Di seguito la lettera aperta inviata da Uil Fpl – Area Metropolitana di Bologna ad Anna Maria Petrini e Michele Meschi, rispettivamente direttore generale e direttore sanitario dell’Ausl Bologna.
Recentemente, sia al tavolo trattante aziendale sia in sede di CTSS, è stato presentato l’ennesimo progetto di riorganizzazione dei servizi sanitari territoriali, che coinvolge i medici di medicina generale (MMG) e tutte le altre figure professionali impegnate in team nella medicina territoriale. Nel medesimo contesto ci sono stati illustrati anche gli interventi sui CAU di Casalecchio, Navile e San Lazzaro, oltre alla trasformazione del Pronto soccorso dell’ospedale di Bazzano in Punto di primo intervento (PPI).
Come Uil Fpl, abbiamo fin da subito espresso una posizione chiara e determinata. Siamo di fronte a scelte che incidono profondamente sull’organizzazione dell’assistenza, sulle condizioni di lavoro del personale e sulla sicurezza dei cittadini. Riteniamo quindi indispensabile un confronto reale, concreto e responsabile, perché in gioco c’è molto più di una semplice riorganizzazione di alcuni servizi. C’è l’equilibrio stesso del sistema sanitario locale.
Una riduzione mascherata da efficientamento
Il piano prevede per Bazzano un “recupero” di tre medici e cinque infermieri, presentato come ottimizzazione della rete dell’emergenza. In realtà si riduce la capacità di risposta di un presidio sanitario, si tagliano le dotazioni organiche e si definisce tutto ciò un passo avanti in termini di efficienza.
Numeri piccoli, effetti grandi. E logiche ancora più discutibili
La motivazione alla base del declassamento del Pronto soccorso di Bazzano si fonda su un calo degli accessi: da 51 a 48 pazienti al giorno in media. Una differenza minima – meno di tre accessi giornalieri – rilevata su un singolo quadrimestre. Si tenta dunque di trasformare una normale fluttuazione fisiologica in un’emergenza statistica per giustificare una decisione verosimilmente già presa.
Si enfatizza un dettaglio numerico, mentre si distoglie l’attenzione dalle questioni cruciali: la tenuta del servizio, la sicurezza delle cure, la centralità della persona. È opportuno ricordare che, in ambito epidemiologico e di programmazione sanitaria, un dato su quattro mesi non ha alcuna valenza strutturale.
Una provocazione: se un calo di tre accessi basta a depotenziare un presidio, cosa accadrà quando ne torneranno quattro in più? Ripristineremo tutto com’era? Sarebbe utile capire come l’efficienza pianificata si adatti ai flussi stagionali, in un sistema che non può essere gestito con una logica “giorno per giorno”.
Dove andranno i pazienti?
L’OBI (Osservazione breve intensiva) verrà di fatto chiusa, non essendo prevista all’interno del PPI. Attualmente oltre il 57% dei pazienti accolti in OBI viene poi ricoverato, a conferma della complessità dei casi trattati: persone fragili, in attesa di un posto letto, che necessitano di monitoraggio clinico costante. Con la chiusura dell’OBI questi pazienti saranno inevitabilmente dirottati altrove – presumibilmente al Pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore -, già oggi al limite della capacità operativa. Sovraccaricare ulteriormente strutture congestionate solleva interrogativi seri sulla tenuta del sistema di emergenza-urgenza.
PPI: una soluzione fragile e temporanea
Il DM 70/2015 consente la trasformazione di un Pronto soccorso in PPI solo in via temporanea. Il PPI non possiede la struttura, le dotazioni né il personale per gestire patologie tempo-dipendenti o emergenze complesse. Non prevede l’OBI, non dispone di diagnostica attiva h24 e non è in grado di sostenere il carico clinico che oggi Bazzano riesce a gestire. Se davvero si vuole trasformare il PS in PPI, è evidente che alcuni pazienti non potranno più essere accolti nella struttura di Bazzano. Questo va detto chiaramente e con onestà alla cittadinanza.
In mezzo, sempre gli operatori
Si invoca la carenza di personale per giustificare i tagli, salvo poi procedere con la riduzione dell’organico. Un paradosso evidente, che non può sfuggire a chi, come noi, rappresenta quotidianamente le lavoratrici e i lavoratori impegnati nei reparti e nei servizi. Persone che tengono in piedi un sistema già precario, fondato in larga parte sul senso di responsabilità e disponibilità dei professionisti. Prima si denuncia un’emergenza, poi si sceglie di alimentarla. Se davvero si vuole migliorare l’assistenza, questa non è la strada.
Cau ridotti, Pronto soccorso ridotti: e poi?
Il documento accenna anche a una possibile rimodulazione – leggasi riduzione – delle attività dei CAU, nati proprio per alleggerire i pronto soccorso. I PS vengono trasformati in PPI. Il risultato è prevedibile: sovraccarico dei PS cittadini e ulteriore stress per il personale sanitario, in particolare quello del comparto, già oggi al limite.
Conclusione
Non siamo contrari ai cambiamenti. Ma vogliamo che siano coerenti, motivati, partecipati e sostenibili. Questo piano, al contrario, appare affrettato nei dati, vago negli effetti e pericoloso nella gestione del rischio clinico.
Riteniamo urgente un confronto autentico, perché non si tratta soltanto di un riassetto organizzativo, ma della tenuta stessa del diritto alla salute dei cittadini. Procedere senza confronto significa dimenticare che un presidio sanitario non è solo una somma di numeri, ma un insieme vivo di professionalità, umanità e servizi che tengono unite le comunità locali, garantendo prossimità e continuità delle cure.
Togliere risorse e dignità a queste strutture equivale a indebolire la periferia, a discapito soprattutto dei cittadini più fragili. Il tutto in un contesto in cui l’Azienda sembra aver fatto della “riorganizzazione” una missione permanente: ne propone tante, e con tale frequenza, che i lavoratori si recano al lavoro senza sapere se troveranno la stessa struttura del giorno prima. Un quadro che rasenta il distopico.
Come Uil Fpl, riteniamo che ogni riorganizzazione richieda tempo per essere assorbita, metabolizzata e stabilizzata. Continuare ad attuarne una dopo l’altra, senza una fase di consolidamento, porta solo a confusione, demotivazione, perdita di identità professionale e inefficienza.
Se si vuole davvero parlare di cambiamento, allora si parta da qui: fermiamoci, ascoltiamo, valutiamo insieme. Perché l’assistenza non è un esperimento, ma un diritto da garantire equamente a tutti, valorizzando nel contempo l’impegno e la competenza del personale.
Redazione Nurse Times
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