Dalla carenza cronica di donazioni alla produzione in laboratorio: il sangue artificiale potrebbe rivoluzionare la medicina d’urgenza. Ma non mancano sfide tecniche ed etiche.
La carenza di sangue è una sfida globale per la sanità pubblica. In scenari di guerra, emergenze sanitarie o in aree isolate prive di centri trasfusionali, l’assenza di donatori può trasformarsi in una condanna. Per rispondere a questa emergenza, la ricerca scientifica è da anni impegnata nella creazione del cosiddetto sangue artificiale: una soluzione innovativa che potrebbe ridurre la dipendenza dalle donazioni e rivoluzionare la medicina trasfusionale.
Oggi esistono principalmente due approcci alla produzione di sangue sintetico: la creazione di molecole ematiche in laboratorio e la coltivazione di globuli rossi a partire da cellule staminali. Tuttavia, entrambi i metodi presentano limiti significativi, tanto sul piano tecnologico quanto su quello etico.
Che cos’è il sangue artificiale?
Secondo la dottoressa Ursula La Rocca, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e direttrice del Centro Nazionale del Sangue, il termine “sangue artificiale” può riferirsi a due categorie principali:
1. Sangue sintetico, composto da molecole progettate in laboratorio per imitare le funzioni principali del sangue umano, in particolare il trasporto dell’ossigeno.
2. Globuli rossi coltivati, ovvero cellule del sangue ottenute da cellule staminali in ambienti controllati.
Questi sistemi non sono pensati per sostituire integralmente il sangue umano, ma per fornire un’alternativa nei casi più critici, come incidenti in zone remote o operazioni d’urgenza dove la disponibilità di sangue compatibile è limitata.
I progressi della ricerca: tra ErythroMer e vesicole ematiche
Tra i progetti più avanzati c’è quello sviluppato dall’Università del Maryland, che ha creato ErythroMer, una polvere ematica ricavata da emoglobina riciclata, in grado di resistere per mesi a temperatura ambiente. Una volta miscelata con acqua sterile, la polvere si trasforma in un fluido simile al sangue, pronto per l’uso in emergenza.
In Giappone, invece, un team dell’Università Medica di Nara, guidato dal professor Hiroshi Sakai, ha sviluppato un sangue artificiale universale composto da vesicole lipidiche contenenti emoglobina compatibile con tutti i gruppi sanguigni. La caratteristica distintiva? Queste particelle non attivano reazioni immunitarie, rendendole adatte a qualsiasi paziente, indipendentemente dal gruppo sanguigno o dal fattore Rh.
Vantaggi, sfide e implicazioni etiche
I potenziali benefici sono enormi: riduzione della dipendenza dalle donazioni, disponibilità in situazioni estreme, maggiore sicurezza biologica. Ma la strada è ancora lunga. Tra le principali sfide ci sono:
- Durata limitata dei globuli rossi coltivati, che non superano i 42 giorni anche in ambienti refrigerati.
- Costi di produzione elevati e scalabilità industriale ancora lontana.
- Questioni etiche e regolatorie, soprattutto per l’impiego di cellule staminali e materiali biologici umani.
Inoltre, rimane cruciale il tema della sicurezza: qualsiasi sostituto ematico deve garantire la stessa efficacia del sangue naturale senza causare effetti collaterali o rigetti.
Una rivoluzione ancora da compiere
Nonostante i progressi significativi, il sangue artificiale non è ancora pronto per un impiego clinico su larga scala. Tuttavia, i continui investimenti da parte di istituzioni e aziende biotecnologiche fanno ben sperare. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno già stanziato oltre 46 milioni di dollari per lo sviluppo di soluzioni ematiche alternative.
Questa innovativa scoperta rappresenta oggi uno dei “nuovi Graal” della medicina moderna: una promessa di salvezza che potrebbe trasformare il sistema sanitario globale, ma che richiede ancora tempo, ricerca e attenzione etica.
Redazione NurseTimes
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