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Risarciti i dipendenti di una Asl per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di reperibilità attiva

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Riceviamo e pubblichiamo un contributo editoriale del dott. Carlo Pisaniello, vice presidente dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico 

Commento a Cassazione sez. lavoro n. 18654 27 luglio 2017 “Risarciti i dipendenti di una Asl per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di reperibilità attiva”

Devono essere risarciti i dipendenti dell’azienda sanitaria locale per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di reperibilità attiva: il fatto che sia previsto un compenso maggiorato per l’attività prestata nel giorno festivo non incide sul diritto del dipendente al giorno libero che deve essere garantito dall’Asl a prescindere da una richiesta ad hoc, ma solo nel caso di chiamata in pronta disponibilità attiva.

E ciò perché è un diritto indisponibile, riconosciuto dalla Costituzione italiana e dall’art. 5 della direttiva 2003/88/Ce. È quanto emerge dall’ordinanza 18654/17, pubblicata il 27 luglio dalla sezione lavoro della Cassazione.

Ma veniamo al fatto.

Con la sentenza del 13 febbraio 2012 la Corte territoriale di Genova, confermando la precedente pronuncia del tribunale di prime cure di Massa, ha respinto le domande proposte contro la ASL X dai litisconsorti indicati in ricorso, alcuni infermieri e alcuni medici dipendenti della stessa ASL, i quali, avendo svolto il servizio di pronta disponibilità anche nei giorni festivi (come è contrattualmente previsto) avevano chiesto:

  • il riconoscimento del diritto a fruire in ogni caso del riposo compensativo;
  • il risarcimento del danno subito per la mancata fruizione del riposo;
  • la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario da calcolarsi, in caso di chiamata effettiva alla quale non aveva fatto seguito la concessione del giorno di riposo, su tutte le ore di lavoro prestate dopo la settima giornata sino al giorno di effettivo godimento del riposo settimanale.

Avverso la sentenza il Sig. FA più i litisconsorti hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difesa la ASL X con controricorso.

Il ricorso è stato fissato dinanzi alla sezione semplice della Suprema Corte, il P.G., ha  dichiarato inammissibile il ricorso per i primi due motivi ed ha accolto il terzo e il quarto.

Con i due primi motivi di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge e di contratto (art. 1, D.lgs. n. 66/2003; artt. 36 e 97 Cost.; artt. 7 CCNL 20.09.2001 del comparto sanità e art. 17 CCNL  03.11.2005 della dirigenza medica) nonché della direttiva europea 2003/88/CE e deducono che la pronta disponibilità deve essere equiparata al lavoro effettivo, essendo tale qualsiasi periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, sicchè al dipendente va in ogni caso  concesso il riposo compensativo, a prescindere da una sua manifestazione di volontà in tal senso.

I motivi succitati debbono ritenersi manifestamente infondati perché la sentenza impugnata, nell’escludere che il servizio di pronta disponibilità “passiva” (ossia senza essere chiamati in servizio) possa essere equiparato al lavoro effettivo e, nell’interpretare le disposizioni contrattuali in rilievo, si è attenuta al principio di diritto  consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, con plurime pronunce, ha escluso equiparazione ed ha evidenziato che dalla prestazione di servizio non deriva automaticamente il diritto del dipendente a fruire del riposo compensativo, rimesso invece alla sua discrezionalità (da recuperare), Cass. 4.4.16 n. 6491; Cass. 18.3.16 n. 5465; Cass. n. 9316/14; Cass. n. 11730/13; Cass. n. 4688/11; Cass. n. 27477/08; Cass. n. 18812/08.

Le sentenze n. 5465 e 6491 del 2016 hanno interpretato le disposizioni contrattuali in modo analogo, evidenziando che per il servizio di pronta disponibilità che non ha comportato la chiamata in servizio del dipendente, le parti collettive (Aran) hanno previsto la concessione del riposo  compensativo “senza riduzione del debito orario settimanale”, ossia di una giornata di riposo la cui fruizione lascia immutata l’ordinaria prestazione oraria settimanale, imponendo una variazione in aumento della durata dell’attività lavorativa da prestare negli altri giorni della settimana , per cui la giornata di riposo pretesa deve essere recuperata.

