Home Infermieri Normative Precariato nel settore sanitario: la risposta dell’AADI a Pierpaolo Volpe, infermiere forense
Normative

Precariato nel settore sanitario: la risposta dell’AADI a Pierpaolo Volpe, infermiere forense

Condividi
AADI: "Il candidato non vincitore di concorso o mobilità interna ha diritto ad avere i curricula e i fascicoli di tutti i partecipanti”
Condividi

L’Associazione Avvocatura Diritto Infermieristico risponde a Pierpaolo Volpe, infermiere forense.

PRECARIATO PUBBLICO, SUSSISTE NORMOFILACHIA TRA CORTE EUROPEA E SS.UU. DELLA CASSAZIONE

Caro Collega,

forse non siamo stati chiari ed esaustivi nei precedenti articoli e di questo ce ne dogliamo, ma non vogliamo perseverare nel discutere di temi bagatellari o di lana caprina pur se sentiti e vissuti personalmente, il dibattito non deve ridursi ad una battaglia all’ultimo respiro poiché ciò non apporterebbe nulla di più ad un dibattito che già di per sé è ampiamente complesso.

L’AADI non è mai contro nessuno a prescindere e quindi neanche contro Volpe, non ha posizioni oltranziste o di parte, per un motivo molto semplice, ci occupiamo, forse “indegnamente”, di studiare il diritto e di rapportarlo nella realtà lavorativa di tutti noi cercando di applicare le fattispecie giuridiche e giurisprudenziali agli istituti contrattuali che governano il rapporto di lavoro, sia esso pubblico che privato.

Figuriamoci se potremmo mai essere contro o avere come nostri nemici i precari del lavoro, gli esodati, i disoccupati o quant’altro, sarebbe contro le nostre convinzioni etiche, morali e statutarie.

Ben vengano quindi i colleghi coraggiosi e determinati che come il collega Volpe si adoperano per la difesa della propria professionalità proponendo ricorsi o petizioni alla Corte di Giustizia Europea, ma non è questo il punto, se fosse solo questo, saremmo ovviamente di parte e appoggeremmo idealisticamente la strada sino a qui intrapresa, ma se parliamo dal punto di vista del diritto, allora è un’altra questione.

Dal punto di vista del diritto, nazionale e comunitario che sia, avremmo certamente sconsigliato al Volpe di agire, perché sicuri di evitargli inutili sperperi di denaro e inutili illusioni, come quando sconsigliammo a molti colleghi titubanti sulla proposta di alcune sigle sindacali di firmare il famoso ricorso CEDU sul mancato rinnovo dei contratti di lavoro, ricorso sul quale, le sigle proponenti hanno fatto incetta di tessere promettendo la vittoria che si è poi rivelata un flop gigantesco, come del resto avevamo previsto.

Perché ragionando di diritto e non di populismo, avevamo ipotizzato una irricevibilità del ricorso giacché non c’erano i presupposti giuridici per proporlo, mentre quelli politici o sociali legittimi delle rimostranze dei lavoratori, quelli si.

In virtù di ciò ci siamo semplicemente limitati ad esprimere un giudizio tecnico, per altro non apprezzato, siamo stati criticati come detrattori, iettatori e controcorrente, ma ahimè le risultanze ci hanno dato ragione ancora una volta.

Nel caso del collega Volpe, intanto lo ringraziamo per la tua perseveranza perché ci dai modo di poter entrare ancora una volta nel merito della questione, ci permetta però di smentirlo con le sue tue stesse tesi che ripropone pedissequamente e che rispettiamo e rileggiamo con la stessa enfasi con le quali le scrive.

Ma il diritto è un’altra cosa, tutte le ipotesi dottrinali sono legittime e devono essere equamente prese in considerazione, ma devono basarsi su fattispecie reali e soprattutto realizzabili, anche se proposte da illustri giuristi, Costituzionalisti o Statisti.

