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Riforma dell’accesso a Medicina: 30mila medici in più, ma non mancano le perplessità

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Il magazine AboutPharma ha pubblicato un’interessante disamina sulle possibili conseguenze derivanti dall’abolizione del test d’ingresso e dall’introduzione del semestre filtro. I dubbi di Fnomceo e Anaao Assomed.

A partire dal prossimo anno accademico l’ingresso alla facoltà di Medicina nelle università statali vedrà un cambiamento radicale. Il tradizionale test d’ingresso a numero chiuso è stato abolito ed è stato introdotto un nuovo sistema, basato sul cosddetto semestre filtro.

Con la Legge 2149, approvata il 7 marzo in via definitiva alla Camera, si dà inizio a un nuovo corso: gli studenti interessati potranno iscriversi liberamente e frequentare le lezioni per i primi sei mesi. Scaduto il termine, l’accesso al secondo semestre e la prosecuzione degli studi saranno determinati dal punteggio raggiunto dagli studenti in una graduatoria nazionale di merito, basata sui crediti ottenuti con gli esami conseguiti.

Per il ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, l’abolizione del test d’ingresso è “una vera rivoluzione”, perché mette al centro le esigenze degli studenti e risponde alla carenza di camici bianchi. “In sette anni – spiega il ministro – le università italiane formeranno 30 mila medici in più, sostenute da maggiori risorse finanziarie. Un investimento che rafforza il nostro sistema sanitario, continuando a garantire una formazione d’eccellenza”.

Le nuove modalità, però, non accontentano tutti e sollevano critiche da parte degli studenti e dai medici già inseriti nel sistema sanitario.

Il piano B

La riforma garantisce un piano B in caso di mancato superamento della selezione. Agli iscritti al semestre filtro, infatti, sarà richiesta l’iscrizione (obbligatoria e gratuita) a un secondo corso di laurea inerente l’area biomedica, sanitaria, farmaceutica o veterinaria. Gli studenti avranno fino a tre tentativi per superare gli esami. In caso di non ammissione, i crediti di formazione universitaria (Cfu) ottenuti saranno riconosciuti per proseguire nell’iter alternativo prescelto.

Al momento la riforma non si applica alle università private, che possono mantenere così i propri test d’ammissione, né ai corsi di medicina in lingua inglese. In sostanza, la selezione per medicina si sposta da una valutazione iniziale a una basata sul rendimento universitario durante i primi sei mesi di studio, con lo scopo di offrire a più studenti l’opportunità di iniziare il percorso medico-sanitario.

Autonomia degli atenei

Varata la legge il Consiglio dei ministri ha approvato a fine marzo il primo dei decreti attuativi. Il testo dà carta bianca alle università per individuare le modalità di erogazione della didattica più opportune, organizzando le attività formative sulla base del numero di iscritti al semestre filtro e, a seconda dei casi, anche mediante l’integrazione tra didattica in presenza e modalità da remoto.

Stando alle indicazioni nel decreto, l’uniformità di giudizio dei ragazzi per il loro posizionamento nella graduatoria nazionale sarà garantito con la previsione di esami standardizzati a livello nazionale e l’adozione di modelli di valutazione internazionali. Lo studente in posizione utile potrà proseguire gli studi nello stesso ateneo dove ha sostenuto il primo semestre o, sulla base della disponibilità dei posti, cambiare sede. In questo secondo caso, sarà lo stesso ragazzo a indicare dove proseguire il corso fino a cinque sedi secondo un ordine di preferenza.

Le materie

Al ministero dell’Università e della Ricerca, è già al lavoro il gruppo del Tavolo consultivo, presieduto dal professor Andrea Lenzi, che dovrà supportare il dicastero per l’analisi, lo studio e l’elaborazione di proposte di revisione dell’accesso e della formazione nei corsi di studio di area di Scienze della Salute, in attuazione della delega legislativa. L’obiettivo è definire in tempi rapidi il cosiddetto Syllabus, l’elenco delle materie caratterizzanti del primo semestre di medicina, odontoiatria e veterinaria, fondamentale per garantire omogeneità, qualità formativa e maggiore equità nei percorsi di selezione e orientamento.

