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La dott.ssa Iasevoli presenta una revisione della letteratura sulla gestione della sindrome del sundowning nei pazienti Alzheimer

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Essere bilingue difende il cervello dalla malattia di Alzheimer
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Arriva alla nostra attenzione la tesi della dott.ssa Alessandra Iasevoli laureatasi in infermieristica all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e attualmente infermiera in servizio presso l’unità operativa di Rianimazione Covid di Guastalla.

La tesi dal titolo “La gestione della sindrome del sundowning nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer: una revisione della letteratura” è in allegato.

BACKGROUND

L’argomento del mio lavoro di tesi tratta i metodi non farmacologici da poter attuare nei confronti dei pazienti con morbo di Alzheimer con sindrome del tramonto, un fenomeno che finora ha suscitato un interesse clinico e scientifico limitato rispetto ad altri sintomi neuropsichiatrici specifici che si verificano nelle demenze.

Il contesto storico e culturale in cui viviamo ha portato ad un aumento dell’aspettativa di vita media e quindi ci troveremo nei prossimi decenni sempre più a dover affrontare un invecchiamento della popolazione con conseguente aumento di persone affette da patologie croniche sia fisiche che mentali.

L’Alzheimer’s Disease International nel World Alzheimer Report 2015 riporta che il morbo di Alzheimer è la principale forma di demenza al mondo, rappresentando il 50-75% dei casi. Il morbo di Alzheimer non beneficia ancora di alcuna cura farmacologica: ciò che è possibile mettere in atto al momento riguarda terapie mediche create per cercare di attenuare e rallentare i sintomi derivanti dalla malattia.

I clinici hanno osservato che alcune persone affette da questa patologia presentano l’apparizione o l’esacerbazione di alcuni disturbi comportamentali quali agitazione, irrequietezza e confusione nel tardo pomeriggio, al calar del sole. Quest’ultimo fenomeno è stato chiamato “sindrome del tramonto”, in inglese “sundown syndrome” o, più comunemente, “sundowning”; si presenta in maniera ancora poco definita ed è stato osservato fino nel 20% delle persone con Alzheimer (Volicer L. et al 2001).

OBIETTIVO

L’obiettivo è quello di fornire una panoramica in merito il morbo di Alzheimer, la sindrome del tramonto e infine; lo scopo principale di questo studio è quello d’indagare e riassumere dati e risultati provenienti dalla letteratura più recente in quanto sono in aumento le prove sperimentali in merito a quali siano i migliori trattamenti non farmacologici che l’infermiere può attuare quando si trova dinanzi ad un paziente affetto da Alzheimer con sintomatologia sundowning.

RISULTATI

Terapia della luce: La percezione della luce può essere alterata e l’esposizione alla luce può essere ridotta nella popolazione anziana e soprattutto nei pazienti con Alzheimer. La luce risulta essere lo stimolo principale per il sistema melatoninergico circadiano (Peter-Derex L., Yammine P., Bastuji H. et al, 2015).

Ad esempio, dallo studio di Forbes D., Blake C.M., Thiessen E.J. et al (2016), è stato riportato che un programma di attività strutturate quotidiane offerto all’aperto, rispetto a quello svolto all’interno, ha migliorato la durata massima del sonno per le persone con demenza che hanno partecipato. Inoltre, è stato constatato che garantire un passaggio graduale dalla luce diurna all’illuminazione artificiale può attenuare i cambiamenti comportamentali che si verificano nel tardo pomeriggio ed è quindi un atteggiamento suggerito, al fine di evitare un’eccessiva stimolazione sensoriale durante le ore serali; sia uditive che visive (Canevelli M., Valletta M., Trebbastoni A. et al., 2016, Salami O., Lyketsos C. & Rao V., 2011).

In più vi è un altro tipo di trattamento non farmacologico, che utilizza la luce artificiale e viene chiamato BLT (Bright-light therapy) consiste proprio nell’esporre i pazienti con AD alla luce intensa utilizzando una scatola luminosa a spettro completo per un minimo di mezz’ora al giorno, di solito al mattino.

Come riportato nella revisione di Peter-Derex L., Yammine P., Bastuji H. et al, (2015) l’efficienza del BLT sui disturbi del ritmo circadiano è stata testata in molti studi e i risultati mostrano un miglioramento della funzione del sonno riducendo significativamente la frammentazione del sonno notturno e aumentandone la durata. Seppure non ci sono ancora eccellenti evidenze in merito è appurato che questo intervento non ha effetti avversi gravi e può essere considerato come trattamento di prima linea per i disturbi del sonno nei pazienti con Alzheimer.

Strategie cognitivo comportamentali: le strategie cognitivo comportamentali o psicoeducative consistono in attività fisica diurna combinata, i pazienti dovrebbero essere incoraggiati a fare esercizio regolarmente (almeno per 30 minuti) durante il giorno, dovrebbero essere spinti a camminare all’aperto alla luce naturale, il più spesso possibile, e quando questo non è possibile di mantenere l’attività all’interno (Salami O., Lyketsos C. & Rao V., 2011).

