- Inquadramento
Il presente articolo vuole presentare una ricerca qualitativa di tipo fenomenologico, condotta al fine di considerare l’esperienza di malattia all’interno delle dinamiche familiari dove un suo membro, in questo caso la moglie, viene assistita al proprio domicilio, e del suo caregiver, nella sua totalità relazionale con vissuti e differenti punti di vista. Il racconto è frutto delle informazioni raccolte durante una serie di incontri, tenuti nell’arco di quattro mesi e sarà rielaborato e organizzato sotto forma di intervista non strutturata. I nomi ed i luoghi sono stati dissimulati, non per volere dei soggetti oggetto della nostra ricerca, ma come forma di rispetto da parte dei ricercatori, verso quelle persone che hanno aperto la porta della loro casa e delle loro emozioni a degli “sconosciuti”. A nostro giudizio il diritto alla privace è un dovuto rispetto a chi ci ha consegnato la sua storia, ed ai fini della nostra ricerca non è essenziale riferire dati circostanziali.
Questa ricerca metterà in evidenza il vissuto del paziente e del suo caregiver (in questo caso affetto da patologia rara invalidante, IBM) all’interno di un contesto familiare di cui il caregiver è parte attiva e integrante. La prima parte affronterà i temi generali della patologia e le basi metodologiche seguite per la realizzazione della ricerca infermieristica di tipo qualitativo fenomenologica; la seconda parte, fulcro del lavoro, sarà dedicata alla fase sperimentale, ricca di informazioni e coinvolgimento emotivo, dove caregiver e ricercatore si racconteranno. Emergerà quanto una sola storia sia in grado di suscitare diverse esperienze emozionali anche nel lettore, tramite l’elaborazione dei quesiti di ricerca qualitativa, che prendono forma da che cos’e` questo? O che cosa sta succedendo qui? e riguardano soprattutto i processi assistenziali piuttosto che gli esiti.
Parole chiave: fenomenologia, ricerca qualitativa, carefìgiver, assistenza domiciliare, vissuti emozionali.
- Contestualizzazione del percorso dell’esperienza
I metodi di ricerca qualitativi
I metodi di ricerca qualitativi hanno cominciato a diventare sempre più importanti come modo di sviluppare le conoscenze infermieristiche per la pratica dell’assistenza basata sulle evidenze. La ricerca qualitativa risponde ad un’ampia varietà di quesiti relativi all’interesse dell’assistenza infermieristica per le risposte umane, attuali e potenziali, ai problemi di salute. Lo scopo di una ricerca qualitativa è descrivere, esplorare e spiegare questi fenomeni.
Il campionamento si riferisce al processo utilizzato per selezionare una porzione della popolazione per lo studio. La ricerca qualitativa si basa generalmente su un campionamento non probabilistico e intenzionale, piuttosto che su un approccio probabilistico o randomizzato. Le decisioni sul campionamento vengono prese con l’esplicito scopo di ottenere la fonte più ricca possibile di informazioni per rispondere ai quesiti di ricerca. Le decisioni di campionamento intenzionale non influenzano solo la selezione dei partecipanti, ma anche le collocazioni, i casi, gli eventi e le attività per la raccolta dei dati.
La ricerca qualitativa generalmente coinvolge campioni di minori dimensioni rispetto a quelli delle ricerche quantitative. Il campionamento nelle ricerche qualitative è flessibile e spesso continua fino a che non emergono nuovi temi dai dati, un punto chiamato saturazione dei dati.
Molte tecniche di raccolta dei dati sono utilizzate nelle ricerche qualitative, ma le più comuni sono le interviste e le osservazioni partecipate. L’analisi dei dati qualitativi, diversamente dall’analisi dei dati quantitativi, non riguarda l’analisi statistica ma l’analisi dei codici, dei temi e dei modelli nei dati.
