Seattle, Università di Washington
Lo studio (pubblicato su JCI Insight), coordinato dal Dottor Jonathan Himmelfarb che promette di rivoluzionare la vita dei pazienti in dialisi: un piccolo rene artificiale portatile che effettua un trattamento dialitico continuativo.
“Passeranno ancora molti anni prima di poter certificare la sicurezza e la qualità dei trattamenti -dicono gli autori dello studio- ma consentono, in prospettiva, di ipotizzare un miglioramento della qualità di vita per quei pazienti a cui è possibile applicare tale nuova metodica.”
Sono oltre 2 milioni in tutto il mondo le persone con insufficienza renale trattata con l’emodialisi. Pazienti che oltre ad essere maggiormente esposti ad un alto carico di morbilità e mortalità (fino a 8 volte in più rispetto alle persone di pari età nella popolazione generale), debbono aderire a limitazioni sulla dieta e sull’apporto di liquidi ed effettuare la dialisi solo in ospedale o in centri specializzati.
Il riconoscimento di questi limiti, come spiegano gli autori nello studio pubblicato “ha stimolato la ricerca di metodiche alternative ai trattamenti convenzionali. Le macchine per emodialisi attuali limitano sostanzialmente la libertà di movimento dei pazienti e la loro capacità di impegnarsi in attività della vita quotidiana”.
Il dr. Himmelfarb e la sua equipe hanno così creato un “rene artificiale” che funziona in continuo e sottoposto 11 pazienti – in dialisi da almeno 15 mesi – ad un trattamento continuo di 24 ore.
I risultati
In tutti i test condotti, evidenziano gli autori, non sono state riscontrate complicanze. I pazienti durante il trattamento hanno potuto muoversi liberamente ed hanno dichiarato soddisfazione per i pochi effetti collaterali, per la flessibilità e i pochi disagi.
Durante lo studio, “tutti i pazienti si sono mantenuti emodinamicamente stabili e non si sono verificati gravi eventi avversi. Gli elettroliti sierici ed emoglobina sono rimasti stabili per tutta la durata del trattamento in tutti i soggetti. La rimozione di fluidi è risultata corrispondente alla quota di ultrafiltrazione prescritta. Il flusso ematico medio è stato di 42 ± 24 ml / min, ed il flusso medio di dialisato di 43 ± 20 ml / min.
La clearance media di urea, creatinina, e fosforo nelle 24 ore è stata rispettivamente di 17 ± 10, 16 ± 8, e 15 ± 9 ml / min. La clearance media di β2-microglobulina è stata di 5 ± 4 ml / min”.
Cinque pazienti hanno completato tutto il trattamento previsto nelle 24 ore, durante le quali l’apparecchio ha funzionato come i ricercatori si aspettavano.
Diversi, ovviamente, i problemi tecnici riscontrati:
Un paziente ha dovuto sospendere il trattamento per problemi alla coagulazione del sangue.
In altri due casi il problema è stato nel malfunzionamento delle batterie.
In altri tre casi la terapia è stata sospesa per la presenza di bolle di anidride carbonica nel circolo sanguigno.
In conclusione, ci vorrà senza dubbio ancora molto tempo perchè tutto ciò diventi “realtà quotidiana”, ma sicuramente, come affermato anche da altri studiosi di altre parti del mondo ( come per esempio Karin Gerritsen e Jaap Joles dell’University Medical Center di Utrecht in Olanda ) questo strumento potrà essere una vera rivoluzione nel campo della dialisi e permetterà ai pazienti un cambio radicale, ovviamente in positivo, della propria vita.
Gaia Pomar
FONTI
JCI Insight
www.ipasvibo.it
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