Ricordo agli amici lettori, ma solo a titolo esemplificativo, che illustri Costituzionalisti del calibro di Onida, Zagrebelsky ed altri, hanno proposto poche settimane orsono un ricorso contro il quesito referendario del 4 dicembre tentando di farlo dichiarare incostituzionale e come abbiamo visto non è stato proposto da sconosciuti in cerca di gloria o da fantasiosi giuristi della prima ora, ma da coloro i quali, ad oggi, rappresentano la massima espressione del diritto nazionale e internazionale, coloro che insegnano ed hanno insegnato Diritto Costituzionale nelle stesse Facoltà Universitarie dove si sono laureati gli stessi giudici che glielo hanno “bocciato”, e si, lo hanno bocciato.

Questo per far comprendere a chi ci legge, che l’entusiasmo di sposare una tesi dottrinale piuttosto che un’altra lo condividiamo e lo comprendiamo, ma non è sempre l percorso più giusto da seguire e se commettono errori anche coloro i quali le norme le hanno ideate e scritte, figuriamoci gli altri.

Non è sufficiente condividerle perché sono vicine al nostro pensiero o perché ci sentiamo sentimentalmente legati ad esse, se poi non sono realizzabile sul piano concreto o giuridicamente corrette.

Ma veniamo ai fatti, abbiamo letto di nuovo le tue tesi argomentative, ma purtroppo dobbiamo per l’ennesima volta confermare al collega Volpe che cozzano contro sé stesse, e spiego perché; la tesi del Volpe si basa sulle risultanze delle corti territoriali di Foggia di Aosta di Napoli e via discorrendo, ne prendiamo atto, ed abbiamo anche condiviso la correttezza sul piano sostanziale di una di queste, ma purtroppo è la stessa Corte di Giustizia Europea che lo smentisce su molti punti.

È doveroso però prima di entrare nuovamente nel merito, fare una piccola sinossi dei fatti sul piano argomentativo per far comprendere ai colleghi che ci leggono e che ci stanno seguendo in questo challenge a suon di sentenze, di cosa stiamo parlando, altrimenti rischiamo di farli annoiare senza trasmettere loro nulla di concreto.

Orbene, la convinzione del collega Volpe, è che tutti i contratti a termine stipulati nella pubblica amm.ne debbano essere oltre un certo periodo di reiterazione, trasformati in contratti a tempo indeterminato, la tesi dell’AADI invece, che sposa in pieno quella delle SS.UU. della Cassazione n. 5072/16, e che, ad oggi, non è possibile, in virtù del vincolo Costituzionale derivante dall’art. 97 Cost. che impone l’obbligatorietà dei concorsi pubblici per le assunzioni in ambito della pubblica mm.ne.

Dopo esserci scambiati opinioni diverse attraverso le riviste del settore, che gentilmente ci sopportano, non soddisfatti delle ulteriori argomentazioni del Volpe, abbiamo sviscerato l’ultima sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla questione tanto dibattuta, ossia la 14 settembre 2016 causa (C-16/15) e, leggendo, abbiamo scoperto che la stessa Corte citata anche negli articoli, conferma l’ipotesi delle SS.UU. e quindi anche le nostre deduzioni.

Vediamo di cosa si tratta:

LA SENTENZA

1- La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole da 3 a 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).

 2- Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra María Elena Pérez López ed il Servicio Madrileño de Salud, Comunidad de Madrid (servizio sanitario di Madrid, Spagna), in merito all’inquadramento giuridico del suo rapporto di lavoro che ha assunto la forma di successive nomine in qualità di membro del personale con inquadramento statutario occasionale.

La sig.ra Pérez López è stata assunta quale personale con inquadramento statutario occasionale in qualità di infermiera all’ospedale universitario di Madrid per il periodo tra il 5 febbraio e il 31 luglio 2009. Conformemente alle disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro, la nomina indicava come causa giustificativa «la realizzazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria» e il lavoro era descritto come «lo svolgimento della sua attività nel presente ospedale al fine di garantire il servizio sanitario».