Il prodotto delle ricerche qualitative varia in base all’approccio usato. Le ricerche qualitative possono produrre una descrizione ricca e profonda del fenomeno che stanno studiando o una teoria sul fenomeno. I reports di ricerca qualitativa contengono spesso citazioni dirette dei partecipanti, che forniscono un’illustrazione ricca dei temi dello studio. La ricerca qualitativa, diversamente dalla sua controparte quantitativa, non permette un’inferenza empirica ad una popolazione come intero; piuttosto permette al ricercatore di generalizzare il fenomeno esaminato in una comprensione teoretica.
Ci sono molti tipi diversi di ricerche qualitative, come quelle etnografiche, fenomenologiche, di dimostrazione di teorie, storie di vita e di etnometodologia. Come nelle ricerche quantitative e importante per gli infermieri ricercatori selezionare l’approccio delle ricerche qualitative che potrebbe rispondere meglio al quesito di ricerca.
Approccio fenomenologico alla ricerca infermieristica qualitativa
Lo scopo di un approccio fenomenologico ad una ricerca qualitativa è di descrivere accuratamente le esperienze vissute delle persone e non per creare teorie o modelli del fenomeno in esame. Le origini della fenomenologia sono ritrovabili nella filosofia, in particolare nei lavori di Husserl, di Heidegger e di Merleau-Ponty. Visto che la fonte primaria dei dati è “il mondo della vita dell’individuo in esame”, le interviste in profondità sono il modo più valido e autentico per raccogliere i dati. Inoltre, i temi emergenti sono spesso validati insieme ai partecipanti, perchè il significato che loro attribuiscono a quelle esperienze vissute e centrale negli studi fenomenologici. La fenomenologia è usata per rispondere al quesito di ricerca: che cos’è l’esperienza vissuta dalla persona, che ha integrato nella sua vita una malattia. L’approccio fenomenologico è fondamentale per scoprire i significati che i partecipanti assegnano al complesso e dinamico processo di integrare la malattia nella loro vita.
Parlare di ricerca qualitativa fenomenologica significa ridefinire un campo di indagine e interrogarsi sulla funzione svolta dalla fenomenologia. Ma cos’è la fenomenologia?
La fenomenologia è “lo studio di ciò che appare” letteralmente, è la capacità di mettere tra parentesi ogni oggetto e ridurlo ad un fenomeno, ecco perché essa rappresenta una continua ricerca, una continua elaborazione del pensiero, un’indagine interminabile.
Il suo iniziatore Edmund Husserl, afferma che la cultura legata a forme di indagine positivistiche e naturalistiche si sia imbattuta in errori teoretici che hanno portato verso un atteggiamento di oggettivizzazione del mondo, della natura, dello stesso uomo.
Le sensazioni, i colori, i suoni, le percezioni tattili hanno definito in modo superficiale l’uomo, la natura, il mondo. La ricerca fenomenologica è ricerca d’essenza (dell’eidos).
Nel 1929 nelle Meditazioni cartesiane Husserl afferma che la fenomenologia ha l’obbiettivo di costituirsi come scienza di essenze, la fenomenologia invita ad avvicinarsi all’autenticità dei fenomeni. Occorre prendere i fenomeni cosi come sono cosi come essi si danno, cosi come si manifestano, comprendere il senso degli aventi nell’ambito esclusivo dell’esperienza vissuta (dell’erlebnis), il loro luogo originario. Il fenomeno si offre come dato immediato.
Se i fenomeni devono giungere solo ed esclusivamente nei limiti e nei modi in cui si danno allora è necessario sfrondare gli stessi dalle concrezioni teoriche e dalle ovvietà che dominano la scena, ci riferiamo alle leggi metafisiche e razionalistiche che danno un senso di eccesso al fenomeno.
