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Lotta al cancro, i benefici di un corretto stile alimentare

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Lotta al cancro, i benefici di un corretto stile alimentare
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La letteratura scientifica mostra sempre più chiaramente come gli interventi di cura di successo, in campo oncologico, siano quelli integrati dalla promozione del mangiare sano, unita a un’adeguata riduzione della sedentarietà e ai più moderni farmaci chemioterapici e radioterapici.

Alimentazione: le ricerche e le scoperte diventate evidenze scientifiche

Quanto sia importate l’alimentazione e quanto incida sulla nostra salute è ormai cosa risaputa. Sappiamo che essa incide sulla nostra salute sia in positivo sia in negativo; infatti è considerata la colonna portante del nostro stile di vita ; a dire questo è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Insomma l’alimentazione ha un potere straordinario indiscutibile e proprio per questo bisogna essere armati di una giusta conoscenza per poter utilizzare l’alimentazione, il cibo, a favore del nostro benessere.

L’alimentazione è considerata dall’Oms, per le sue proprietà, al pari di un farmaco e, di conseguenza, l’accortezza che bisogna avere nella somministrazione, nonché nella scelta di un alimento piuttosto di un altro, deve essere minuziosa e ragionata, soprattutto per quanto riguarda i pazienti oncologici. La ricerca, proprio in questo campo, sappiamo che ha fatto passi da gigante, non solo per quanto riguarda l’aspetto della prevenzione, ma anche della cura. Ebbene sì, curare il cancro, con uno stile alimentare che supporti la chemioterapia e la radio terapia, risulta essere la modalità vincente per sconfiggere questa patologia.

Proprio nell’ultimo decennio, l’Oms ha dato notevole importanza a studi che mettessero in correlazione  alimentazione e cancro; ed è stato rilevato che tra loro vi è una forte relazione sia nella comparsa della neoplasia, sia nella cura; e sono numerosi gli aspetti scientifici che lo dimostrano attraverso studi e ricerche, che sempre di più, dimostrano quanto sia importante e vantaggioso intraprendere un giusto stile alimentare, che supporti la cura del cancro.

Numerosi studi, dal dopoguerra ad oggi, dimostrano che conseguire uno stile alimentare sano, abbinato ad una giusta attività fisica giornaliera, rappresenti un fattore protettivo contro le patologie neoplastiche  ed altre patologie croniche considerabili precancerose come: diabete, sindrome metabolica e malattie cardiache croniche.

Infatti, uno stile alimentare sano combinato ad un ottima e funzionale attività fisica che mirino ad un controllo del peso corporeo, della circonferenza addominale e dei dati pressori arteriosi, sappiamo essere funzionali e di protezione per patologie croniche come diabete, sindrome metabolica, e cancro. A tal proposito l’Oms identifica due stili di vita alimentari uno sano e uno a rischio cancro, con dei cibi considerati altamente cancerogeni. È bene, quindi, chiarire che ci sono dei cibi da evitare ed identificarli è un po’ come fare un identikit del nemico da evitare: conoscerli può aiutare sicuramente l’infermiere a sconsigliarli nella sua missione di educatore, tanto per la prevenzione, quanto per la cura oncologica:

  • Farine raffinate: sono le cosiddette “farine bianche”, molto comuni nell’alimentazione europea. Esse possono provenire da diversi grani e cereali come grano duro, grano tenero, grano saraceno e numerosi altri grani utilizzati per cibi e pasta: il loro grado di raffinazione è indicato con i numeri “0” e “00”; naturalmente quest’ultima è il tipo di farina che ha subìto un grado di raffinazione maggiore rispetto alla prima. Il processo di raffinazione prevede che dal chicco di grano venga eliminata l’ intera crusca; ne resta quindi solo amido e un po’ di proteine tipiche del grano. Queste farine sono molto nocive in quanto lo sminuzzamento estremo del chicco di grano fa sì che gli amidi (rimanenti dopo il setacciamento)  siano molto più facilmente sintetizzabili dagli enzimi digestivi; aspetto che li rende più digeribili a tal punto che una volta assimilati fanno alzare rapidamente il livello glicemico – riscontrabile anche nel sangue – fino a far produrre al pancreas grandi quantità di insulina, causando, nel tempo, un accumulo considerevole di grasso, processo meglio conosciuto come sindrome metabolica. Tutti aspetti negativi che sono condivisi anche dal consumo di riso bianco e di tutti quei cereali che, seppur non resi farina, hanno subìto il processo di deprivazione della corteccia (crusca). I sintomi riscontrabili nell’ immediato, dopo un utilizzo di cospicue quantità di alimenti che presentano farine raffinate sono:
  • Malnutrizione
  • stipsi o costipazione (stitichezza)
  • Stanchezza
  • Gonfiore addominale
  • Lo zucchero: l’American Heart Association, nel 2015, ha pubblicato per la prima volta delle linee guida sull’ utilizzo di questo alimento, vietandolo ai bambini al di sotto dei 2 anni e limitandone fortemente l’uso fino ai 18 anni; un uso molto limitato è comunque esteso a tutti senza differenza di età: per le donne è consigliata un’assunzione giornaliera di non più di 25 grammi pari a 100 calorie die; e per l’uomo, di non più di 36 grammi die, pari a 150 Calorie. Gli zuccheri aggiunti, apportando calorie supplementari e zero sostanze nutritive al cibo, sono considerati, per questo, una delle cause principali dell’obesità e quindi della sindrome metabolica, nonché di malattie cardio vascolari.  Sostanzialmente l’AHA distingue due tipi di zuccheri: “zuccheri naturali”, ovvero, naturalmente presenti negli alimenti come gli zuccheri presenti nella frutta, il fruttosio; e gli “zuccheri aggiunti”.