Un bluff?

Il nuovo sistema di accesso ha sollevato diverse preoccupazioni, fin dai primi annunci del governo oltre un anno fa. Alcuni mettono in dubbio l’efficacia della riforma nel risolvere il problema. della carenza di medici specialisti in alcune discipline, sottolineando come il problema principale non sia tanto il numero di laureati, quanto la mancanza di attrattività del settore pubblico e le limitate opportunità nel privato per alcune specializzazioni.

Altri, come molti partiti di opposizione in Parlamento, criticano la riforma definendola un bluff, sostenendo che non abolisca realmente il numero chiuso, ma ne sposti solo di sei mesi la selezione. Temono inoltre che si tratti di un pasticcio inattuabile a breve termine, data la necessità di riorganizzare la programmazione universitaria in tempi stretti e sottolineano come la delega al governo sulle modalità di selezione nel semestre filtro sia troppo generica, lasciando incertezze sul futuro.

Apertura parziale e altri dubbi

Qualche perplessità viene espressa dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) che, riguardo all’iscrizione libera al primo semestre dei corsi di laurea, avanza la proposta. “Il percorso di orientamento e di preparazione agli esami del primo anno di università – si legge in una nota – potrebbe, utilmente, essere anticipato agli ultimi anni del liceo, sul modello già sperimentato dei licei biomedici”. Apertura, dunque, sì, ma sostenibile: “Non un’abolizione del numero chiuso tout court che prescinda da una corretta programmazione dei fabbisogni di medici e odontoiatri. Il rischio, altrimenti, è quello di una nuova pletora medica, che creerebbe disoccupazione e inoccupazione”.

Dubbi sono stati sollevati anche da alcuni docenti universitari sulla capacità delle strutture universitarie attuali di gestire un afflusso potenzialmente molto elevato di studenti nel primo semestre senza un aumento adeguato di risorse e personale docente. Sul finire dello scorso anno, il rettore dell’Università di Pisa, Riccardo Zucchi, sentito dal Foglio, criticava: “Ogni anno abbiamo 1.200-1.300 richieste di iscrizione. Dove li faremo sedere? Coinvolgiamo gli atenei telematici? Non voglio nemmeno pensarci…”

Pure tra gli studenti e gli aspiranti medici la riforma non è stata accolta con unanime favore. Tra le voci, quella dell’Unione degli universitari è critica rispetto al fatto che, nonostante l’apparente apertura, il semestre filtro possa generare maggiore incertezza e stress, con una forte competizione per un periodo prolungato.

Rischio pletora

Contrario alla legge è Pierino Di Silverio, segretario generale del sindacato dei medici, Anaao Assomed. “Non elimina – dice – il numero chiuso, come in maniera erronea vogliono far credere, ma posticipa solo l’entrata di sei mesi. In associazione a questa modifica, l’aumento contestuale dei posti nelle facoltà produrrà una pletora stimata fra i 30 e i 60 mila medici, in considerazione dei pensionamenti che raggiungeranno il loro apice nel 2026, per poi scendere a seguito delle esigenze del fabbisogno che abbiamo stimato da qui al 2035”.

Nel frattempo, dato che non è previsto un aumento di posti nelle scuole di specializzazione (intorno ai 14 mila annuali) viene da chiedersi quale sbocco professionale avranno i laureati in medicina che non riusciranno a entrare. “Senza titolo di specialista – commenta Di Silverio – non si entra in ospedale. I medici che non si specializzeranno in Italia andranno all’estero o nel privato”.

