Dapprima gli apprezzamenti non richiesti, la pretesa di avere il numero di cellulare, i continui inviti a uscire o a prendere un caffè insieme. Poi, nonostante i dinieghi ricevuti, gli approcci fisici, anche approfittando di momenti in cui erano impegnati a spostare un paziente che non deambulava. Infine gli espliciti palpeggiamenti alle parti intime, avvenuti in almeno quattro occasioni. Teatro della vicenda, un ospedale di Milano. Protagonisti, un infermiere di 44 anni e un’infermiera di 56.
Per quast’ultima il lavoro era diventato un incubo, proprio a causa delle attenzioni “particolari” e insistenti che le avrebbe riservato il collega. Un incubo iniziato nel febbraio 2022 e andato avanti fino a marzo. A nulla sarebbero servite le proteste della donna: “Ma io sono sposata!”. Lui non si arrendeva. In un’occasione le si sarebbe avvicinato da dietro mentre lei raccoglieva dei panni e le avrebbe chiesto che taglia di reggiseno portasse, per poi palparle i seni e dire: “Secondo me, porti una terza”.
Dopo due mesi di tormento, la decisione di denunciare tutto, prima alla struttura sanitaria e poi ai carabinieri. Una decisione non presa prima un po’ per vergogna, un po’ per paura dei giudizi altrui. Così l’infermiere è finito a processo con l’accusa di violenza sessuale, e nell’udienza dibattimentale di martedì 5 novembre la pubblica accusa ne ha chiesto la condanna a tre anni e otto mesi di reclusione, mentre la presunta vittima, che si è costituta parte civile, ha avanzato anche richiesta di risarcimento per 5.000 euro.
L’imputato ha sempre rigettato le accuse, nagando qualsiasi tipo di contatto con l’infermiera. E la difesa ha evidenziato come nel corso del processo non siano mai emerse tracce di comunicazione tra le parti: zero messaggi, telefonate o contatti social. Nella denuncia della donna, però, si fa riferimento anche a un episodio in cui il collega avrebbe abusato di una paziente inerme: “Le ha aperto le labbra della vagina e, nel pulirla, mi guardava con faccia allusiva”.
La goccia che fa traboccare il vaso, nel marzo 2022, quando una paziente con gravi disturbi psichici avrebbe urlato all’infermiera: “Put****! Tr***!”. In quell’occasione l’imputato, presente, avrebbe detto alla collega: “Sta chiamando te”. Fu allora che la 56enne, portata all’esasperazione, avrebbe deciso di denunciare, dopo essere scoppiata a piangere e aver cominciato a urlare.
La segnalazione alla direzione dell’ospedale sembrava averle restituito un po’ di tranquillità. Anche perché era andata in ferie, mentre il suo presunto molestatore era stato ricollocato in un altro reparto. In seguito i due non si sono più incontrati, ma il disagio sarebbe rimasto, come raccontato dall’infermiera in tribunale: “Per cambiarmi la divisa dovevo andare nei sotterranei. E lì avevo sempre paura di incontrarlo”. Alla fine lei si è licanziata, trovando lavoro in un’altra struttura. Intanto il processo va avanti, in attesa della sentenza di primo grado, che dovrebbe arrivare il prossimo 18 novembre.
Redazione Nurse Times
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