Un’attività fisica irregolare può, di contro invece, portare alla stanchezza e la stanchezza può aumentare la sintomatologia del sundown e produrre di conseguenza una scarsa qualità del sonno. Come riportato nella revisione di Peter-Derex L., Yammine P., Bastuji H. et al (2015), il tempo trascorso a letto durante il giorno dovrebbe essere ridotto, come i sonnellini diurni > 30 min e dopo le 13:00 dovrebbero essere evitati e la routine per andare a letto e alzarsi deve essere rispettata.

Bisogna evitare la somministrazione notturna di inibitori della colinesterasi e farmaci stimolanti e ridurre rumori e luci durante il riposo notturno, creando un ambiente confortevole.

In più nell’RCT di Shih Y., Pai M. Huang Y. &Wang J. (2016), viene analizzato un ulteriore aspetto dell’attività fisica, cioè chi fosse l’accompagnatore del paziente durante l’attività. Nello specifico, i risultati hanno mostrato che la qualità del sonno migliorava quando il paziente camminava con un coniuge o un altro membro della famiglia.

Melatonina: sebbene siano stati ipotizzati molti meccanismi diversi nella patogenesi della sindrome del tramonto, la carenza di melatonina sembra giocare un ruolo fondamentale. Dalla revisione di Jonghe A., Korevaar J.C., van Munster B.C. et al (2010), evince che basse concentrazioni di melatonina sono associabili a uno stato delirante, inoltre, la produzione endogena di melatonina diminuisce con l’età, ragion per cui l’età più avanzata è un importante fattore di rischio per la sindrome del tramonto. Sebbene diversi autori abbiano ipotizzato che la somministrazione esogena di melatonina possa ridurre i sintomi, finora, le prove cliniche che collegano il trattamento con la melatonina a un effetto positivo nei pazienti anziani sono limitate.

Altri interventi non farmacologici: nella revisione di Salami O., Lyketsos C. & Rao V., (2011), troviamo altri tipi d’ interventi non farmacologici: un aumento dell’attività fisica e dell’esercizio fisico durante il giorno, riduzione del tempo trascorso a letto durante le ore diurne, l’esposizione quotidiana alla luce solare, una routine strutturata per il riposo serale e la riduzione dei rumori e delle luci notturne. Questi interventi hanno inoltre prodotto come effetto la riduzione della sonnolenza diurna, una diminuzione della durata media e della frequenza dei risvegli notturni.

CONCLUSIONI

Gli interventi non farmacologici possono essere considerati strategie di trattamento di prima linea a causa del rischio relativamente basso di effetti avversi per i pazienti a seguito della somministrazione di terapia della luce o dell’applicazione di un intervento comportamentale e multiforme.

Come riportato dall’analisi dei vari studi non sono stati dimostrati dati caratteristici per i trattamenti non farmacologici, ma i farmaci attualmente utilizzati nel trattamento della sintomatologia del tramonto e del delirio, come gli antipsicotici, di cui i test a sostegno non sono solidi e questo è ulteriormente mitigato dai loro effetti indesiderati; hanno riscontrato un significativo aumento del rischio di altri problemi come le cadute o effetti avversi dai farmaci sedativi.

Alla luce di tutto questo si afferma che l’associazione tra melatonina, trattamento con luce intensa e strategie cognitivo comportamentali sembrano essere promettenti soprattutto se attuate in maniera sinergica, ma mancano protocolli terapeutici standardizzati applicabili nella pratica quotidiana. Sono necessarie ulteriori indagini e ricerche per migliorare la conoscenza in merito i trattamenti possibili e successivamente migliorare i risultati per ottenere il miglior contenimento della sintomatologia del sundowning.

IMPLICAZIONI NELLA PRATICA

I disturbi legati al sundown possono essere molto frustranti per i pazienti e per i loro caregivers, ostacolando così la qualità della vita.

La gravità della demenza, la scarsa qualità del sonno, la minore durata settimanale della deambulazione, la scarsa esposizione alla luce naturale e l’insufficiente produzione di melatonina sono i fattori influenzanti della sindrome del tramonto.

Una delle strategie da adottare è quella di camminare (almeno 30 minuti al giorno): è una forma di esercizio semplice, fattibile, sostenibile ed economica; utile non solo per migliorare il loro stato mentale e le funzioni fisiche, ma anche per ridurre la sindrome del tramonto e i disturbi del sonno.

Poiché l’esposizione alla luce esterna ha molti potenziali benefici per la persona con demenza, si può pensare in futuro di strutturare le residenze per anziani con grandi finestre in soggiorni e stanze da pranzo; cosi da poter favorire l’esposizione alla luce naturale sostenendo il graduale e naturale passaggio dalla luce diurna a quella serale senza avere la stimolazione continua della luce artificiale.

È importante formare gli operatori e i caregivers sulle tecniche d’adottare, come per esempio scoraggiare i sonnellini pomeridiani maggiori di 30 minuti, evitare stimolazioni prima della messa a letto, mantenere una routine per la sera per non alterare continuamente gli orari e le abitudini del soggetto con sindrome del tramonto.

Anche l’associazione tra melatonina e trattamento con luce intensa sembra essere promettente, lavorare in maniera sinergica sull’ampia scelta di trattamenti non farmacologici ha riportato buoni risultati, ma servono ancora altre ricerche future in merito.

Alessandra Iasevoli

Allegato

Tesi “La gestione della sindrome del sundowning nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer: una revisione della letteratura”

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