La Miosite da corpi inclusi (IBM)
Essa è una malattia infiammatoria degenerativa lentamente progressiva della muscolatura scheletrica, caratterizzata da debolezza o addirittura l’atrofia dei quadricipiti o dei flessori delle dita delle mani, con conseguenti cadute e difficoltà nel rialzarsi dalla sedia o dal suolo, nel camminare sulle scale, nell’afferrare, alzare e usare gli oggetti, fino alla completa perdita della funzionalità di tutti i muscoli. Non è disponibile un trattamento risolutivo per la IBM. I pazienti di solito non rispondono alle terapie anti-infiammatorie o immuno-modulatorie. I trattamenti sintomatici comprendono gli esercizi fisici, l’ergoterapia e i dispositivi ortopedici.
Le miositi sono malattie infiammatorie autoimmuni croniche della muscolatura striata, e talora della cute, ad eziologia sconosciuta, che appartengono alla categoria delle connettiviti. Il gruppo “storico” comprende, oltre alla Dermatomiosite [DM] (dal greco: infiammazione di pelle e muscolo) e alla Polimiosite [PM] (= infiammazione di molti muscoli) dell’adulto, le forme giovanili (con insorgenza non oltre i 17 anni), la miosite associata ad altre connettiviti e la forma associata a neoplasie. Oltre a queste, negli ultimi anni sono state individuate altre forme: la Miosite da corpi inclusi (chiamate così per i caratteristici riscontri bioptici), ad insorgenza senile e con andamento subdolo, la sindrome anti sintetasica, caratterizzata dalla presenza di specifici anticorpi e accompagnata da un quadro clinico caratteristico e la Dermatomiosite amiopatica che a fianco del caratteristico quadro cutaneo non manifesta interessamento clinico muscolare per un periodo di tre anni dalla diagnosi; infine va ricordata la miosite necrotizzante, forma caratterizzata da un impegno clinico anche molto severo e dall’assenza di infiltrato infiammatorio ed una elevata proporzione di fibre muscolari necrotiche alla biopsia.
- Obiettivi dell’indagine
L’obbiettivo principale di questo elaborato è quello di sviluppare una capacità di lettura dei bisogni del paziente. Attraverso un racconto di natura esperienziale, che parte dal malato e dalle persone a lei vicine, compreso lo stesso ricercatore, si vuole aumentare il grado di consapevolezza della realtà che si sta indagando. Comprendere quali sono i significati attribuiti agli eventi, dagli attori sociali coinvolti nel processo del “prendersi cura”. Se la persona assistita è il principale soggetto delle cure, anche il caregiver deve essere al centro dell’attenzione, quale necessaria risorsa di sistema da mobilitare, ma da preservare e potenziare innanzitutto.
Le testimonianze raccolte dai soggetti intervistati, delineano la dimensione valoriale della professione; non si vuole considerare l’infermiere in termini stereotipati ma quale professionista portatore di conoscenze, competenze, sensibilità e valori che devono essere riconosciuti al pari di quelli che compongono le rappresentazioni di malattia. In questa prospettiva, la costruzione di un rapporto terapeutico di fiducia diventa uno strumento centrale nell’assistenza, della prospettiva contemporanea e avanzata dell’assistenza “patient centered”.
- Risultati: la storia di Enza e Giovanni
Enza e Giovanni sono due coniugi residenti nel nostro stesso paese. Grazie a conoscenze personali, siamo riusciti a contattare tramite un social network, la signora Enza, che ha subito accettato il nostro invito a collaborare con noi.
Ci siamo recati nella loro abitazione in diversi giorni per conoscere la loro storia. Lo schema seguito inizialmente è stato realizzato tramite intervista semi-strutturata, in cui prefissato schematicamente un tema e gli argomenti da trattare, abbiamo predisposto una scaletta di intervista. Ma già dal primo incontro, notando la loro scioltezza nel raccontare, abbiamo dirottato la ricerca verso un’intervista libera in cui è prefissato solo il tema.
