L’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi decisiva anche per la diagnosi di morte cardiaca improvvisa (MCI). A evidenziarlo è uno studio dell’Università di Tampere (Finlandia), coordinato dal cardiologo Jussi Hernesniemi e pubblicato su JACC: Clinical Electrophysiology.
Gli scienziati finlandesi hanno messo a punto un algoritmo in grado di individuare le persone con maggiori probabilità di morire per morte cardiaca improvvisa. Il metodo si basa su un parametro statistico chiamato analisi di fluttuazione detrended (DFA2 a1), che riesce a scovare le variazioni nella frequenza cardiaca associate al rischio di morte cardiaca improvvisa.
Con i metodi tradizionali il rischio di morte cardiovascolare viene determinato grazie a parametri ottenuti durante test di fitness cardiorespiratorio e altri esami con il cuore sotto sforzo, mentre con il nuovo metodo la variabilità della frequenza viene valutata a riposo, a intervalli di un minuto. Sono stati analizzati i dati relativi a circa 4mila pazienti coinvolti nello studio prospettico FINCAVAS, le cui variazioni di frequenza cardiaca sono state raccolte a riposo e sotto sforzo.
Nel corso del follow up sono stati registrati 83 casi di morte cardiaca improvvisa. Dall’incrocio dei dati è emerso che il metodo maggiormente associato alla condizione fatale era la misurazione della frequenza cardiaca a riposo, attraverso elettrocardiogrammi di un minuto e sfruttando l’analisi della fluttuazione detrended (DFA).
“Un metodo che fornisce una stima significativamente migliore del rischio di morte improvvisa a lungo termine”, come spiegato dagli autori dello studio. I pazienti con anomalie nella frequenza cardiaca rilevate con questo metodo mostravano maggiori probabilità di morte cardiaca improvvisa rispetto ai pazienti con frequenza cardiaca tipica.
“È possibile che in molti individui precedentemente asintomatici, che hanno subito una morte cardiaca improvvisa o che sono stati rianimati dopo un arresto cardiaco improvviso, l’evento sarebbe stato prevedibile e prevenibile se l’emergere di fattori di rischio fosse stato rilevato in tempo”, ha dichiarato il professor Hernesniemi.
Gli ha fatto eco il dottorando e coautore dello studio Teemu Pukkila: “La scoperta più interessante dello studio è l’identificazione delle differenze emerse durante le misurazioni a riposo. Le caratteristiche degli intervalli di frequenza cardiaca dei pazienti ad alto rischio a riposo assomigliano a quelle di un cuore sano durante lo sforzo fisico”.
L’aspetto interessante dello studio è che questo genere di anomalie può essere individuato anche semplicemente indossando uno smartwatch o uno smart ring. Uno studio dell’Università Massey e dell’Università della Tecnologia di Auckland ha peraltro dimostrato che il metodo di defibrillazione noto come “doppia defibrillazione esterna sequenziale” (o DSED) è in grado di salvare la vita a pazienti in arresto cardiaco che non rispondono ai trattamenti standard. Si può ipotizzare in futuro la combinazione dei due metodi per abbattere i casi di morte cardiaca improvvisa.
Redazione Nurse Times
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