Al termine di tale primo contratto di lavoro, la nomina della sig.ra Pérez López è stata rinnovata sette volte, mediante contratti a tempo determinato di tre, sei o nove mesi, ogni volta con formulazione identica, in modo tale che la prestazione di lavoro della sig.ra Pérez López è stata ininterrotta durante il periodo dal 5 febbraio 2009 al 31 marzo 2013.

 Durante l’ultimo dei suddetti contratti, relativo al periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 marzo 2013, la Consejería de Economia y Hacienda de la Comunidad de Madrid (Ministero regionale dell’Economia e delle Finanze di Madrid, Spagna) ha emesso l’ordinanza del 28 gennaio 2013 che impone, al fine di ridurre la spesa pubblica, la cessazione del rapporto di lavoro del personale reclutato occasionalmente alla data di scadenza della nomina nonché la liquidazione dei pagamenti corrispondenti al periodo per il quale i servizi sono stati prestati, compresi i casi in cui sia già stata prevista, per il futuro, una nuova nomina a favore del medesimo lavoratore.

 In applicazione della suddetta ordinanza la sig.ra Pérez López è stata informata, l’8 marzo 2013, della cessazione del rapporto di lavoro che la legava al servizio sanitario di Madrid, con effetto dal 31 marzo 2013. Il 21 marzo 2013, l’amministrazione le ha tuttavia comunicato la sua nuova nomina, identica alle precedenti e senza interruzione rispetto alle stesse, per il periodo dal 1° aprile al 30 giugno 2013.

L’infermiere ricorre alla Corte Europea che emette la sentenza succitata specificandone i motivi di diritto su cui basa le proprie deduzioni, che sono stati poi ripresi dalle SS.UU. con la sentenza n. 5072/16

Vediamo le risultanze:

omissis

1)Per quanto riguarda l’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro, è necessario ricordare che tale clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‐212/04, EU:C:2006:443, punto 63; del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‐378/07 a C‐380/07, EU:C:2009:250, punto 73; 26 gennaio 2012, Kücük, C‐586/10, EU:C:2012:39, punto 25; del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‐190/13, EU:C:2014:146, punto 41; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 54, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 72).

2) Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima complessiva degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi e al numero di rinnovi di questi ultimi (v., segnatamente, sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‐378/07 a C‐380/07, EU:C:2009:250, punto 74; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‐586/10, EU:C:2012:39, punto 26; del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‐190/13, EU:C:2014:146, punto 42; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 56, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 74).

3) Gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità a tale riguardo, dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 59 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 75).

4) Così facendo, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, che consiste nella prevenzione di siffatti abusi, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguire tale obiettivo, purché essi non rimettano in discussione l’obiettivo o l’efficacia pratica dell’accordo quadro (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 60, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 76).

5) Seppure, in mancanza di una specifica disciplina dell’Unione in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi, esse non devono essere però meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 63 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 78).

6) Del resto, occorre ricordare che la Corte non è competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto interno, dato che questo compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio o, se del caso, ai competenti organi giurisdizionali nazionali, che devono determinare se gli obblighi dettati dalla clausola 5 dell’accordo quadro siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale applicabile (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‐362/13, C‐363/13 e C‐407/13, EU:C:2014:2044, punto 66 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‐22/13, C‐61/13, C‐63/13 e C‐418/13, EU:C:2014:2401, punto 81).

7) Per quanto riguarda la controversia oggetto del procedimento principale, occorre rilevare che la normativa nazionale pertinente determina in modo preciso le condizioni nelle quali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi possono essere conclusi. Infatti, il ricorso a tali contratti è permesso, in forza dell’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro, secondo i casi, qualora si tratti di prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, quando ciò sia necessario per garantire il funzionamento permanente e continuato di centri sanitari o qualora si tratti di fornire servizi complementari per compensare la riduzione del normale orario di lavoro.

