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Licenziamento di un’infermiera annullato: la Cassazione smaschera le ritorsioni sindacali

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Disabile trattato in modo "disumano": per la Cassazione scatta il reato di tortura
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La Cassazione annulla il licenziamento di un’infermiera per ritorsione sindacale: un caso che fa scuola

Un’infermiera di una Casa di Cura privata è stata reintegrata sul posto di lavoro dopo che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22614 della sezione lavoro, ha annullato il licenziamento definendolo ritorsivo e discriminatorio. La vicenda, che ha origine nel contesto delle attività sindacali della lavoratrice, rappresenta un importante precedente per la tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare per chi opera nel settore sanitario.

Le accuse di omissione e connivenza

La lavoratrice era stata licenziata con l’accusa di aver tollerato la condotta di un collega che, durante un turno notturno, si era assentato lasciandole la completa gestione del reparto. Secondo il datore di lavoro, questa presunta omissione aveva compromesso l’assistenza ai pazienti.

A peggiorare la posizione dell’infermiera, l’azienda aveva richiamato due precedenti disciplinari, utilizzati per giustificare l’accusa di recidiva. Tuttavia, già la Corte d’Appello dell’Aquila aveva escluso qualsiasi violazione del dovere di diligenza da parte della lavoratrice. L’infermiera aveva infatti svolto tutte le mansioni necessarie, assumendosi anche le responsabilità del collega assente, senza causare disservizi. Inoltre, aveva informato prontamente la caposala dell’accaduto, dimostrando trasparenza e responsabilità.

Il vero motivo: la discriminazione sindacale

Secondo i giudici, il licenziamento non aveva basi disciplinari, ma rappresentava un atto ritorsivo legato all’attività sindacale della dipendente. L’infermiera era iscritta al Nursind, sindacato che aveva ottenuto importanti vittorie contro la Casa di Cura in una vertenza per il riconoscimento degli adeguamenti retributivi previsti dal contratto collettivo.

Subito dopo questa vittoria, il datore di lavoro aveva licenziato i dipendenti che avevano partecipato alla vertenza, mentre chi si era dissociato era rimasto in servizio. Questo elemento, insieme all’assenza di prove concrete per giustificare il licenziamento, ha portato la Cassazione a riconoscere la natura discriminatoria del provvedimento.

La sentenza della Cassazione: un messaggio chiaro

La Corte ha ribadito che i licenziamenti ritorsivi o discriminatori sono nulli, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e ha ordinato la reintegrazione della lavoratrice. Inoltre, ha sottolineato che la discriminazione sindacale può essere dimostrata anche attraverso dati indiziari o statistici, come la sistematica esclusione dei dipendenti attivi nelle rivendicazioni collettive.

Un caso emblematico per i diritti dei lavoratori

Questa sentenza sottolinea l’importanza di proteggere la libertà sindacale e i diritti dei lavoratori nel settore sanitario, un contesto in cui le dinamiche di potere possono spesso penalizzare chi cerca di far valere i propri diritti.

Il caso dell’infermiera dimostra che il sistema giuridico italiano può rappresentare un baluardo contro gli abusi, garantendo giustizia a chi subisce provvedimenti illegittimi. La reintegrazione sul posto di lavoro non è solo un atto riparatorio, ma un riconoscimento del valore della dignità professionale e del diritto di ogni lavoratore a svolgere attività sindacale senza temere rappresaglie.

La pronuncia della Cassazione non si limita a restituire il lavoro all’infermiera, ma invia un messaggio forte e chiaro: nessun datore di lavoro può abusare del proprio potere per colpire chi lotta per i diritti collettivi. Un principio fondamentale che rafforza la tutela dei lavoratori e promuove un ambiente lavorativo più equo e giusto.

Redazione Nurse Times

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