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“L’Infermiere riceve…..anche subito”. Il giusto spazio nell’equipe sanitaria

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"L'Infermiere riceve.....anche subito". Il giusto spazio nell'equipe sanitaria
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Mi è capitato, ultimamente, purtroppo per serie vicissitudini sanitarie familiari, di venire a contatto con una struttura Ospedaliera pubblica del mio territorio.

Durante l’attesa di accesso in reparto, come succede a tutti, sia l’occhio che la mente vagano nell’intento di accorciare il tempo che non passa mai.

E se l’occhio passa in rassegna sbadatamente, la mente lo richiama all’ordine andando alla ricerca di una elaborazione significativamente credibile, facendolo ritornare indietro per poter meditare sull’oggetto del contendere, un cartello.

Sulla vetrata della porta d’ingresso vi leggo, non un accenno alla Carta dei Servizi ma le solite indicazioni antidiluviane:

  • “Il Direttore riceve…i gg… dalle ore..”;
  • “I Dirigenti Medici ricevono…da..a..”;
  • “La Caposala riceve…”.

Chi manca all’appello? Forse nel foglio non c’era più spazio!?

Allora guardo intorno, nella speranza di trovare qualche “Post-it”,..meglio di niente!!

Indicazioni di ambulanze private, assistenza notturna di chicchessia. Ma invano. Nessuna traccia dell’equipe infermieristica.

Gli Infermieri forse non sono tenuti a ricevere, tanto impegnati nel loro duro lavoro dall’inizio alla fine del massacrante turno. Non hanno tempo e forse non trovano le parole per esprimere se non in modo tecnico il proprio operato.

Ma qualcuno ha mai sentito parlare di:

  • Counseling;
  • empowerment agli stakeholders;
  • psicoeducazione infermierstica;
  • Infermiere di Famiglia;
  • infermiere di Comunità?

Sono tanti gli esempi e i motivi per cui dobbiamo trovare il tempo di “alzare il capo” sempre chino e intriso di lodevole responsabilità nel fare assistenza. E’ un dovere anche questo, di già per Legge.

Ne abbiamo sentito parlare tutti, e fiumi di dibattimenti ancora scorrono in relazione a questi …”vaneggiamenti” per alcuni.

Chi può spiegare il nostro lavoro, come facciamo assistenza e perchè? L’autonomia, purtroppo è ancora confinata sulla carta.

Un passo indietro, allora, per parlare del JCHAO (Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations) organismo autonomo (non governativo) no profit, che svolge la valutazione in ambito sanitario di strutture ospedaliere e non.

Nasce negli Stati Uniti nel 1951, con lo scopo di valutare e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria negli ospedali americani, risultato di quasi 50 anni di idee ed esigenze, che trova come precursore un certo Dott. Ernest Codman già nei primi anni del ‘900, il quale avvertì la necessità, dopo aver fondato un ospedale, di valutarne l’operato, tanto da estendere poi, tale valutazione, ad altre strutture sanitarie.

Nel 1997 la JCHAO istituisce la JCI (Joint Commission International), che si occuperà dell’accreditamento delle strutture sanitarie in ambito internazionale previo accertamento di requisiti di standard di qualità.

Sarebbe riduttivo fermarsi qui, d’altronde addentrarsi per specificare l’essenziale importanza di questo Ente, che dovrebbe stimolare le Organizzazioni Sanitarie a migliorarsi potrebbe essere lesivo per l’orgoglio di molti nostri Grandi Amministratori nonchè Direttori Generali.

Ma alla fine questo articolo dovrebbe essere solo divulgativo e servire da “leva” e ripeto da “stimolo”.

Ad oggi, quindi, la JCI è uno tra gli enti accreditanti più grandi e prestigiosi al mondo per le più svariate tipologie di strutture sanitarie quali ospedali, case di cura, laboratori, ecc., valuta e garantisce la presenza di specifici standard che ruotano intorno a due fondamentali cardini: il paziente e l’organizzazione.

Solo per prendere come spunto delle specificità che la Joint Commission ha creato attraverso set di riferimento.

In particolar modo prendendo spunto dallo standard “PF” (Patient and Family Education – Norme per la formazione del paziente/famiglia), l’Ente richiede che le facilitazioni sanitarie siano in grado di dimostrare come svolgano una filosofia educativa che consideri l’istruzione come un processo interattivo in cui sia i pazienti che gli operatori sanitari siano discenti.

Gli ispettori JCAHO cercano prove di tre principali processi coinvolti nell’educazione dei pazienti:

  • L’attenzione dell’ospedale all’istruzione;
  • Istruzione diretta del paziente e della famiglia;
  • Valutazione di quanto bene il programma di istruzione raggiunga i suoi obiettivi.

Queste attività dimostrano l’attenzione dell’ospedale sull’istruzione e sull’istruzione diretta del paziente e della famiglia. Infine,  valuta l’efficacia del programma educativo come parte dei continui sforzi di misurazione, valutazione e miglioramento dell’unità operativa.

Gli standard di accreditamento pubblicati da JACHO negli anni ’90 hanno favorevolmente rivalutato l’educazione/istruzione ai pazienti e ai loro familiari definendola un’alta priorità e parte vitale dell’assistenza sanitaria, dirigendosi verso un concetto moderno di salute che vede il paziente come membro integrato del team di assistenza sanitaria.

Quindi ritroviamo nelle considerazioni generali dello standard “PFE” che “L’educazione sanitaria rivolta al paziente e ai familiari li aiuta a partecipare in maniera più positiva al processo assistenziale (forse è ciò che cercavamo con ardore?) e a prendere decisioni più consapevoli sul tipo di cura.

Varie figure professionali all’interno dell’organizzazione si occupano di educare il paziente e i suoi familiari. L’educazione ha luogo nel momento in cui il paziente interagisce con i medici e con gli infermieri che l’hanno in carico”. 

Chiudo riportando l’indicazione, che ci deve far riflettere, “I professionisti sanitari che prendono in carico il paziente collaborano per fornire l‘educazione sanitaria” [1].

Educazione sanitaria menzionata dall’istituzione del nostro profilo professionale nel D.M. n.739 del 14/09/94 che già preparava la strada nell’art.1, comma 2 adducendo che”..l’assistenza infermieristica…è di natura…relazionale, educativa”.

Pertanto, è facile osservare che una siffatta attività, pur se non è riducibile alla sola informazione, non può tuttavia prescindere da preliminari (e contestuali, nella progressione della relazione interpersonale) momenti di carattere informativo da parte dell’infermiere[2].

Alla luce di quanto detto, quindi, quando saremo chiamati al pari degli altri membri dell’equipe? Quando e a chi giustificheremo il nostro operato?

Quando affideremo ai familiari il nostro assistito dopo avergli “cucito” addosso una certa aura di protezione?

Insomma, quando si troverà tempo di allungare quell’odioso cartello?

 

Giovanni Trianni, inf. Legale Forense

 

[1] Standard Joint Commission International 2014

[2]  Rodriguez D.,  Aprile A., Medicina legale per infermieri, Carocci Faber, Roma, 2015, p.81

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