Il primo incontro è stato conoscitivo, ci siamo presentati ed abbiamo esposto il nostro progetto di ricerca, al fine di avere tutta la loro disponibilità.
La storia clinica
Giovanni ci racconta che tutto è iniziato nell’inverno del 2010 quando inizialmente le si addormentavano braccia e mani e successivamente le gambe. All’inizio non le è stato prescritto nessun farmaco perché non aveva nessun dolore. Poi ha eseguito una serie di esami come TAC ai polmoni, visita senologica e ginecologica ed una serie di analisi del sangue dai quali è stato riscontrato una valore della CPK altissimo. Si è diretta così da un neurologo che dopo elettromiografia, escludendo l’ipotesi di tumore, le ha suggerito di sottoporsi ad una visita specialistica presso l’istituto neurologico Carlo Besta di Milano. Si pensava fosse SLA, ma in seguito a biopsia fatta alla gamba sinistra perché maggiormente colpita dai sintomi, le hanno confermato e diagnosticato una miopatia. Successivamente tornata a Bari, è stata ricoverata per eseguire una puntura lombare per il prelievo del midollo osseo ed eseguito una TAC alla testa.
Poi a Tricase ha eseguito una cura di immunoglobuline senza beneficio. Solo nel momento in cui si è recata a Roma, al Gemelli, i medici le hanno confermato che non c’erano cure in grado di contrastare la malattia. Due anni dopo averla scoperta non riusciva più a deambulare autonomamente e a deglutire ed è per questo che si è sottoposta ad intervento di gastrostomia endoscopisca percutanea (PEG). In seguito ad insufficienza respiratoria operata d’urgenza, le è stata eseguita una tracheostomia. Dal 2014 la paziente è stabile, allettata, respira tramite ventilazione meccanica assistita, assume alimenti mediante nutrizione enterale e riesce solo a muovere la testa e le labbra per farsi capire.
L’intervista al caregiver
NOME: Giovanni, ETÀ: 57.
“Ciao, sono il marito di Enza, quello che voi infermieri chiamate caregiver, anche se preferisco definirmi semplicemente Giovanni. Sono a tua completa disposizione, aspettiamo che Enza termini con l’OSS e poi possiamo cominciare.
Dopo qualche minuto una volta in stanza, guardando negli occhi sua moglie, ha cominciato a parlarmi di se.
“All’inizio, quando sono comparsi i primi sintomi non mi rendevo conto della gravità della situazione, non si capiva cosa Enza avesse. Ricordo che a tavola un giorno un boccone le andò di traverso, ma non avremmo mai pensato che potesse trattarsi di un vero e proprio problema nella deglutizione. Abbiamo realizzato il tutto quando questo episodio a tavola accadeva sempre più spesso.
Successivamente i primi cambiamenti a livello fisico, difficoltà nel camminare e ricordo che parecchie volte mi chiamava perché era caduta e aveva bisogno del mio aiuto per alzarsi. In quel periodo ero io ad aiutarla a lavarsi, non vi dico le mille peripezie, io ero impacciato e lei molto nervosa ed imbarazzata. Quando siamo stati a Milano all’istituto neurologico Besta, inizialmente ero preoccupato per il viaggio che però si è rivelato del tutto tranquillo e organizzato. Enza è stata ben accolta dagli assistenti di volo, ha avuto precedenza su tutti evitando attese ed è salita sull’aereo grazie ad un elevatore che le ha permesso di imbarcarsi con la sedia a rotelle. Una volta arrivati a Milano, dopo la visita dal neurologo, abbiamo girato la città a piedi ed è stato contenta di poterlo fare con il nostro aiuto.
Ricordo quando Marisa era ricoverata a Roma, era l’inverno del 2014. Io per motivi di lavoro ero andat per alcuni giorni nel nostro paese. Poco prima di capodanno ci fu una forte nevicata ed io ebbi il sentore di prendere la macchina e tornare da lei. Arrivato lì la situazione era la solita, è bastato solo il tempo di andare in albergo per una doccia e ritornare in ospedale e trovare la stanza di Marisa vuota!
