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Riconducibilità dell’infortunio a causa di servizio: il caso del contagio da epatite C addebitato da un infermiere all’Asl 2 Castrovillari

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Riconducibilità dell'infortunio a causa di servizio: il caso del contagio da epatite C che un infermiere addebitava all'Asl 2 Castrovillari
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Di seguito il commento dell’avvocato Emanuela Foligno, pubblicata sul sito Responsabilecivile.it e riguardante la singolare vicenda del contagio da epatite C che un infermiere addebita alla Asl Castrovillari. La Cassazione si sofferma sulla riconducibilità dell’infortunio a causa di servizio e sull’inversione dell’onere della prova secondo l’art. 2087 c.c. (Cassazione Civile, sez. lav., 15/04/2024, n.10043).

Entrambi i giudici di merito respingono la domanda risarcitoria dell’infermiere. Quest’ultimo, aveva agito nei confronti della Asl 2 Castrovillari per il danno da contagio dal virus dell’epatite C che assumeva di aver contratto mentre prestava servizio presso l’ospedale San Marco Argentano (foto).

In data 7 maggio 1994 l’infermiere si era accidentalmente punto al tallone destro, entrando in contatto con una siringa che, insieme ad altro materiale sanitario, era stata lasciata a terra in un sacchetto di plastica, lungo un corridoio dell’ospedale, in tal modo contraendo la malattia la cui riconducibilità a causa di servizio era stata peraltro riconosciuta dalla commissione medica e dal comitato di verifica.

Il primo giudice respingeva la domanda ritenendo che l’infermiere avesse azionato il titolo extracontrattuale e concludendo che la domanda era da ritenersi prescritta ai sensi dell’art. 2947 c.c.

La Corte d’appello di Catanzaro respingeva il gravame con diversa motivazione: qualificava la domanda proposta dall’infermiere in termini di responsabilità contrattuale, conseguentemente ritenendo infondata l’eccezione di prescrizione quinquennale dichiarata dal tribunale. Ritenuto la domanda infondata, non essendo stata fornita adeguata prova del fatto materiale da cui, secondo la ricostruzione attorea, sarebbe derivato il danno.

Il vaglio della Corte di Cassazione

L’infermiere, per quanto qui di interesse, si duole del fatto che la Corte non abbia integralmente esaminato le prove documentali, operando una selezione e valutazione solo di alcuni di esse, ed escludendo immotivatamente la valutazione di altre. E anche che i giudici abbiano omesso di rilevare che la riconducibilità dell’infortunio a causa di servizio costituiva circostanza non contestata da parte dell’azienda sanitaria e che la Corte abbia erroneamente omesso di procedere ad un ragionamento probabilistico e presuntivo sulla scorta degli elementi addotti in giudizio, oltre ad errata ripartizione degli oneri probatori. Quest’ultima censura, connessa alla regola di cui all’art. 2087 c.c., è corretta.

La Corte di appello, dopo aver qualificato il titolo di responsabilità come responsabilità ex art. 2087 c.c., ha correttamente richiamato il principio generale per cui, non costituendo l’art. 2087 c.c. ipotesi di responsabilità oggettiva, grava comunque sul lavoratore l’onere di allegare, sia gli indici della nocività dell’ambiente lavorativo cui è esposto, sia il nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione e i danni subiti.

Tuttavia ha fatto seguire un giudizio di inidoneità del quadro probatorio fornito dall’infermiere a supporto della propria pretesa, avendo ritenuto radicalmente assente adeguata prova della dinamica dell’incidente che provocava la patologia lamentata, disattendendo i principi dell’attività istruttoria nel rito del lavoro.

La tutela del diritto di difesa

Nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l’ipotesi di “assoluta mancanza di prove”.

Detto in altri termini, il giudice deve compiere la sua valutazione globalmente, non limitandosi a esaminare i singoli elementi. Ragionando in tal senso, la Corte di appello ha trascurato una circostanza di cui aveva dato atto nella ricostruzione dei fatti di causa, e cioè la precedente attivazione della procedura per il riconoscimento al ricorrente della causa di servizio proprio in relazione all’incidente cui viene attribuita la fonte del contagio accidentale, procedura nell’ambito della quale era stato espresso giudizio favorevole sia dalla commissione medica sia dal comitato di verifica.

Così facendo i giudici di appello non hanno dato seguito, errando, ai numerosi precedenti che hanno evidenziato i potenziali riflessi che l’accertamento positivo svolto in sede di riconoscimento dell’equo indennizzo può avere sulla ripartizione degli oneri probatori nell’ambito della responsabilità ex art. 2087 c.c., evidenziando che tale accertamento, qualora venga ritenuto utilizzabile dal Giudice di merito, determina a favore del lavoratore l’inversione dell’onere della prova prevista dall’art. 2087 c.c., di modo che grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso.

Redazione Nurse Times

Fonte: Responsabilecivile.it

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