È made in Italy l’integratore Plastikdren, a base di ingredienti naturali, il primo che, sulla base di uno studio pubblicato, ha dimostrato di favorire un aumento dell’espulsione del 45% delle microplastiche ingerite attraverso l’alimentazione.
Ogni essere umano ingerisce, attraverso cibi e bevande, una media di oltre 45mila particelle di plastica all’anno. Ma, includendoanche i polimeri che vengono “respirati” attraverso l’aria, il conteggio sale fino a 120mila particelle. Restando nel solo campo degli alimentari, tuttavia, non tutti i cibi possiedono la stessa “carica” di plastiche: alcuni appaiono decisamente più inquinati di altri. Pesce, riso, sale, zucchero e chewing gum sarebbero infatti tra quelli da tenere maggiormente d’occhio.
A riportarlo, basandosi su diverse ricerche, è un articolo del magazine internazionale CNET, che ha individuato quelli che, tra bibite e cibi, presenterebbero i livelli più elevati di micro e nano-plastiche. L’uomo riesce a espellerne dal corpo solo una parte. Tuttavia, secondo due studi recentemente pubblicati sulle prestigiose riviste scientifiche Foods e Polymers, tale processo potrebbe essere coadiuvato da quello che è il primo integratore che aiuta a espellere le microplastiche dal corpo umano. Si chiama Plastikdren e a lanciarlo sul mercato è l’azienda italiana Guna, casa farmaceutica leader nella low dose medicine.
L’integratore è formulato a partire da una fibra naturale, derivata dalla chitina e contenuta nel guscio del gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), sottoposta a un processo di lavorazione specifico. Questa fibra è in grado di legare facilmente le particelle di plastica, grazie alla sua particolare struttura chimica.
“Il chitosano da Procambarus clarkii – spiega il professor Umberto Cornelli, della Medical School della Loyola University di Chicago, tra gli autori degli studi –, una volta ingerito e giunto nello stomaco, forma reti molecolari in grado di legare lipidi e microplastiche, limitandone l’assorbimento. Le osservazioni preliminari condotte su un gruppo di volontari sani e a dieta controllata hanno evidenziato che la combinazione di chitosano da Procambarus clarkii e di acido tartarico riduce l’assorbimento di microplastiche. È stato misurato infatti un aumento del 45% delle microplastiche espulse attraverso le feci”.
E ancora. “Si tratta di una rilevazione importante, alla quale siamo arrivati dopo 25 anni di studi sui chitosani: è un dato acquisito che i fenomeni infiammatori dell’organismo umano dipendano, tra gli altri fattori, anche dall’exposoma, vale a dire dai fattori ambientali ai quali siamo quotidianamente esposti. Di questo fanno parte a pieno titolo e con un ruolo non indifferente proprio le micro e le nanoplastiche, che sono presenti nell’aria che respiriamo, nell’acqua nella quale nuotiamo, che beviamo e con la quale ci laviamo e nel suolo che ci dona i prodotti che ingeriamo”.
Nulla di sorprendente: gli studi attualmente disponibili stimano infatti che ogni anno si producano circa 400 milioni di tonnellate di plastica. Le plastiche sono sottoposte a processi di degradazione lenti e costanti che portano alla formazione di particelle sempre più piccole: fino a 5 millimetri si parla di microplastiche, quelle inferiori a 1 micrometro sono invece definite nanoplastiche.
Grazie alla loro elevata biodisponibilità le microplastiche, attraverso l’alimentazione e l’ambiente inquinato, possono entrare nel flusso ematico e distribuirsi in ogni tessuto e fluido dell’organismo, con potenziali conseguenze, in particolare, sul sistema cardiovascolare, sul sistema nervoso, sull’apparato respiratorio e sull’apparato riproduttivo.