Aveva avuto una insufficienza respiratoria e aspettavano la mia autorizzazione per poter procedere all’intervento di tracheostomia. Non mi sono preoccupato del dopo, volevo solo che mia moglie si salvasse, che vivesse … sapevo che senza tracheo sarebbe morta. Quello che è stato più difficile per me da superare è stato quando Enza si è risvegliata dall’intervento, le ho dovuto spiegare quanto accaduto.
Lei è scoppiata a piangere … ma io mi sentivo più forte perché di lì a poco avremmo capito entrambi che questa condizione l’avrebbe paradossalmente fatta sentire più sollevata, con un tubo che le avrebbe permesso di respirare.
Era il primo dell’anno e ricevevo mille chiamate di auguri ma nessuno sapeva che per noi non c’era nulla da festeggiare…
Da quel giorno in poi non ho più sentito la voce di Marisa…
Siamo tornati a casa ma finalmente l’ho vista più tranquilla, non c’è stata notte in cui lei non abbia dormito. Da qui, per noi, una nuova vita.
Guarda, lei dorme in questa stanza da sola, era la nostra camera da letto, la più grande perché ha bisogno di molto spazio, il letto è ingombrante, i respiratori, l’aspiratore per i muchi, il mobile con tutto il necessario per gli infermieri e OSS per l’assistenza, in più televisore, personal computer e aria condizionata. E io invece che da caregiver, – Giovanni esclama ridendo – mi ritrovo a dormire in un bunker di 10mq che di mio ha solo il letto, ci sono solo cose di Enza, tra cui anche il sollevatore per i momenti in cui l’alziamo dal letto.”
“Giovanni, in veste di caregiver, di che cosa ti occupi?”
Fortunatamente Enza è assistita durante la maggior parte delle ore della giornata da personale qualificato, il mio ruolo subentra quando rientro a casa da lavoro, tutta la notte, il mercoledì e nel week-end perché sono con lei tutto il giorno. È in questi momenti che approfitto per riordinare le bollette e per ritirare le prescrizioni dal medico dei farmaci che Enza prende giornalmente, come il potassio, copertura per lo stomaco, Clexane ed Enterogermina. Compro anche salviette, cotone, collutorio e detergenti; dalla farmacia ospedaliera ritiro tutto il necessario per la nutrizione, per la gestione della PEG, cateteri e sacche per le urine. Ogni anno bisogna richiedere tramite l’anestesista l’occorrente per la ventilazione meccanica come catetere mount, filtri, cannule, fettucce e sondini per l’aspirazione mentre l’ADI si occupa della fornitura di guanti, garze e creme. Nel nostro garage non c’è quasi più posto per l’auto perché è diventato un deposito fornito come quello di un ospedale.
All’inizio avevo difficoltà e avevo bisogno di seguire gli OSS e gli infermieri, ricordo dopo l’intervento di tracheostomia mi risultava difficile effettuare tutte le manovre necessarie per garantirle la pulizia, come ad esempio aspirarle i muchi o pulirle la PEG. Adesso non mi ritengo esperto, però mi sento più sicuro quando siamo soli o quando durante la notte mi chiama, anche se succede raramente.
Devo ammettere che Enza nonostante la sua condizione ci aiuta molto, ogni mattina vuole essere informata sui valori di saturazione, pressione e temperatura ed è anche molto attenta all’ordine. Infatti quando qualcosa è fuori posto lei richiama la nostra attenzione con uno strano verso, come fosse un fischio, mettendoci tutti sull’attenti. Quando non siamo in stanza con lei per chiamarci utilizza un campanello che è posizionato sotto il palmo della sua mano applicando una leggere pressione su un pulsante, questo glielo permette solo la mano destra dato che la sinistra ne è del tutto incapace.
