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Le dimissioni protette ospedaliere nel contesto italiano poche luci e tante ombre

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Negli ultimi decenni, nella realtà italiana, si è assistito a tre fondamentali fenomeni che hanno creato una situazione di complessità nell’assistenza alla persona non autosufficiente al momento della dimissione ospedaliera

Il primo di questi fattori riguarda le politiche sanitarie adottate nelle scelte concernenti i tempi di ricovero e le dimissioni da una politica basata sul lungo ricovero con finanziamento delle prestazioni ospedaliere dal Servizio Sanitario Nazionale sulla base dei giorni di ricovero si è progressivamente passati ad una politica che riduce in maniera sostanziale i giorni di degenza legati alla cura dell’acuzie della malattia, in una logica di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica. In tale contesto all’atto della dimissione ospedaliera, il paziente si trova in una condizione di piena convalescenza che prevede la somministrazione di cure mediche, assistenziali e riabilitative.

(Introduzione con il Decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 18 dicembre 2008 “Aggiornamento dei sistemi di classificazione adottati per la codifica delle informazioni cliniche contenute nella scheda di dimissione ospedaliera e per la remunerazione delle prestazioni ospedaliere” del sistema dei raggruppamenti omogenei di diagnosi DRG)

Il secondo fattore rappresenta quindi la complessità del soggetto che passata la fase dell’acuzie è in condizione di fragilità. La fragilità rappresenta una condizione di maggior rischio di eventi avversi che sono causa del progressivo manifestarsi di disabilità e non autosufficienza dovuta all’invecchiamento. Concorre altresì, a determinare la condizione di fragilità la mancanza di una rete famigliare e sociale di assistenza.
Il terzo fattore è costituito dai mutamenti sociologici della struttura familiare. Il disgregarsi del del modello patriarcale, specialmente in Italia, ha portato ad uno scenario con famiglie difficilmente in grado di accogliere e curare una persona anziana, che al rientro al domicilio, necessita di assistenza sociosanitaria e sociale continuativa.
La problematica della dimissione ospedaliera di pazienti fragili e con bisogni assistenziali complessi che necessitano di continuità delle cure, rappresenta una condizione alla quale il sistema socio-sanitario deve provvedere offrendo risposte appropriate; tale condizione è stata inserita come fenomeno da fronteggiare, nel Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 (approvato dalla Conferenza Unificata Stato Regioni) dove vengono individuati tra i pazienti che necessitano maggiormente di continuità assistenziale assieme ai pazienti cronici, “i pazienti post-acuti dimessi dall’ospedale che corrono rischi elevati, ove non adeguatamente assistiti, di ritorno improprio all’ospedale; essi necessitano di competenze cliniche e infermieristiche, con l’affidamento ad un case manager, in una struttura dedicata o a domicilio”.

La risposta istituzionale a tale situazione di complessità si identifica nell’erogazione alla famiglia, da parte dei servizi territoriali, dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che rappresenta, come evidenziato dall’Organizzazione Mondale della Sanità, la possibilità di fornire a domicilio del paziente quei servizi e quegli strumenti che contribuiscono al mantenimento del massimo livello ottenibile di benessere e salute.
Gli interventi programmati di ADI tuttavia non sono presenti in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale e, anche laddove il servizio venga offerto a pieno regime, spesso rischia di perdere efficacia e appropriatezza se non viene basato su una valutazione condivisa (con relativo piano di assistenza) tra il personale del reparto dimissionario, gli operatori del territorio e lo stesso paziente o la sua famiglia.
Ulteriore situazione di complessità, che si inserisce nel contesto sopra descritto è infatti l’atavica mancanza di un dialogo tra l’istituzione ospedaliera e i servizi territoriali. Per molto tempo, l’istituzione preposta alla cura è stata considerata esclusivamente quella ospedaliera e questo ha fatto si che i servizi territoriali di cura venissero sempre in secondo piano e non considerati fondamentali, quali sono per la long term care, sia per quanto concerne la qualità del servizio offerto, sia per quanto concerne il costo dell’intervento e della presa in carico..

L’Assistenza Domiciliare Integrata è caratterizzata da vari livelli di intensità a seconda dei bisogni della persona.
Il primo livello è un’assistenza a bassa intensità correlata con un’alta intensità e complessità di interventi socio assistenziali. Il secondo livello rappresenta una media intensità assistenziale con presenza del medico e assistenza infermieristica a domicilio una o più volte la settimana.

