Ossigenazione del sangue e frequenza respiratoria sono i due parametri da tenere sotto osservazione a casa per prevedere il rischio Covid-19 grave. Adesso, lo ricorda uno dell’Università di Washington, pubblicato sulla rivista Influenza and Other Respiratory Viruses.
L’OMS consiglia ai pazienti di cercare assistenza medica per i “problemi di respirazione”, ma i pazienti ipossiemici spesso non hanno sintomi respiratori. “Il nostro studio di coorte di pazienti COVID-19 ospedalizzati mostra che i sintomi respiratori sono rari e non associati alla mortalità” scrivono i ricercatori. “Al contrario, – continuano, – i segni oggettivi di compromissione respiratoria – saturazione di ossigeno e frequenza respiratoria – sono associati a una mortalità marcatamente elevata. I nostri risultati supportano l’espansione delle linee guida per includere la valutazione a domicilio della saturazione di ossigeno e della frequenza respiratoria al fine di accelerare i trattamenti salvavita dei pazienti ad alto rischio COVID-19“.
Le linee guida americane, infatti, non aiutano a massimizzare l’accesso precoce alle cure, perché consigliano di cercare assistenza medica unicamente in presenza di sintomi evidenti, come problemi nella respirazione o dolore toracico, che nel caso di Covid 19 possono presentarsi in ritardo, quando l’ipossiemia (la scarsa ossigenazione del sangue) ha già raggiunto livelli preoccupanti.
Nello studio i ricercatori di Washington hanno quindi seguito il percorso ospedaliero di oltre mille pazienti ricoverati per Covid in due grandi ospedali universitari americani tra marzo e giugno dello scorso anno, per valutare che impatto hanno i parametri clinici dei pazienti al momento del ricovero sulle loro chance di sopravvivenza. Guardando ai 197 pazienti deceduti in questo arco di tempo, hanno confermato che ossigenazione del sangue e frequenza respiratoria sono due parametri strettamente collegati alla mortalità. Un livello di ossigenazione pari o inferiore a 91% al momento del ricovero aumenterebbe infatti tra 1,8 e 4 volte il rischio di decesso, mentre una frequenza del respiro pari o superiore a 23 respiri al minuto aumenterebbe i rischi di 1,9 – 3,2 volte. Nessun altro parametro clinico registrato al momento del ricovero è risultato invece statisticamente significativo per valutare le probabilità di sopravvivenza dei pazienti.
“Nelle fasi iniziali della malattia la maggior parte dei pazienti Covid non ha problemi a respirare, possono avere livelli di ossigeno nel sangue molto bassi, ed essere comunque asintomatici”, commenta Nona Sotoodehnia, cardiologa dell’università di Washington che ha coordinato la ricerca. “Se i pazienti seguono le attuali linee guida, e chiedono aiuto solamente quando sviluppano problemi evidenti di respirazione, perdiamo quindi l’occasione di intervenire precocemente con le terapie salvavita attualmente disponibili”.
In Italia le indicazioni del ministero della Salute prevedono un monitoraggio attento delle condizioni dei pazienti da parte del medico di famiglia, e la valutazione dell’evoluzione della malattia basata proprio su parametri come l’ossigenazione del sangue e la frequenza del respiro, per valutare il ricovero o il ricorso alle terapie domiciliari, che (dove disponibili) prevedono l’utilizzo di ossigenoterapia e desametasone in caso di probabile peggioramento verso una forma grave di malattia.
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Fonti: onlinelibrary.wiley.com; wired.it (Valesini)
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