Mi occupo anche della sua igiene intima e avvio anche la pompa per la nutrizione enterale. Le pianifico anche gli appuntamenti a letto con parrucchiera ed estetista, come potete notare il suo aspetto è magnifico, smalto alle unghie e capelli perfetti.
Farla uscire anche solo per farle prendere un po’ di aria, prima era più semplice adesso invece con il respiratore risulta più complicato. Periodicamente la stanza necessita di una pulizia generale e quindi è necessario spostarla dalla camera da letto. Questa manovra richiede forza e pazienza, alcune volte ha accusato qualche dolore soprattutto quando sulla sedia a rotelle è rimasta più del dovuto. Enza sogna di uscire in piazza come ai vecchi tempi o di andare al mare, in realtà lo desidero anch’io ma non abbiamo o meglio non ho il coraggio per paura di non saper affrontare un imprevisto. Ci limitiamo a fare un giro intorno alla nostra abitazione, è molto curiosa di vedere come cresce il nostro quartiere e per lei, anche solo questo è motivo di grande gioia. Ogni suo desiderio cerco di esaudirlo quanto prima, mi ha richiamato più volte per l’erba incolta del nostro giardino, finché un giorno finalmente mi son deciso, l’ho tagliata, ho scattato una foto e vedendola è stata felice.
Per quanto riguarda la gestione della casa, devo ringraziare Paola, una signora che ci aiuta nel tenerla in ordine e pulita, proprio come un tempo faceva Enza, e anche per la preparazione del pranzo. Tra le tante cose che ho imparato c’è anche l’arte culinaria, con Enza decidiamo insieme cosa cucinare, a lei piaceva molto farlo e tutt’ora è molto curiosa di scoprire nuove ricette che io sperimento per lei. Trascorrendo tutta la giornata a letto, soprattutto la sera guarda film ed è aggiornata su tutte le fiction ed io in salone a guardare altro.”
[Il precedente racconto è stato scritto e realizzato al termine di uno studio sperimentale della durata di 4 mesi. L’elaborato finale è frutto delle informazioni ricavate nei vari incontri.]
- Risultati
Il ricercatore si racconta: NOME: ANGELO; POSIZIONE: RICERCATORE
Nel febbraio del 2017, in collaborazione con il dott. Cosimo Della Pietà, abbiamo iniziato a pensare ad un progetto di ricerca, che funga da mia tesi di laurea in infermieristica. Grazie al suo aiuto, abbiamo deciso di incentrare il lavoro sulla ricerca qualitativa, dato che spesso si fa più uso di quella quantitativa. Quello che più mi ha colpito inizialmente, è stato intraprendere un percorso che al di là della tesi sarebbe stato conoscitivo ed emozionante, da un punto di vista professionale e soprattutto umano.
Sin dall’inizio si è pensato di trattare un paziente in ADI ed il suo caregiver, che riceve assistenza presso il proprio domicilio, perché credo che prestare assistenza presso una struttura ospedaliera richieda un tipo di approccio con il paziente diverso da quello a domicilio, dato che in quest’ultimo caso l’infermiere entra a far parte della sua vita quotidiana, delle sue abitudini, dei suoi spazi e di tutto ciò che fa parte della sua sfera privata. Il giorno in cui Enza e Giovanni, dopo la nostra richiesta, ci hanno dato tutta la loro disponibilità a collaborare con noi, ero sereno e spaventato allo stesso tempo.
Non credo sia facile fidarsi di uno sconosciuto e soprattutto aprirsi a emozioni che portano con se anche tanto dolore. Il giorno del primo incontro, ero agitato come nel giorno di un esame ed ero anche ansioso di conoscerli dal vivo. Durante il tragitto in macchina non facevamo altro che ripetere quella che sarebbe stata la nostra “presentazione”.
