Il presidente del Cdl in Infermieristica dell’Università di Torino Valerio Di Monte mette in evidenza le criticità che la professione vive nei percorsi didattici universitari.
La professione infermieristica nell’università, la riforma degli ordinamenti didattici ad oggi ospiti o parte di essa? L’infermieristica è presente anche in una maniera molto significativa all’interno degli organi didattici, in particolare i corsi di laurea in infermieristica al contrario degli altri corsi di laurea delle professioni sanitarie del tipo di quelle riabilitative e tecniche hanno una quantità di crediti formativi (quindi di attività didattica) esclusivamente infermieristica.
Tanto per tradurre i numeri su 180 crediti formativi per corso di laurea, oltre la metà sono assegnati a quei settori scientifico disciplinari di scienze infermieristiche. L’area infermieristica, tra l’altro, tra la parte teorica e quella dei tirocini pratici, è molto rappresentata. Se parliamo invece di chi dal punto di vista didattico si occupa dell’attività formativa, ci sono alcune situazioni problematiche e molte differenze sul territorio nazionale. Intanto la componente nazionale dell’infermieristica è pochissimo rappresentata a parte di poche decine di professori ricercatori del settore specifico c’è il vuoto all’interno di questo; è molto difficile riuscire a sviluppare questo tipo di percorso anche da un punto di vista numerico.
Da un punto di vista dei contributi degli infermieri nel SSN è molto differenziata anch’essa in Italia, ma molto spesso l’accesso alla docenza non è così regolamentato e non tutto sempre valorizzato dall’università e dal SSN trovandosi spesso in questa situazione non chiara per un docente infermiere.
Di conseguenza non hanno tutti i torti gli infermieri quando sgomitano per avere maggiore visibilità, maggiore attenzione, maggiore riconoscibilità all’interno dell’università? Non si tratta di rivendicare dei posti, visto che bisogna fare i conti, uno con la questione finanziaria, per cui oggi è molto complesso attivare dei posti da concorso come i professori ed i ricercatori universitari, e l’altro aspetto è quello della preparazione per entrare all’interno del mondo universitario con un curriculum scientifico adeguato (problema più interno alla professione). Tutto il personale del SSN sicuramente dovrebbe e potrebbe essere valorizzato maggiormente attraverso protocolli di intesa Regioni-Università che stabiliscono regole e riconoscimenti, a partire dal coordinatore dell’attività professionalizzante, dai coordinatori di corso di laurea che sono nello specifico professionale degli infermieri, l’attività di tutoring dedicati alla formazione, e i docenti, diversificate nelle diverse regioni italiane. Quindi la domanda è legittima, ma la risposta in parte può essere risolta sul versante del SSN in parte sul versante universitario attraverso i concorsi.
Come vive l’Università la professione infermieristica?
Quando sono diventate lauree nel 2001 è cominciata a cambiare la prospettiva, non c’è più quella disattenzione o quella non considerazione di una volta. Detto questo poi non c’è un riconoscimento di tipo pratico-operativo nel senso che ormai che la formazione delle professioni sanitarie e quella dell’infermieristica in particolare sia anzi una possibilità di vita per l’università, senza questi corsi (faccio alcuni esempi in alcune situazioni dei poli universitari soprattutto sul lato medico c’è la componente dei corsi di laurea in infermieristica) quindi di questo c’è ormai coscienza e consapevolezza. Da qui a poi tradurre allora in attenzione in termini di risorse assegnate maggiore nell’ambito di questi corsi questo non c’è, anche perché c’è una legge dove la formazione delle professioni sanitarie ed in particolare quella dell’infermieristica è un sistema integrato tra Università e SSN.
Qui c’è un atteggiamento un po’ strano perché l’università non sente proprio questo tipo di formazione anche se chiamata a concorrere, l’università sa che molte risorse le mette il SSN (facciamo fatica a sviluppare il discorso dei docenti in infermieristica universitari perché comunque i docenti in infermieristica possono essere presi dal SSN, e quindi non c’è la necessità come per medicina che se manca il docente in cardiologia, e se manca il docente universitario bisogna bandire un concorso nella facoltà di infermieristica se non c’è il docente che insegna una materia di infermieristica prendo un collega dal SSN.
Quale può essere il punto di incontro tra le due parti perché i corsi di laurea in infermieristica possano ottenere quella riconoscibilità che da tempo auspicano gli infermieri?
Intanto a monte c’è il problema che il SSN dovrebbe sentire la necessità di far capire che la professione infermieristica è una professione utile al SSN stesso; siccome il SSN è il committente che dice all’università di aver bisogno di un certo numero di professionisti con determinate caratteristiche; è molto difficile valorizzarlo.
Quindi il primo passo è ancora esterno alla formazione universitaria, c’è il riconoscimento del valore professionale, da questo ne segue il fatto che se è così importante il ruolo e la competenza professionale dell’infermiere, mi dò da fare anche perché il suo percorso formativo sia valorizzato al massimo, a quel punto possiamo anche pensare che il SSN possa essere interessato che i formatori infermieristici sia che continuino come dipendenti del SSN, sia magari dare la possibilità a qualcuno di evolvere dal punto di vista universitario sarebbe sicuramente facilitato.
Quindi il punto di incontro è di avere questa consapevolezza che un buon studente ed un buon professionista che esce da un percorso universitario deve essere un professionista che deve rispondere alle aspettative del SSN; non è l’università che per conto proprio deve decidere che tipo di caratteristiche deve avere questo professionista. Questo passaggio forse non è ancora sufficientemente chiaro, per cui non c’è la completa responsabilizzazione delle due parti perché richiedono integrazione. La formazione in infermieristica è l’unico esempio di formazione universitaria dove sono due gli attori definiti anche per legge. Per medicina comunque è l’università che da sola ha la responsabilità completa del percorso formativo, per le professioni sanitarie c’è questa integrazione per cui il tirocinio non tutte le università ne capiscono la reale importanza perché è gestito dal SSN.
Lascia un commento