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Il Professionista Infermiere dell’Assistenza Domiciliare e la fragilità

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Definizione di fragilità. L’etimologia del termine fragilità deriva da  “frangere” ossia facilità a rompersi, a spezzarsi, ad essere ridotto in frammenti. Le cause sono eventi che interessano la natura e l’uomo.

Per capire la realtà così vasta che va sotto il termine di “fragilità dell’essere umano” possiamo fare delle classificazioni più teoriche che reali, perché di fatto c’è un continuum che passa dalla normalità alla fragilità e dalla fragilità alla diversità riconoscibile.

Così come c’è un continuum fra le varie età della vita, attraverso le quali noi passiamo sempre diversi da noi stessi, senza poter individuare esattamente quando stiamo andando ai margini di una vita sana per entrare nella vecchiaia con le sue inevitabili sofferenze fisiche e morali, così c’è un continuum fra la normalità e i vari stati della fragilità.

Tali stati sono temuti e allontanati dalla nostra consapevolezza di uomini fragili, ma ci aspettano per manifestarsi quando meno ce lo aspettiamo.

In ogni stagione della vita l’uomo è umano, cioè fragile ed in tutte le generazioni si è fatta l’esperienza della fragilità.

Le variabili della sfida legata a farsi carico della fragilità riguardano: la famiglia, la scuola, il lavoro. La famiglia ossia il mondo degli affetti, della stabilità emotiva, della sicurezza del futuro.

Nell’ambito della famiglia la presenza di un membro più debole può sollecitare risorse insperate (una mamma di Treviso: “C’è voluto un bel pò, con il tempo però ho capito che non ero io a portare te, ma tu a fare da guida.

Tu non cammini e mi hai portato davanti al Signore, tu non parli e mi hai fatto ascoltare la sua parola, tu non vedi ma mi hai mostrato quanto è bella la luce.

Probabilmente non serve andare a Lourdes per incontrare la Madonna, ma se io posso un giorno tornare sarà per dire grazie, ora ho capito, il miracolo ce l’avevo già, lo tengo tra le braccia ogni giorno, perché sei proprio tu Christian quel miracolo…).

Un membro debole può però fare anche crollare situazioni già instabili. La paura si vince con l’accoglienza, nel segno dell’amore, della chiarezza e della concretezza.

La scuola è un ambiente di vita difficile, dove la competizione è molto forte e il bambino fragile rischia di essere emarginato ed entrare in quella sfera dello psichismo che mina la sicurezza e l’autostima.

Il mondo del lavoro esclude chi non sta al passo, giudica l’efficienza, trascura l’abilità conquistata con fatica, perché la resa non è quella attesa.

La risposta qualitativamente competente deve accogliere gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica, lo sviluppo tecnologico e i diritti dell’uomo.

Non bisogna  ignorare e  sottovalutare la fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell’uomo stesso in ogni contesto storico. L’unica risposta possibile è la sollecitudine concreta per i più deboli, i più poveri, per chi si trova in maggior pericolo e in più grave difficoltà, i più fragili appunto.

 La fragilità  della vita dell’essere umano

L’uomo è costitutivamente fragile. Il paradosso della  postmodernità è che, a fronte di notevoli sviluppi della biomedicina orientati al perseguimento del bene dell’uomo ed alla riduzione della sua fragilità, la vita risulta ancora irrimediabilmente fragile e potremmo anche dire: ancor più fragile.

Le cause sono riferibili alle sempre nuove e sofisticate metodologie diagnostiche, le inedite terapie farmacologiche frutto di elaborate sintesi di laboratorio, le rivoluzionarie sperimentazioni nei vari campi della medicina, il perfezionamento delle conoscenze nell’ambito delle biotecnologie, per cui l’uomo continua a percepire la debolezza della sua esistenza.

La fragilità dell’uomo, in quanto tale, non è vincibile ma possibilmente riducibile. Ciò significa che si deve procedere lungo la strada dello sviluppo delle ricerche al fine del bene integrale dell’uomo.

La medicina è una scienza che ha per oggetto i fenomeni patologici che alterano o possono alterare la funzionalità dell’organismo umano, allo scopo di mantenere o ripristinare, mediante gli opportuni mezzi preventivi o terapeutici, lo stato ottimale delle condizioni di salute.

Il fine è quello di arginare o prevenire le fragilità  umane. Se lo scopo è di intervenire sulle fragilità umane o di prevenirle, il paradosso, è che l’essere umano è diventato ancor più fragile.

Il motivo è forse ascrivibile ad un radicale cambiamento epistemologico della medicina, e perché la tecnica cerca di rifuggire da qualsiasi valutazione etica che non sia intrinseca alla ricerca stessa, e perché dalla medicina dei bisogni si è transitati nella medicina dei desideri.

Diversi sono gli esempi dai quali risulta evidente come alcune procedure biomediche hanno accentuato la fragilità dell’essere uomo.

Nella diagnosi genetica preimpianto, è insito il sacrificio di embrioni, sani o malati che siano. Viene presentata come una tecnica abbastanza affidabile, senza dire però che diversi embrioni subiranno anche un danno e la relativa acquisita maggior fragilità impedirà loro di essere trasferiti o di proseguire normalmente lo sviluppo in utero.

Altro esempio è dato dalle ricerche sull’uso delle cellule staminali, nella medicina rigenerativa. Il ricorso al prelievo delle cellule staminali embrionali comporta la morte dell’embrione. Per curare o tentare di curare determinate patologie, vale a dire specifiche fragilità, si sfruttano altre fragilità.