Una volta arrivati alla loro villetta, ricordo l’accoglienza di Giovanni quando esordì con quel “ciao ragazzi”, ho avuto l’impressione che mi conoscesse da tempo ed è per questo che mi sono sentito sin da subito a mio agio. Si è dimostrata una persona gentile, disponibile e posso anche aggiungere altruista, considerando i molteplici ruoli che ricopre per Enza e per la sua famiglia.
Una volta entrati ci ha accompagnati in una stanza, quella che lui chiama “la stanza della principessa sul pisello”.
Il primo impatto una volta entrato è stato davvero emozionante, mi ha colpito subito il modo di prendersi cura del proprio corpo, anche con la malattia che le impedisce di farlo autonomamente. Ho trovato una donna con un sorriso disarmante e accogliente che è da esempio per tutti noi che lo perdiamo dietro le inutilità della vita. In secondo luogo ho notato subito la sua scioltezza nel comunicare con il comunicatore oculare. Infatti, data la sua velocità nel raccontare, ho trovato difficoltà nel prendere appunti. Penso che questa sia stata una dimostrazione di fiducia nei nostri confronti perché durante quel pomeriggio del 31 maggio, passato assieme, siamo venuti a conoscenza di tutto quello che hanno attraversato in questi anni.
Procedendo con gli incontri, ho conosciuto una donna tenace, una mamma che cerca sempre di essere presente nella vita dei suoi figli, una donna serena e anche lucida nonostante la malattia invalidante le abbia portato via anche la voce. Non so se le fosse già capitato di aprirsi in questo modo, raccontare la sua storia facendo spazio ad emozioni e sensazioni che tuttora l’accompagnano nonostante la malattia non progredisca, tanto meno regredisca.
Ricordo uno degli ultimi incontri quando ho letto ad entrambi l’elaborato finale per eventuali correzioni. Credo sia emozionante ascoltare il proprio racconto e non nascondo che è stato difficile anche per me perché non sapevo se sarei stato in grado di esprimere le emozioni provate, dando a tutto questo il giusto peso che merita.
Da ricercatore sono stato anche io di supporto per l’assistenza verso Enza, perché è quello che un operatore sanitario deve saper fare, ovvero ascoltare ed è fondamentale perché aiuta sia l’assistito che anche noi, infermieri. Dopo ogni incontro, quando tornavo a casa pensavo a come Enza con tenacia e lucidità racconta della sua esperienza, come è riuscita non tanto ad accettare, perché credo sia impossibile, ma ad acquisire quella consapevolezza che la aiuti a convivere con questa malattia nonostante i momenti di angoscia e rabbia.
E infine vorrei parlare del marito Giovanni, che rappresenta uno dei milioni dei caregiver familiari, che spesso non consideriamo per via delle molteplici attenzioni che richiede il paziente, anche se il ruolo più difficile spetta da sempre a questa figura. Colui che si carica la difficile croce sulle spalle e applica la proprietà della resilienza: quella speciale qualità che consente di resistere agli eventi, riordinare la propria vita, costruire una nuova dimensione che consenta al malato ed a se stesso di vivere questa esperienza con dignità, con tenacia, con quell’energia necessaria per lottare.
Credo che una parola giusta, detta al momento opportuno, ha il valore di un incantesimo ed è quello che giornalmente Giovanni, con tutto il suo amore, fa per sua moglie. Credo che una delle fortune di Enza sia proprio questa, quella di essere sostenuta e circondata da persone, come suo Giovanni e tutto il personale responsabile dell’assistenza ADI, che le hanno donato e continuano a dare, tanti segni di affetto, di tenerezza, di puro bene disinteressato e tutto ciò che le garantisce una qualità di vita eccellente.
Credo che Giovanni faccia per Enza più di quello che sapremmo fare noi, operatori sanitari, nonostante la nostra preparazione professionale. Di frequente non riusciamo a comprendere le vere necessità del malato, ma ci limitiamo al nostro ruolo assistenziale più pratico che umano, solo la lettura attenta delle dinamiche emozionali che scaturiscono dal malato e dal suo contesto famigliare, ci fanno entrare in empatia con le persone che si sono state affidate, portandoci in dono la lettura di un mondo nuovo, fatto di valori ed emozioni, da comprendere e condividere così come sono.