Le principali fonti, dove questi si possono riscontrare in elevate concentrazioni, sono le bevande analcoliche, le caramelle, le torte, i biscotti, i dolci e le bevande a base di frutta, dessert e prodotti lattiero-caseari (gelati, yogurt dolcificato e latte dolcificato); e altri cereali (toast di cannella e cialde di miele) ma anche in conserve, nel pane, nelle bevande alcoliche, nei cibi surgelati come pesce e verdure e preparati. Il dato preoccupante della ricerca targata AHA  è che il consumo dello zucchero annuo pro capite è di circa 70kg: oltre ogni limite massimo; e i picchi più alti si hanno nella popolazione dai 0 ai 18 anni con consumi che possono arrivare anche a 110- 140kg annui.

Per zucchero si intendono anche gli sciroppi di glucosio e fruttosi, i quali possono essere definiti “i più cattivi” in quanto sono il risultato di una scissione chimica del saccarosio. Gli zuccheri hanno la capacità di essere velocemente assorbiti dai villi dell’intestino tenue; e nel fegato vengono convertiti in glucosio, il quale, nell’ arco di 2 ore dopo l’assunzione, è riscontrabile in picchi elevati nel sangue. L’innalzamento glicemico, dopo l’assunzione di zuccheri, comporta una repentina azione dell’insulina, che consente il loro ingresso nelle cellule per essere immagazzinato e così accumulato. Ma quali sono i danni che ci procura lo zucchero e perché il suo utilizzo aumenta la probabilità di tumori?

A lungo termine, l’assunzione di grandi quantità di zuccheri comporta delle criticità: viene messo a dura prova il pancreas; e le cellule Beta, che producono insulina, si esauriscono e si sviluppa il diabete. È inoltre una delle cause maggiori di obesità e Sindrome metabolica, a loro volta cause di tumori. Nello stomaco aumenta la secrezione degli acidi, con maggiore incidenza di ulcera. Incrementando inoltre il rilascio di acido urico nel sangue, si abbassa il ph ematico e per neutralizzarlo è necessario sottrarre calcio alle ossa con conseguente osteoporosi. Lo zucchero accelera inoltre lo sviluppo ormonale stimolando le gonadi, determina la distruzione delle vitamine del gruppo B e per questo motivo è causa di nervosismo, aggressività, stitichezza e difficoltà respiratorie, affanno, quest’ultimo, causato dell’acido piruvico che il consumo di zucchero moltiplica nel sangue.

Se lo zucchero viene sostituito da sostanze dolcificanti, queste sono ancora più dannose dello zucchero normale, artefici anche loro del diabete, della sindrome metabolica e di tumori. I dolcificanti sono più dolci dello zucchero anche di 200 o 600 volte – l’aspartame è 170 volte più dolce dello zucchero, la stevia è 200 volte più dolce dello zucchero, il sucralosio è 600 volte più dolce dello zucchero. Nel 5° dei 12 punti del Codice Europeo Contro il Cancro, viene chiesto: “Limita i cibi ad elevato contenuto calorico (alimenti ricchi di zuccheri o grassi) ed evita le bevande zuccherate”. Nei pazienti con tumore è fondamentale mantenere la soglia glicemica bassa.  Numerosissimi studi hanno infatti dimostrato che valori glicemici alti influenzano la crescita tumorale.

Basti pensare che le cellule tumorali per vivere hanno bisogno di glucosio quasi 20 volte in più rispetto alle cellule normali; le cellule tumorali ,però, non utilizzano completamente il glucosio: esse lo  dividono invece, in 2 e producono solo 2 unità di energia, non completano quindi la combustione del glucosio, che se utilizzato tutto produrrebbe 36 unità di energia.

Producendo 2 invece che 36 unità di energia, ne consegue che hanno molta più necessità di glucosio rispetto alle cellule normali – questo principio è ampiamente sfruttato nella PET, tomografia ad emissione di positroni, in cui per fini diagnostici si inietta nel sangue del glucosio radioattivo che si concentrerà 20 volte di più sulle cellule tumorali rispetto a quelle sane.

