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Sonno: poche ore, ma buone. L’esperto: “Stop allo sleep terrorism”

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Sonno e rischio cardiovascolare: qual è l'orario migliore per andare a letto?
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In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il professor Giorgio Gilestro, neurobiologo del sonno, sottolinea l’importanza della regolarità, più che della quantità.

Attenzione allo sleep terrorism: a lanciare il monito è Giorgio Gilestro, neurobiologo del sonno, professore associato al dipartmento di Life Sciences dell’Imperial College di Londra: “Lo sleep terrorism è una tendenza diffusa a trasformare il poco sonno in una minaccia: se non dormi sette ore per notte, ti ammalerai di cancro, diabete, demenza e altre patologie”.

Dormire troppo poco o troppo a lungo è stato a lungo collegato a un maggior rischio di mortalità precoce, e proprio la durata del sonno è rimasta al centro delle linee guida per la salute. Ma oggi la ricerca apre un nuovo fronte: a contare davvero, per diversi esiti clinici, potrebbe essere soprattutto la regolarità del ritmo sonno-veglia, più ancora del numero di ore passate a letto.

A sostegno di una visione meno rigida sul “numero ideale di ore dormite” c’è uno studio del 2023 condotto su quasi 61 mila partecipanti della UK Biobank. I ricercatori hanno calcolato un indice di regolarità del sonno, analizzando oltre 10 milioni di ore di tracciamenti raccolti con accelerometri (che registrano i movimenti giorno e notte, permettendo di capire quando una persona dorme e quando è sveglia), con un follow-up medio di 6,3 anni.

I risultati mostrano che una maggiore regolarità del ritmo sonno-veglia si associa a un rischio di mortalità significativamente più basso: 20–48% in meno per tutte le cause, 16–39% in meno per il cancro e 22–57% in meno per le malattie cardiometaboliche, rispetto al gruppo con i ritmi più irregolari. La regolarità si è rivelata un predittore più forte della durata. In altre parole, andare a letto e svegliarsi con orari costanti sembra proteggere più delle “classiche” otto ore di sonno.

Alla guida di un laboratorio dedicato allo studio dei meccanismi molecolari e comportamentali del sonno, anche Gilestro con le sue analisi è giunto alla conclusione che non è “quante ore dormiamo”, ma piuttosto il ruolo dello stress e della qualità del riposo ad influenzare la nostra salute.

Gilestro ricorda che chi soffre di insonnia trova beneficio soprattutto dalla terapia comportamentale. In questi percorsi lo psicoterapeuta non chiede di aumentare le ore di sonno, ma di ridurre l’ansia legata al non dormire. “Don’t stress about it”, è la regola di base: meno ci si preoccupa del fatto di stare svegli, meno il problema condiziona la vita quotidiana. Riducendo lo stress, il sonno tende a diventare più continuo e la performance durante il giorno migliora, anche se la quantità di ore rimane ridotta.

Per esplorare il rapporto tra sonno e salute il laboratorio di Gilestro ha sviluppato strumenti robotici che permettono di interrompere il sonno delle mosche solo quando effettivamente dormono, limitando al minimo lo stress.

“A differenza dei metodi tradizionali (vibrazioni, tapis roulant, persino scosse elettriche nei ratti), questi sistemi consentono di distinguere l’effetto della privazione di sonno da quello dello stress indotto dall’esperimento”, spiega il ricercatore.

Con questa tecnologia ha avviato la deprivazione del sonno in mosche di tre giorni di vita, proseguendo per tutta la loro esistenza. Il risultato ha sorpreso: la longevità non cambia. Dormire pochissimo per tutta la vita non ha ridotto l’aspettativa di vita degli insetti.

Un altro studio, pubblicato dal gruppo del professore dell’Imperial College, ha messo in discussione il concetto di omeostasi del sonno, cioè la tendenza a recuperare il sonno perduto. Nelle mosche maschio, per esempio, durante il corteggiamento si osservano giornate intere di veglia, senza alcun sonno. Ma quando la femmina viene rimossa, il maschio non sente il bisogno di “recuperare” le ore perse. Se invece il sonno viene interrotto artificialmente dai robot o da altri maschi con cui combattere, allora sì, si osserva un forte rimbalzo.

“Questo dimostra che non è la quantità di sonno perduto a determinare il recupero, ma la qualità e il contesto in cui viene perso – afferma il ricercatore italiano -. Molte delle associazioni tra poco sonno e malattie potrebbero essere spiegate proprio dallo stress cronico, che è esso stesso causa di infiammazione, squilibri metabolici e vulnerabilità psicologica. Il sonno disturbato diventa così un sintomo dello stress, più che la sua causa”.

In termini di salute pubblica, ricorda Giorgio Gilestro, le terapie dovrebbero puntare a ridurre lo stress, più che a inseguire un numero fisso di ore dormite. E nella comunicazione è necessario evitare messaggi allarmistici che rischiano di alimentare ansia e peggiorare i problemi di insonnia, mentre nelle politiche sanitarie ha più senso lavorare su fattori che riducono lo stress lavorativo, sociale e ambientale, promuovendo routine regolari e stabili, che riducano lo stress biologico e psicologico legato a ritmi alterati e favorendo indirettamente anche un sonno migliore.

“Il sonno resta un bisogno biologico fondamentale, ma non va separato dal quadro complessivo di salute mentale e condizioni di vita”, conclude l’esperto. A fare la differenza è la qualità del sonno e, soprattutto, il modo in cui impariamo a gestire lo stress.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Sole 24 Ore

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