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Infermieri e medici del 118 accusati di omicidio colposo perché non rianimano il paziente: la sentenza

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La quota di iscrizione annuale all'Ordine degli infermieri «deve pagarla la Asl», la sentenza del giudice
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Il Tribunale di Viterbo, con la sentenza n. 1099/2024 del 14 novembre, ha chiarito un aspetto cruciale in materia di responsabilità sanitaria: quando una mancata manovra di rianimazione può davvero essere considerata causa del decesso? Il caso, che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e degli operatori sanitari, ruota attorno alla perdita di chances di sopravvivenza e al delicato tema del nesso di causalità.

I fatti: un intervento tardivo e nessuna rianimazione

Gli eredi di un pittore emergente, morto in seguito a un arresto cardiaco, hanno intentato causa contro i sanitari del 118 intervenuti sul posto, accusandoli di non aver eseguito alcuna manovra di rianimazione. Secondo i ricorrenti, questa omissione avrebbe privato il loro congiunto, un uomo di 39 anni, di concrete possibilità di sopravvivenza.

Nella loro ricostruzione, i familiari hanno evidenziato che il mezzo di soccorso, pur dotato di attrezzature idonee, ha raggiunto il luogo dell’incidente solo alle 02:50 e che, nonostante la gravità della situazione, il medico intervenuto non avrebbe attivato alcun protocollo di rianimazione.

La perizia tecnica: probabilità di sopravvivenza troppo basse

Il Tribunale ha però escluso la responsabilità dei sanitari, basandosi sulle conclusioni del consulente tecnico nominato in sede di accertamento preventivo. La perizia ha infatti rivelato che:

  • La causa del decesso è stata una malattia coronarica preesistente e mai diagnosticata.
  • L’esecuzione tempestiva di una manovra di rianimazione avrebbe incrementato le probabilità di sopravvivenza solo del 10-20%.

Questi dati non sono sufficienti, secondo il Tribunale, per soddisfare il criterio del “più probabile che non”, necessario per stabilire il nesso di causalità tra la condotta omissiva dei sanitari e il decesso.

Il principio giuridico: perdita di chance e nesso causale

La sentenza sottolinea che il danno da perdita di chance di sopravvivenza non è risarcibile in modo automatico. È necessario dimostrare, attraverso criteri scientifici e statistici, che l’omissione del trattamento abbia inciso sul decesso con una probabilità superiore al 50%.

Secondo il Tribunale:

“La chance rileva quale fattore incidente sul nesso di causalità, idoneo ad apprezzare il grado di determinazione dell’evento, operato secondo il giudizio controfattuale, e non quale autonoma posta risarcibile”.

Le implicazioni per il settore sanitario

La decisione rappresenta un precedente significativo per i professionisti del soccorso e del settore sanitario. Pur ribadendo l’obbligo di diligenza e prontezza, la sentenza ridimensiona il concetto di perdita di chance, evidenziando la necessità di una rigorosa analisi probabilistica per configurare una responsabilità risarcitoria.

Gli operatori del 118, spesso in prima linea in situazioni critiche, si trovano così a operare in un contesto che richiede non solo prontezza, ma anche il rispetto di parametri tecnici e scientifici rigorosi per evitare accuse ingiustificate.

La sentenza n. 1099/2024 del Tribunale di Viterbo rappresenta un caso emblematico di come la giurisprudenza italiana interpreti il delicato equilibrio tra responsabilità sanitaria e perdita di chance. In assenza di una probabilità statistica sufficiente, i sanitari non possono essere ritenuti responsabili per un decesso, anche in caso di condotta apparentemente negligente.

Redazione Nurse Times

Allegato

Sentenza n. 1099/2024 del 14-11-2024


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