  • La carne: nell’ottobre 2015, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione dello IARC) ; e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi), come sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione dello IARC). Le carni sono le principali cause di infiammazione in quanto contengono l’acido arachidonico, che è il precursore delle prostaglandine infiammatorie. (Come vedremo più avanti, l’infiammazione è una delle cause fondamentali per lo scaturire di neoplasie). Inoltre la loro tossicità è data dal tipo di lavorazione che subiscono: spesso, infatti, questi trattamenti provocano un  aumento del tasso canceroso  della carne stessa. L’uso di carne aumenta il rischio di cancro all’ intestino, in particolare, nel tratto del colon-retto. Il Professor Kurt Straif epidemiologo dello IARC e capofila della pubblicazione sul rapporto tra carne e tumori, afferma che: “Bastano cinquanta grammi al giorno per far crescere il rischio del 18%” e ancora “Oltre che per il cancro del colon, il legame è stato riscontrato anche per i tumori del pancreas e della prostata”. Il Professor Berrino, epidemiologo, capofila ed ideatore del progetto Diana e del progetto “Mememe”, chiarisce che lo stesso rischio di tumore presente nelle carni rosse è presente anche nelle carni bianche, in quanto anche le carni bianche sono ricche di acido arachidonico artefice della formazione delle prostaglandine infiammatorie; e quindi producono infiammazione, terreno idoneo per le cellule tumorali. Nello studio Epic  è stato riscontrato che un utilizzo settimanale di carne una tantum aumenta il rischio di fratture ossee; esso aumenta esponenzialmente in rapporto all’ aumentare del consumo della stessa. Questo perché le ossa cedono dei sali di calcio per tamponare l’acidità prodotta dalla carne.

PERCHE’ ESCLUDERLA DALL’ALIMENTAZIONE DI UN PAZIENTE ONCOLOGICO?

Perché tutte le proteine di origine animale (escluso il pesce) vanno necessariamente eliminate poiché aumentano i livelli della proteina C reattiva,  indice di infiammazione. I valori normali della proteina C reattiva sono compresi tra 0,5 mg/l e 10 mg/l. Valori normali ma ai limiti superiori, è stato dimostrato che favoriscono la crescita del tumore e la sua metastatizzazione. Per tale motivo è importante che i pazienti affetti da cancro evitino il più possibile il consumo di carne.

  • Latte e derivati: (escludendo il latte materno). E’ un elemento idoneo alla crescita in quanto stimola la produzione di IGf1, ormone deputato alla crescita. Erroneamente si pensa che esso faccia bene e che sia una fonte di calcio per le ossa. Le evidenze scientifiche dimostrano il contrario: uno studio svolto dall’ università di Harvard  ha elencato le malattie provocate dal consumo di latticini: cancro alla prostata, morte precoce e malattie cardiovascolari, nonché, si è dimostrato che chi utilizza latte animale e suoi derivati come formaggi e yogurt ha un rischio elevato di contrarre fratture ossee in quanto ricco di proteine animali che creano acidosi metabolica; e quindi le ossa cedono dei sali di calcio per tamponare l’ acidosi, impoverendosi così di calcio. Le malattie provocate dal consumo di latticini possono essere: cancro alla prostata, morte precoce e malattie cardiovascolari.  Si è dimostrato inoltre, che chi utilizza latte animale e suoi derivati come formaggi e yogurt, ha un rischio elevato di contrarre fratture ossee in quanto ricco di proteine animali che creano acidosi metabolica e quindi le ossa cedono dei sali di calcio per tamponare l’acidosi, impoverendosi così di calcio.

PERCHE’ ESCLUDERLO DALL’ALIMENTAZIONE DI UN PAZIENTE ONCOLOGICO?

L’utilizzo di latte animale innalza notevolmente i livelli di IGF1. Aumentare i livelli di IGF1, significa aumentare il fattore principale della crescita delle cellule neoplastiche; e quindi ciò vuol dire, aumentare la velocità di crescita e la metastatizzazione tumorale. Per tale motivo è vivamente sconsigliato l’utilizzo di latte animale e derivati  per pazienti oncologici.

Tutti, latte animale, carni e  loro derivati, zucchero, sono causa dell’aumento dell’infiammazione che è un fattore fondamentale della proliferazione cellulare. L’infiammazione, nonostante sia un meccanismo di difesa, favorisce la proliferazione delle cellule tumorali le quali,  utilizzando sostanze rilasciate nel corso dell’infiammazione stessa, crescono e si moltiplicano .

Conoscere le caratteristiche di questi elementi è fondamentale, sia per fare prevenzione al cancro, sia per poterlo curare e perché no, mandarlo in remissione. È ormai assodato che la cura vincente per sconfiggere le neoplasie è una giusta alimentazione con adeguata attività fisica, che supportino l’attività dei chemioterapici e dei radioterapici.

Gustavo Castellano

 

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