Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Baldassare Palumbo, studente nato a Mazara del Vallo ed iscritto al corso di laurea in Infermieristica presso La Sapienza di Roma.
Ha voluto condividere con i futuri collegi e con tutti i lettori di Nurse Times quanto vissuto in tirocinio, in seguito alla decisione di indossare il fonendoscopio al collo.
Riportiamo di seguito la testimonianza.
Buongiorno! Sono uno studente di infermieristica ormai a fine secondo anno e vi seguo dal primo giorno dell’inizio delle lezioni. Mi capita spesso di leggere i vostri articoli e l’idea che mi sono fatto della situazione generale della professione è che ci siano due fazioni:
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la Fazione, definita dagli stessi che si reputano di farne parte, dei “30 anni di servizio“
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e quella emergente fatta di studenti, neolaureati e tanti altri che non rientrano nella prima fazione, vista dai primi come “dottori con la laurea breve“.
Ho provato a darmi una risposta sul perché dell’esistenza di questi due gruppi che si scontrano, a volte animatamente, su temi caldi quali le cure igieniche e il rifacimento dei letti, ma ancora non sono sicuro di poter giustificare il tutto se non attraverso la NON CONOSCENZA da parte di tutti della vera figura dell’infermiere.
Alla mia decisione, due anni or sono, di riprendere gli studi dopo circa 10 anni dal diploma, tutto mi era oscuro, talmente tanto oscuro che prima di fare la valigia, dopo aver superato i test di ingresso a Roma, mi sono fatto regalare un FONENDOSCOPIO, uno di quelli economicamente accessibili a tutti.
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Allora non avevo idea dell’importanza che questo avrebbe avuto sul mio percorso e vi spiego; cominciai le lezioni e col tempo ebbi la consapevolezza che quello strumento non fosse stato comprato per stare attaccato ad un chiodo ma perché da infermiere, nell’esame obiettivo, sarebbe stato di fondamentale importanza!
Allora, consapevolmente lo portai in tirocinio e lì, ebbi l’occasione di acquisire un’ulteriore duplice consapevolezza: ero l’unico ad averne uno e a portarlo con me ma soprattutto il fatto di portarlo al collo (come i medici fanno) ha suscitato verso i tutor in ospedale pensieri discordanti.
Pensieri del tipo “Guarda questo che cosa si crede di poter fare” e “Guarda un po’ questo ha un Fonendoscopio e fa bene perché ha le capacità per utilizzarlo e sfoggiarlo“.
Chi avrebbe potuto pensare, quel giorno prima della partenza, che uno strumento tale avrebbe segnato la mia figura all’interno di un ospedale.
Già, perché è assolutamente vero che a noi studenti vengano “assegnati” compiti a volte denigranti ma è allo stesso tempo vero che studiando, e anche tanto, per i tutor diventi una risorsa essenziale per la loro crescita professionale.
Personalmente i primi due mesi di tirocinio ho sperimentato e fatto mia l’assistenza “alberghiera” e “igienica” ma successivamente sono stato del tutto seguito nelle attività specifiche dell’infermiere, differenziandomi dai miei colleghi universitari che in alcuni casi mi guardavano anche male.
Ma in fondo io ero lo “studente col fonendoscopio al collo“.
In conclusione quando finirò il corso di studi, grazie anche agli spunti che mi date, avrò la consapevolezza che l’infermiere deve avere una cultura scientifica e ampia!
È grazie alla conoscenza che si crea sviluppo, in questo caso professionale, e a volte coadiuvati anche da un Fonendoscopio.
Ringraziamo Baldassarre Palumbo per la preziosa testimonianza che sicuramente risulterà essere un’interessante fonte di discussione.
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