- Conclusioni
Questo studio sperimentale nasce da una doppia constatazione: l’importanza del rapporto malato – caregiver e della povertà di testimonianze a favore di quest’ultimo. È emerso quanto queste due figure siano strettamente connesse tra loro, l’una non esisterebbe senza l’altra. Ad oggi, gli studi pubblicati mettono in evidenza il forte impatto e le difficoltà che questi si trovano ad affrontare dall’esordio della malattia, soprattutto per quanto riguarda la sfera pratico-assistenziale. Da questo lavoro emerge un altro dettaglio significativo, che tutto questo, accompagnato da valori quali rispetto, fiducia, amore, altruismo e gratitudine semplifica le difficoltà assistenziali da parte del caregiver, offrendo ulteriore beneficio al malato.
L’obbiettivo di questa ricerca qualitativa è stato quello di esplorare l’esperienza vissuta, da un punto di vista emotivo, da una paziente affetta da patologia invalidante e in particolare dal suo caregiver. Il loro raccontare e il mio stare vicino e saper ascoltare è stato produttivo per entrambi. Nei primi è stato motivo di sfogo e liberazione e un valido strumento per aiutare a ricercare “parole non dette” per dire e riconoscere il proprio vissuto, per costruire nuove connessioni possibili tra malattia e vita quotidiana, trame di senso per riuscire a rivedersi, ricomprendersi e riprogettarsi in una rinnovata versione della propria storia di vita e della propria identità.
Si tratta di ricostruire il proprio sapere e la storia personale per giungere a nuove consapevolezze, a rinnovare interpretazioni e comprensioni dell’esperienza che si sta vivendo. Per me ricercatore è stato invece motivo di crescita professionale e arricchimento interiore, un’opportunità per rendere più completo l’accertamento dei problemi assistenziali della persona, attingendo ampiamente ai vissuti, alle emozioni, alle aspettative ed ai desideri sia del malato che del caregiver.
La possibilità offerta al paziente di narrare la propria storia aiuta nell’espressione dei propri stati emotivi e produce positivi vissuti di ascolto e condivisione rafforzando il rapporto infermiere-utente.
Un altro elemento emerso durante la mia indagine è stato il constatare la normalizzazione della situazione famigliare vissuta da Giovanni ed Enza. Non nascondo i miei pregiudizi, prima di incontrare Enza. Temevo di dover affrontare una situazione famigliare tesa, cupa e incentrata sulla malattia gravemente invalidante di Enza. Ma già dal primo impatto, grazie al marito Giovanni, ho subito respirato un’atmosfera famigliare serena ed allegra, dove la capacità di sdrammatizzare rende appunto normale affrontare le mille difficoltà che la vita quotidiana presenta, anche in presenza della malattia.
La parte iniziale è prettamente teorica mentre la parte finale vede come protagonisti la storia del malato, il racconto del caregiver e del ricercatore. L’influenza che questa ricerca ha avuto su di me è stata di grande rilevanza, perché mi ha permesso di entrare in possesso di una “cassetta degli attrezzi”, un personale bagaglio metodologico ed esperienziale che mi ha fatto acquisire strumenti per leggere ed interpretare in modo nuovo la realtà.
Il valore aggiunto, di questo percorso didattico – esperienziale, per me ricercatore è stato dato dall’accrescimento dei miei livelli di consapevolezza, essere un infermiere non vuol dire solo Saper Fare una terapia, una medicazione, elaborare un processo di nursing e rifare un letto, ma è anche e soprattutto Saper Essere.
Autori: dott. Cosimo Della Pietà e dott. Angelo Tinelli
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