8) Al contrario, non si può ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengono alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario (v., per analogia, sentenza del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‐190/13, EU:C:2014:146, punto 58).

9) Nel caso di specie, occorre constatare che la normativa nazionale in causa nel procedimento principale non comporta nessun obbligo per l’amministrazione competente di creare ulteriori posti strutturali per mettere fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale. ……omissis.

10) A tale riguardo, occorre ricordare che l’accordo quadro non fissa le condizioni in presenza delle quali è consentito fare ricorso ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e non è finalizzato ad armonizzare l’insieme delle norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, detto accordo quadro, mediante la fissazione di principi generali e di prescrizioni minime, mira unicamente ad istituire un quadro generale per garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di rapporti di lavoro o di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C‐302/11 a C‐305/11, EU:C:2012:646, punto 63 nonché giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del 7 marzo 2013, Bertazzi e a., C‐393/11, non pubblicata, EU:C:2013:143, punto 48).

11) Orbene, nella misura in cui nessun elemento del fascicolo sottoposto alla Corte fa emergere che, nel procedimento principale, sussista una differenza di trattamento tra il personale con inquadramento statutario occasionale e il personale a tempo indeterminato, la differenza di trattamento oggetto della quarta questione posta dal giudice del rinvio non rientra nell’ambito della normativa dell’Unione (ordinanze dell’11 novembre 2010, Vino, C‐20/10, non pubblicata, EU:C:2010:677, punto 64; del 22 giugno 2011, Vino, C‐161/11, non pubblicata, EU:C:2011:420, punto 30, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‐178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punto 52). Pertanto, tale differenza di trattamento rientra unicamente nel diritto nazionale, la cui interpretazione appartiene solo al giudice del rinvio (ordinanze del 22 giugno 2011, Vino, C‐161/11, non pubblicata, EU:C:2011:420, punto 35, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‐178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punto 53).

In conclusione

La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che compare in allegato alla direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa non si oppone, in via di principio, ad una normativa nazionale che impone che il rapporto contrattuale termini alla data prevista dal contratto a tempo determinato e che si proceda alla liquidazione di ogni pagamento, senza che ciò escluda un’eventuale nuova nomina, a condizione che detta normativa non sia di natura tale da rimettere in causa l’obiettivo o l’efficacia pratica di tale accordo quadro, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Come si vede, è stato più volte sottolineato dalla stessa Corte Europea citata negli articoli la tesi espressa dalle SS.UU. n. 5072/16 le quali ne riprendono alcuni passaggi soprattutto dove citano che non può obbligare gli Stati membri ad adottare una normativa nazionale diversa da quella che lo stesso Stato si è dettata, ed è la stessa posizione che l’AADI condivide, se non altro per il semplice fatto che ad oggi, niente può modificare lo stato dei fatti, queste sono certezze a differenza delle tesi altrui.

Non comprendere ciò, significa continuare a tentare di dimostrare qualcosa che ad oggi non può essere dimostrato.

Siamo poi concordi, e lo avevamo già scritto, a rivedere le nostre posizioni nel caso in cui la giurisprudenza cambi e si indirizzi verso le ipotesi auspicate dal collega Volpe, ma ad oggi, dobbiamo fornire ai nostri associati e a tutti i lettori notizie basate sul diritto contemporaneo ed attuale e non su ipotesi di fantasia seppur con basi dottrinali condivisibili.

Può non piacere, ce ne rendiamo conto, ma del resto molte sono le norme che non ci piacciono, soprattutto in ambito di lavoro, ma fino a quando vivremo in uno stato di diritto e democratico dovremo adeguarci obtorto collo anche a norme non del tutto intese nel senso del favor prestatoris, il cambiamento è nelle nostre mani, dipende solo da noi come adottarlo.

Con Stima.

Il Direttivo AADI

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati