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Tumori, nelle metastasi le mutazioni del Dna mettono il “turbo”. Da studio dell’Irccs Candiolo nuovo parametro per valutare aggressività e resistenza a terapie

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Man mano che il tumore al colon progredisce, aumenta anche la velocità di mutazione del suo Dna. Questa osservazione è stata resa possibile grazie a un nuovo metodo che permette di calcolare e confrontare il tasso mutazionale dei tumori, messo a punto in uno studio condotto dall’Istituto di Candiolo – Irccs, sotto la guida di Andrea Bertotti e Livio Trusolino, responsabili del laboratorio di Oncologia traslazionale e professori ordinari di Istologia al dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino. I risultati si sono guadagnati la copertina della prestigiosa rivista Science Translational Medicine.

“Il fatto che il Dna dei tumori tenda a mutare velocemente è un dogma dell’oncologia molecolare – spiega Trusolino -. Come accade nelle piante, in cui mutazioni casuali producono resistenza ai parassiti o agli erbicidi, si pensa che qualcuna delle tante mutazioni che i tumori acquisiscono possa, su base probabilistica, fornire un vantaggio di fitness, cioè un successo riproduttivo. Ma come per tutti i dogmi la base è teorica, e fino a oggi non ha ricevuto una validazione in laboratorio. Nel nostro studio abbiamo scoperto che non solo le mutazioni si accumulano con velocità estremamente variabili nei tumori di pazienti diversi, ma si generano con maggiore intensità nelle lesioni più avanzate, tipicamente le metastasi”.

Nel loro lavoro i ricercatori hanno analizzato l’intero genoma di organoidi tumorali, ovvero di “mini-colon” ottenuti da campioni prelevati dai pazienti, al tempo zero di inizio esperimento, e lo hanno confrontato con quello degli stessi organoidi dopo sei mesi e un anno di propagazione continua del tumore.

“Abbiamo sottratto le mutazioni presenti al tempo zero da quelle presenti alla fine per identificare quelle accumulate ex novo, e abbiamo diviso il loro numero per il numero di duplicazioni cellulari. In questo modo, abbiamo calcolato il tasso mutazionale, che si è rivelato molto eterogeneo e sistematicamente più alto negli organoidi ottenuti da lesioni avanzate in confronto a organoidi da tumori più precoci”, spiega Elena Grassi, ricercatrice del dipartimento di Oncologia e responsabile del team di analisi bioinformatiche, che ha coordinato gli studi molecolari.

Aggiunge Valentina Vurchio, biotecnologa nel laboratorio di Oncologia traslazionale di Candiolo, che ha condotto gli esperimenti di propagazione degli organoidi: “Per effettuare questi esperimenti, abbiamo recuperato campioni chirurgici vitali dai pazienti, molti dei quali operati presso l’Istituto di Candiolo, concentrandoci sui casi in cui nella stessa seduta operatoria erano stati rimossi contemporaneamente il tumore primitivo al colon e una metastasi al fegato. I tessuti sono stati dissociati a singola cellula per generare gli organoidi, che abbiamo coltivato ininterrottamente per lungo tempo. È stato un lavoro di pazienza con non poche difficoltà logistiche, soprattutto perché i primi test sono iniziati ai tempi del lockdown per il Covid”.

Un tumore che, progredendo, assomma mutazioni a velocità crescente ha anche sempre più frecce al suo arco. “Un tumore che muta sempre di più acquista nuove abilità che lo rendono più plastico e resiliente a sopportare gli insulti terapeutici”, commenta Bertotti.

Lo studio ha risvolti sostanziali: i ricercatori hanno osservato che le nuove mutazioni che si stratificano nel tempo durante la progressione tumorale lasciano un’impronta molecolare che può essere catturata non solo negli organoidi a fine esperimento, ma anche nei campioni diagnostici dei tumori dei pazienti.

“Il nostro prossimo obiettivo è analizzare la pervasività di questa impronta per cercare di datare il momento in cui il tumore è iniziato – conclude Bertotti -. Questo ci permetterà di distinguere, a parità di età dei pazienti, tumori insorti precocemente e progrediti lentamente rispetto a tumori che si sono manifestati in tempi più recenti, ma hanno subito un’evoluzione rapida. Lo scopo è capire meglio quali sono gli elementi che distinguono i tumori più aggressivi da quelli più indolenti, con l’obiettivo di focalizzare al meglio lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici”.

Lo studio è stato condotto in collaborazione con l’Institute of Cancer Research di Londra e diversi centri di ricerca di Milano (IFOM, Human Technopole, Ospedale Niguarda, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Europeo di Oncologia) ed è stato finanziato dal programma 5×1000 dell’Airc e dalla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, che destina i proventi delle donazioni all’Istituto di Candiolo.

Redazione Nurse Times

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