L’obbligo del datore di lavoro di concedere la giornata di riposo, rimodulando conseguentemente l’orario di lavoro settimanale, sorge solo quando il dipendente ne faccia esplicita richiesta, che trova la sua ratio nella maggiore gravosità della prestazione; in caso di riposo compensativo deve essere resa negli altri giorni lavorativi.

I motivi del ricorso non prospettano argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni a fondamento del principio affermato sono integralmente condivise dal collegio.

Ad avviso dei ricorrenti, ove nel corso della pronta disponibilità si renda necessaria la presenza in servizio e quindi la prestazione effettiva, l’azienda sanitaria non può limitarsi a corrispondere la maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nella giornata festiva, ma deve anche garantire il riposo settimanale, che è irrinunciabile e si pone su un piano diverso e distinto da quello della quantificazione del trattamento retributivo previsto dalle parti collettive  per la prestazione resa a seguito di chiamata, nonché dal riposo compensativo che può essere richiesto in luogo della prevista maggiorazione.

La questione posta è già stata affrontata da questa corte con le richiamate decisioni nn. 5465 e 6491 del 2016 con le quali si è esclusa la nullità della disciplina dettata dalle parti collettive, evidenziando che l’art. 7 del CCNL 20.09.2001 e l’art. 17 del CCNL 3.11.2005, nella parte in cui escludono la riduzione del debito orario complessivo, si riferiscono unicamente alla reperibilità passiva.

Le succitate pronunce hanno anche sottolineato che la previsione di un compenso maggiorato per l’attività prestata il giorno festivo non incide, neppure indirettamente, sulla disciplina della durata complessiva settimanale dell’attività lavorativa e sul diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dall’azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Costituzione oltre che dalla direttiva comunitaria 2003/88/CE.

Il collegio intende dare continuità al suddetto orientamento perché, per il personale del comparto come anche per quello dirigente, gli artt. 20 del CCNL 1.1.1995 e  22 del CCNL 5.12.1996, affermano con chiarezza che il “riposo settimanale non è rinunciabile e non può essere monetizzato”.

Il divieto di monetizzazione e di attribuzione di trattamenti retributivi non previsti dalla contrattazione collettiva, nonché la disciplina dell’orario di lavoro dettata per il personale del comparto e della dirigenza del servizio sanitario nazionale, escludono che possa essere ritenuto “straordinario” il lavoro prestato nei giorni successivi a quello nel quale doveva essere goduto il riposo settimanale, sicchè è corretta la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la domanda volta ad ottenere a titolo retributivo la maggiorazione stipendiale.

La corte territoriale ha anche escluso il diritto al risarcimento del danno valorizzando la mancanza di prova in ordine all’esistenza dei pregiudizi lamentati; così facendo ci si è discostati dal principio di diritto affermato da questa corte (Cass. 1.12.2016 n. 24563; Cass. 16.8.2015 n. 16665; Cass. 25.10.2013 n. 24180; Cass. S.U. 7.1.2013 n. 142) secondo cui la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché “l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicchè la lesione dell’interesse espone direttamente il datore a risarcimento del danno…”

La sentenza impugnata nell’escludere il diritto al risarcimento del danno per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di pronta disponibilità attiva, non ha correttamente interpretato le disposizioni contrattuali rilevanti e si è posta in contrasto con i principi di diritto sopra indicati.

In parte quindi la questione deve essere cassata con rinvio alla corte territoriale di Genova in diversa composizione che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi di diritto su richiamati e provvedendo anche alle spese di giudizio.

La corte quindi accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso del folto gruppo di lavoratori inquadrati nelle categorie di infermieri e medici. L’errore della Corte d’appello di Genova sta proprio nell’interpretazione dei contratti collettivi, nei punti in cui prevede la maggiorazione per il lavoro festivo e dove afferma con chiarezza che «il riposo settimanale non è rinunciabile» né può «essere monetizzato».

Sbaglia quindi il giudice del merito nell’escludere il risarcimento sul rilievo che mancherebbe la prova dei pregiudizi lamentati dai lavoratori: la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto proprio in base alla copertura costituzionale offerta dall’art. 36 della Carta Costituzionale, e dunque la lesione dell’interesse del lavoratore espone direttamente il datore al ristoro del pregiudizio.

 

Dott. Carlo Pisaniello

 

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