Bassa qualità

La modifica delle modalità di accesso ridurrà inoltre la qualità del livello didattico, secondo il segretario dell’Anaao Assomed. “Mi chiedo – afferma – in che modo e in quali aule verranno formati gli 80 mila studenti. Ma non solo, la normativa dice che i corsi della facoltà di medicina debbano essere seguiti in maniera obbligatoria e mi chiedo come possano farlo negli spazi odierni. Un altro problema è dato dal fatto che lo studente che oggi sceglie di iscriversi a medicina avrà la possibilità, secondo quanto dice la nuova legge, di scegliere un’altra facoltà di area sanitaria ma non abbiamo ancora capito quali. Ad oggi, la normativa prevede che quando si cambia facoltà, per i primi sei mesi, non è possibile dare esami. Ciò significa che uno studente, dopo sei mesi di medicina, deve aspettarne altrettanti per cominciare un percorso”.

Rebus valutazione

Anche la modalità con cui verranno selezionati gli studenti al termine dei sei mesi è ancora incerta. Spiega Di Silverio: “Sarà, da una parte, una valutazione basata sui testi e, dall’altra, fondata sulla votazione che i ragazzi conseguiranno negli esami. Chi però assicurerà omogeneità nella valutazione? Chi assicura che i figli dei professori non avranno tutti 30 e lode e i figli di nessuno non saranno svantaggiati con voti inferiori? Insomma, è un decreto che a noi pare senza capo né coda, che rischia di peggiorare la qualità formativa e preclude la possibilità agli studenti di accedere agli studi”.

E ancora: “Peraltro sono molto preoccupati anche i rettori, i presidi, la componente docente, gli studenti, gli specializzandi e gli infermieri. Questi ultimi hanno giustamente fatto notare che, già oggi, il 40% di chi prova senza successo a entrare alla facoltà di medicina, poi sceglie di iscriversi a scienze infermieristiche. Se per sei mesi si dà l’illusione ai ragazzi di poter entrare a medicina, si rischia allo stesso tempo di svuotare ancor di più scienze infermieristiche. Penso che sia una scelta scellerata sotto il profilo della proiezione futura, della qualità formativa e della possibilità di lavoro. Mi sembra sia frutto di un chiaro disegno per il quale si vorrebbe creare una pletora medica per abbassare la qualità, la richiesta e la professionalità”.

Allo scenario delineato dal ministro Bernini (numero maggiore di medici da impiegare nel settore farmaceutico) Di Silverio risponde critico: “Ancora una volta il ministro pecca di competenza. Il mondo della farmaceutica richiede un numero di medici (peraltro specialisti) talmente esiguo che non è certo aumentando a 30 mila posti che si risolve il problema. Il problema che il ministro non percepisce è rappresentato dalle regole alla base dell’ingresso nel mondo del lavoro. Se in Italia sei un medico generico, non puoi lavorare da nessuna parte, o meglio, puoi fare il medico alle gare sportive, qualche sostituzione come guardia medica, ma non puoi essere integrato in nessun ambiente lavorativo. Si creerà di nuovo quell’imbuto formativo che abbiamo eliminato dopo una dura battaglia e che ha provocato anni di precariato selvaggio dei quali ancora paghiamo oggi le conseguenze”.

Doppio canale

La lista di dubbi avanzati dal segretario Di Silverio non finisce qui: “La riforma avvantaggia solo le università private le quali, non avendo ancora ricevuto i decreti attuativi e non sapendo se sono o non sono destinatarie della riforma, hanno iniziato la preselezione per il prossimo anno accademico con la vecchia metodologia”.

Il rischio per il segretario è di avere due diversi canali formativi: “Uno delle università private, che potranno assicurare una qualità formativa maggiore perché avranno meno studenti e uno delle università pubbliche, di serie B. Insomma, ci stiamo americanizzando anche in termini formativi nel peggiore dei modi possibile. È un disastro”. E in conclusione aggiunge: “Avranno sulla coscienza migliaia di studenti che oggi vengono illusi e domani saranno disillusi. Ma, soprattutto, la cosa grave è che sulla coscienza si porteranno la salute dei pazienti”.

Redazione Nurse Times

Fonte: AboutPharma

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