fare male e causare effetti collaterali. La vitamina E, per esempio, se presa in dosi eccessive può aumentare il rischio di cancro alla prostata. L’unica vitamina per cui possediamo dati concreti a favore di un effetto benefico, in maniera particolare sugli anziani, è la vitamina D, che potrebbe migliorare lo stato di salute delle ossa, dei muscoli, e anche del cervello”.
Tuttavia, spiega ancora Onder, “ci sono delle malattie o degli stati carenziali per i quali la somministrazione delle vitamine è necessaria”. Casi particolari, che vengono identificati dal medico in associazione ad alcune malattie. Per esempio, forme di gastrite che limitano l’assorbimento della vitamina B12, fondamentale da un punto di vista ematologico e neurologico. In chi soffre di questa malattia, quindi, diventa fondamentale supplementare la vitamina, ma questo tipo di supplementazione non può essere generalizzato a tutta la popolazione. Infatti, come precisa l’esperto, “una dieta equilibrata a base di frutta, verdura e carne, fornisce una quantità di vitamine sufficiente al nostro fabbisogno e a non determinare, quindi, uno stato carenziale tale da dover ricorrere agli integratori”.
Alcuni integratori, soprattutto quelli a base di erbe, potrebbero poi alterare il funzionamento di farmaci. “Il concetto importante – spiega Onder – è che non tutto ciò che è naturale deve far bene per forza. Per fare un esempio, il succo di pompelmo contiene una molecola che blocca l’enzima responsabile del metabolismo e dello smaltimento di molti farmaci. Quindi, se assunto in grandi quantità, aumenta il rischio di tossicità legata ai farmaci”. Le vitamine non sono inerti, ma sono molecole che agiscono all’interno del nostro organismo e bisogna, quindi, evitare di esagerare, consultando sempre il medico per capire se effettivamente posso portare un beneficio o meno.
Fonte: www.repubblica.it
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