I risultati preliminari dello studio di fase 2 NEOPRISM-CRC, condotto da un team di ricerca internazionale sotto la guida di scienziati britannici dello University College di Londra (UCL), sembrano dimostrare l’efficacia di un farmaco immunoterapico nel combattere il tumore all’intestino, tanto che in futuro potrebbe addirittura sostituire l’intervento chirurgico per molte persone.
Si tratta del Pembrolizumab (principio attivo del farmaco Keytruda), un anticorpo umanizzato – cioè proveniente da altre specie animali e poi ingegnerizzato per renderlo più “umano” – utilizzato da alcuni anni nella lotta a varie tipologie di tumori: dal melanoma al carcinoma polmonare, passando per i tumori a mammella e stomaco. La sua efficacia efficacia è stata dimostrata anche contro il linfoma di Hodgkin e il cancro al seno triplo negativo, quest’ultimo tra i più difficili da contrastare.
Tra gli istituti coinvolti nello studio, presentato a Chicago, durante il meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), figurano il Christie NHS Foundation Trust di Manchester, gli ospedali universitari di Leeds e Southampton, il Cancer Research UK e l’Università di Glasgow.
Pembrolizumab è stato testato su uno specifico gruppo di pazienti con tumore al colon-retto, ovvero quelli che presentano “un deficit del mismatch repair (MMR), che limita la capacità delle cellule tumorali di riparare il danno al Dna”, come specificato in un comunicato stampa dell’ASCO. Tutti i tumori si trovavano allo stadio II o III e sono stati sottoposti al trattamento prima dell’intervento chirurgico normalmente previsto in questi casi.
Proprio il tumore al colon-retto è tra i più diagnosticati al mondo. Risulta infatti al terzo posto (1,9 milioni di casi nel 2023), dopo il cancro al polmone e quello al seno, e al secondo in Italia (circa 50mila diagnosi annue). Inoltre è annoverato tra i cosiddetti Big Killer, ossia tra quelli col più alto tasso di mortalità. Secondo i dati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), lo scorso anno ha provocato la morte di circa 900mila persone, mentre l’ultimo rapporto de “I numeri del cancro in Italia” ha rilevato 19.800 decessi nel 2022, al secondo posto dopo il carcinoma polmonare (34mila vittime).
Stando ai risultati dello studio di fase 2 NEOPRISM-CRC, i pazienti trattati con Pembrolizumab prima dell’operazione sono risultati liberi dal tumore in numero decisamente superiore rispetto a quelli sottoposti al trattamento chemioterapico standard. Nello specifico, sono guariti ben 32 soggetti (59%), rispetto al 4% rilevato negli studi che hanno indagato sull’efficacia della chemioterapia.
Ma come agisce esattamente Pembrolizumab? Tecnicamente si tratta di un inibitore del checkpoint. In parole povere, come spiegato dal Cancer Research UK, “blocca le proteine che impediscono al sistema immunitario di attaccare le cellule tumorali”, favorendo quindi l’azione immunitaria contro i tumori.
In un’intervista al Guardian l’oncologo Mark Saunders ha affermato che si tratta di risultati “entusiasmanti”. E ha aggiunto: “L’immunoterapia prima dell’intervento chirurgico potrebbe diventare un punto di svolta per i pazienti affetti da questo tipo di tumore. Non solo il risultato è migliore, ma evita ai pazienti di sottoporsi a chemioterapia più convenzionale, che spesso ha diversi effetti collaterali. In futuro l’immunoterapia potrebbe addirittura sostituire la necessità di un intervento chirurgico”.
Nel comunicato ASCO il professor Charles Swanton ha sottolineato: “Questo piccolo studio a braccio singolo aggiunge prove consolidate che i farmaci inibitori del checkpoint aiutano a trattare il tumore intestinale prima dell’intervento chirurgico, attivando le funzioni antitumorali del sistema immunitario in pazienti con una specifica anomalia nella riparazione del Dna”.
Redazione Nurse Times
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