“Le nano e microplastiche – conferma Cornelli – stanno emergendo in vari studi pre-clinici come potenziali fattori di rischio per malattie cardiovascolari data la loro capacità patogenetica di indurre stress ossidativo, infiammazione e apoptosi delle cellule endoteliali e di altre cellule vasali, provocando alterazioni della funzione e del ritmo cardiaco, fibrosi del miocardio, disfunzione endoteliale e, soprattutto, aterosclerosi. L’integratore alimentare Plastikdren coadiuva l’eliminazione di queste scorie nocive dall’organismo”.
Plastikdren, che si presenta in confezioni da 60 compresse da un grammo, deve essere assunto prima di cena. “La raccomandazione che va sempre fatta – conclude Cornelli – è che gli integratori alimentari non possono sostituire una dieta varia, sana e bilanciata e uno stile di vita salutare. A maggior ragione, vista la grande biodisponibilità di micro e nanoplastiche oggi, bisogna stare attenti a quello che si mangia e a quali ambienti ci si espone. Se si riduce l’assunzione di una sostanza potenzialmente tossica si mette l’organismo nelle condizioni di potersi proteggere meglio. Plastikdren è un aiuto ulteriore: per fare un parallelismo potremmo dire che si tratti di una ‘mascherina’, come quelle contro gli agenti inquinanti, ma applicata al tratto gastro-intestinale”.
Ed ecco, secondo gli esperti, quali sono i 10 cibi ai quali fare attenzione (e come tutelarsi)
- Bustine di tè – Per realizzarle, sostengono ricercatori dell’Università Autonoma di Barcellona, viene spesso utilizzata una plastica chiamata polipropilene, e anche se si scelgono bustine di carta, possono comunque contenere microplastiche che, a contatto con l’acqua calda possono essere rilasciate. Consumare tè sfuso può essere un’alternativa, pur se meno comoda.
- Riso – Uno studio dell’Università del Queensland ha rivelato che,per ogni mezza tazza di riso, ci sono dai 3 ai 4 milligrammi di plastica. Se si utilizzano preparati a base di riso istantaneo, questo numero diventa quattro volte superiore, attestandosi a 13 milligrammi. Lavando il riso se ne riduce la contaminazione dal 20 al 40%.
- Acqua in bottiglia di plastica – Può contenere 325 particelle per litro. Se esposte al caldo, poi, le bottiglie di plastica rilasciano polimeri. Meglio preferire le bottiglie di vetro, per stare tranquilli.
- Pesci e crostacei – Sono vittime della contaminazione marina. Secondo ricercatori dell’Università di Portland sono state individuate microplastiche in 180 test su 182. Se possibile meglio sceglierli pescati in acque controllate o da allevamenti con certificazione ambientale.
- Miele – Contaminato anche se in barattoli di vetro, secondo uno studio pubblicato su Environmental Pollution. Le api, infatti, assorbono l’inquinamento dell’aria. Acquistare miele biologico da apicoltori locali può ridurre i rischi.
- Mele – Assorbono microplastiche da terreni contaminati, come riporta uno studio pubblicato su Environmental Research. Se possibile bisognerebbe prediligere mele biologiche e lavarle bene prima di gustarle.
- Carote – Questo tubero soffre particolarmente la contaminazione dei terreni. Anche in questo caso il suggerimento migliore è quello di un lavaggio prolungato e accurato.
- Sale – Uno studio pubblicato su Environmental science and technology ha rivelato come, su 39 campioni raccolti da differenti siti nel mondo, il 90% è risultato contaminato. Meglio comunque sceglierlo in confezioni realizzate con materiali alternativi alla plastica.
- Zucchero – Secondo una ricerca del Journal of food composition, i processi industriali, oltre al packaging, hanno i loro effetti. Meglio acquistarlo meno processato (zucchero integrale) e in confezioni di vetro o cartone.
- Chewing gum – Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Chemistry for life, masticandone circa una ogni due giorni si possono ingerire circa 30mila particelle l’anno. Meglio consumarne con moderazione.
Redazione Nurse Times
Fonti
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