Il terzo livello è caratterizzato da alta intensità assistenziale con un intervento sanitario coordinato ed intensivo.
È da rilevare che negli ultimi dieci anni i servizi socio-sanitari territoriali hanno visto un graduale rafforzamento in alcune realtà, pur permanendo un forte divario tra sud e nord-centro; è tuttavia da analizzare il dato che, pur identificando una maggiore copertura di anziani servita,vede una diminuzione di intensità: il numero di anziani presi in carico è aumentato,ma le ore dedicate ad ognuno,diminuiscono progressivamente. Questo identifica l’Assistenza Domiciliare Integrata come intervento che assume in maniera crescente un profilo prestazionale caratterizzato dall’erogazione di alcune singole prestazioni e non una vera e propria presa in carico.
Il processo di dimissione ospedaliera deve essere governato e programmato dai servizi sanitari ospedalieri e territoriali, attraverso indirizzi e linee operative che si sviluppano a diversi livelli di complessità e qualità.
Il primo livello è rappresentato dalle Dimissioni Programmate, un processo che in vista della dimissione della persona prende in considerazione aspetti quali la valutazione del bisogno socio-assistenziale complessivo da soddisfare, l’individuazione di un piano di dimissione personalizzato definito dal medico ospedaliero e comunicato ai referenti dell’assistenza sul territorio.
Un secondo livello, viene invece identificato come Dimissioni Protette, questa tipologia di processo prende in considerazione i fattori sopra indicati ma, ed è questo l’elemento di qualità aggiunta, la valutazione del bisogno sociosanitario e assistenziale e le modalità della presa in carico vengono concordate e programmate tramite una valutazione congiunta tra referenti ospedalieri e referenti territoriali, del paziente e dei care giver. Con tale modalità operativa, oltre ad ottenere una riduzione dei ricoveri e una diminuzione del tasso di ri-ospedalizzazione, si valorizza l’aspetto della qualità totale dell’intervento. La dimissione protetta in conseguenza si configura quale processo che guarda alla complessità della situazione, considerando fattori di diversa natura e di fondamentale importanza per il recupero psico-fisico del benessere della persona.

Le cure al domicilio rappresentano un’opportunità importante per il recupero della salute di persone colpite da una malattia invalidante; nel contempo tuttavia il rientro nella propria abitazione spesso è fonte di gravi disagi e difficoltà: si passa da un’assistenza sanitaria di 24 ore su 24 ad un livello assistenziale ridotto nel tempo e nell’intensità, con forte carico sulla famiglia. Anche laddove sono disponibili servizi sanitari e sociali a domicilio, spesso i familiari devono affrontare difficoltà burocratiche, problemi organizzativi, tempi di attesa prolungati che provocano discontinuità assistenziale.
Ad oggi non sono presenti protocolli operativi che vengono applicati in modo uniforme in tutte le realtà italiane.

Laddove queste procedure sono presenti si assiste a modalità operative profondamente diverse tra le realtà regionali e all’interno della stessa regione tra le realtà locali e perfino tra distretti socio-sanitari all’interno di ogni singola A.S.L.
Come spesso accade nel Sistema Sanitario Nazionale i buoni propositi ci sono,le idee vengono messe nero su bianco, ma poi realizzarle è tutt’altra cosa per cui regioni ed in questo caso addirittura A.S.L. più ricche e più sensibili a queste problematiche riescono se pur con difficoltà a creare e far più o meno funzionare strutture locali adeguate altre realtà sono distanti a tutt’oggi anni luce da standard di qualità e di appropriatezza che siano almeno accettabili per un paese avanzato come il nostro facendo di fatto cadere il principio di universalità e di accessibilità alle cure che è fondamento del nostro S.S.N. e creando corto circuiti che generano riospedalizzazioni che non sono appropriate e che mettono in discussione la sostenibilità economica del sistema stesso in molte regioni, in una sorta di perverso giro tondo in cui tutti vorrebbero,ma nessuno fa o può fare.
Sarebbe ormai il caso di rendersi conto che gli scenari sono mutati e che i bisogni di salute sono cambiati e partendo da questo che ci fosse un reale spostamento del focus dal curare al prendersi cura in un ottica di presa in carico reale e multidisciplinare che parta appunto dai territori in quanto è ormai noto a tutti che gli ospedali non sono e non possono essere il centro indiscusso ed accentratore della sanità. Le persone vanno assistite nel loro territorio e nelle loro case evitando i ricoveri impropri e le riospedalizzazioni inutili,ma per far questo si deve necessariamente partire da una effettiva e reale valorizzazione delle risorse del territorio e delle professioni sanitarie solo così si potrà evitare quello che ad oggi appare un inevitabile fallimento del S.S.N.

Angelo De Angellis

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