Due dipendenti dell’ospedale “Umberto I” di Lugo, nel Ravennate, sono stati indagati per omicidio volontario in concorso con la ormai ex infermiera 43enne Daniela Poggiali, per la morte l’8 aprile 2014 di una paziente uccisa con un’iniezione di potassio. I due non avrebbero “impedito l’evento, omettendo di adottare le misure idonee a impedire la morte della 78enne”. Uno degli indagati è l’allora direttore del reparto di Medicina interna.
Sotto accusa anche l’allora caposala, 60enne da poco andata in pensione. Secondo quanto contestato dai pm ravennati Alessandro Mancini Angela Scorza sulla base delle verifiche dei carabinieri dell’Investigativo, i due avrebbero omesso di adottare quelle misure organizzative e procedurali che potevano impedire l’omicidio, poi materialmente eseguito dalla Poggiali.
La coordinatrice non avrebbe adeguatamente vigilato sul personale infermieristico, e in particolare sulla Poggiali, nonostante le diverse segnalazioni fatte da colleghe sulla 43enne in merito a suoi comportamenti ritenuti anomali a partire da diversi ammanchi in corsia.
La notizia (che andrebbe sicuramente verificata dal punto di vista procedurale) nonostante le giuste riserve sulle fonti giornalistiche, a volte imprecise, qui pare ben spiegata.
Il capo d’accusa, pertinente nel caso, è la violazione dell’art 40 del CP: ”….Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.”
Si discute molto, e molto spesso delle responsabilità del coordinatore. Alcune sono più sfumate, confuse, sovrapponibili alle responsabilità di altri.
Nei casi di segnalazione su questioni così importanti (pare che le colleghe della Poggiali, attualmente in carcere, accusata di un numero spaventoso di omicidi, abbiano richiamato l’attenzione su ripetuti ammanchi di farmaci) il non intervento, il mancato intervento, è certamente un aspetto rischioso sotto tutti i punti di vista.
Ma che cosa si può fare, in questi casi?
Prima di tutto, sarebbe bene conoscere se le segnalazioni alla coordinatrice sono avvenute in forma scritta o in forma orale: sarebbe naturalmente importante conoscere il contenuto della segnalazione stessa; e certamente non può bastare una qualsiasi segnalazione per permettere alla coordinatrice di spostare personale, o addirittura di metterlo sotto una sorta di ”quarantena”.
Ma attenzione: certamente, se il Pubblico Ministero ha deciso il coinvolgimento della coordinatrice, ciò è dipeso dalle azioni intraprese – o più probabilmente da quelle non intraprese – dalla stessa, nelle sue responsabilità di coordinamento del personale, che sono evidenti nel ruolo stesso.
Una volta di più mi permetto di consigliare di agire con freddezza e lucidità per distinguere e riconoscere quelli che sono problemi di scarso peso legale (i colleghi A e B che non si stimano, piuttosto che i rapporti poco cordiali con altri componenti l’equipe, non tutti naturalmente dotati della stessa attenzione verso l’ambiente e le necessità operative), da quelle situazioni potenzialmente molto pericolose.
A fronte di segnalazioni che evidenziano un problema importante, una volta valutate come attendibili le stesse, e soprattutto considerata la pericolosità della mancata azione per gli assistiti (e anche date le ricadute professionali) non si può far finta di nulla. Si deve a parer mio coinvolgere la struttura rischio clinico (naturalmente, mi riferisco ad un caso come questo) e la struttura professioni sanitarie /servizio infermieristico, includendo il maggior numero di professionisti davanti a un tavolo tecnico, che non deve mai diventare un processo interno ma piuttosto un momento di confronto e di audit, verbalizzando la riunione e depositando, dopo regolare passaggio dall’ufficio protocollo, sia la convocazione, sia le risultanze.
Dimostrare il proprio agire è sempre più importante. Per la cronaca, la coordinatrice inquisita è già in pensione ma naturalmente alla Giustizia il dato importa piuttosto poco, per non dire nulla.
Dunque, agire anche per tutelare il proprio privato: le sempre più alte responsabilità e le ricadute delle stesse, a fronte di retribuzioni davvero ridicole se confrontate ai ruoli , alle responsabilità ricoperte dai professionisti sanitari tutti, obbligano a un’attenzione senza pause.
Francesco Falli
Infermiere forense.
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