Fragilità al concepimento. Una libertà prevale sull’altra, o ancor meglio una libertà impedisce ad un’altra libertà, quella dell’embrione, di potersi realizzare. Potremmo anche dire fragilità che si incontrano e si sommano: fragilità di una donna che vive, nella solitudine, la possibilità di una gravidanza come  un dramma ragion per cui assolutamente da evitare; fragilità di una nuova vita che ha tutto il diritto di potersi continuare ad esprimere.

Fragilità  nel corso della gestazione. Molteplici indagini, seppur finalizzate alla conoscenza di malattie o alterazioni di varia natura, assumono innegabili azioni selettive. Non più orientate alla correzione di disfunzioni o di malformazioni, bensì alla soppressione del diverso o, comunque, del non accoglibile perché appunto troppo fragile

Fragilità nelle varie età della vita. Parametri come qualità della vita e scarsità delle risorse economico-finanziarie in sanità rappresentano i nuovi totem dell’assistenza e della ricerca socio sanitaria.

Certamente la scarsità delle risorse o gli impropri investimenti pongono interrogativi in merito all’allocazione delle stesse. A fronte di tali bisogni, si richiede una migliore organizzazione dei servizi socio sanitari  che privilegi una maggiore e più significativa assunzione di responsabilità verso le diverse fragilità, in una relazione di cura secondo socialità e sussidiarietà.

Tutto ciò non significa che la medicina sia oggi, in assoluto, contro l’uomo. Non è questo che si vuole affermare. Piuttosto si richiede che la ricerca, la biomedicina, le biopolitiche, l’assistenza infermieristica e tutti i servizi alla salute riguadagnino l’essenza di sistemi per la tutela della vita dell’uomo.

Fragilità in sanità: una proposta operativa

Il tema della fragilità in sanità è rivolto a tutte le persone che presentano bisogni di salute richiedenti prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, sulla base di progetti personalizzati.

Le persone in condizione di fragilità sperimentano più di altri la spesso insostenibile strutturazione “a compartimenti stagni” dei servizi socio sanitari, le opportunità di accesso nei luoghi e nei tempi non sempre omogenee, i percorsi tortuosi tra assistenza sociale e sanitaria, la mancata integrazione tra i sistemi.

A tutto questo si aggiunga la sempre presente condizione di fragilità psicologica che accompagna la persona in condizioni di bisogno e frequentemente la sua famiglia.

Le numerose esperienze hanno evidenziato come, per migliorare i servizi rivolti alla persona, sia necessaria la valorizzazione dell’Infermiere quale “antenna” capace di far tesoro della propria esperienza operativa per formulare ipotesi di miglioramento organizzativo relative ai percorsi di accoglienza e presa in carico del soggetto fragile nei percorsi della sanità.

Le azioni progettabili, per fronteggiare queste problematiche,  devono articolarsi sostanzialmente su:

Sistemi organizzativi rivolti alla continuità dell’assistenza sia relativamente alle dimissioni protette sia relativamente alla presa in carico dei molteplici bisogni delle persone, anche solo temporaneamente disabili, fino alla costruzione di una rete. La rete può riguardare servizi diversi all’interno della zona territoriale, tra la zona territoriale e la realtà riabilitativa ed assistenziale esterna (privato convenzionato) nonché verso associazioni di volontariato locali per collaborazioni specifiche su percorsi individuati;

L’opportunità di individuare azioni, funzioni in grado di progettare e supportare, e quindi facilitare, la creazione ai vari livelli dell’organizzazione sanitaria di “fili di congiunzione operativa”;

Un approccio verso nuove fragilità, quali le problematiche presentate dalle persone immigrate.

La difficoltà di comunicazione e quindi di dialogo tra sistemi che utilizzano linguaggi e codici diversi legati a mandati istituzionali diversi nonché a matrici culturali e storiche differenti e frequentemente discrepanti.

Ciò risulta particolarmente evidente nel passaggio tra ospedale e territorio, intendendo l’uno come storicamente molto organizzato, specialistico e storicamente auto-esaustivo mentre l’altro come elemento in perenne strutturazione e non sufficientemente legittimato. Altro elemento destabilizzante è la confusione di ruoli e di mandati relativa ai sistemi ed ai professionisti diversi che a vario titolo intervengono nel processo assistenziale, tale che frequentemente sono gli stessi destinatari degli interventi a dover fungere da “integratori” del sistema laddove non si riesca a costruire una integrazione “a monte”.

Tali carenze sono maggiormente evidenziate dalla mancanza di un modello organizzativo già sperimentato e presieduto da professionisti dell’assistenza preparati e motivati nella costruzione di una rete tra ospedale, servizi territoriali e il privato accreditato.

La concezione del professionista dell’assistenza inteso come “antenna” capace di captare i bisogni dell’utenza, nonché di formulare ipotesi e di articolare esperienze orientate ad una facilitazione sia come presa in carico sia del procedere del soggetto fragile nei percorsi dei servizi socio sanitari, si possono esaminate varie opzioni.

All’interno delle singole aree della ASL, si dovrà favorir una sorta di “libera esposizione delle idee” chiedendo almeno annualmente ad ogni singolo operatore, su base assolutamente volontaria, di individuare criticità scarsamente considerate relativamente alla propria area di interesse e di formulare ipotesi per la soluzione dei problemi, abbozzando ipotesi progettuali che abbiano fondamentalmente la caratteristica di utilizzare al meglio risorse già esistenti per facilitare l’accoglienza, la presa in carico, la valutazione integrata ed i percorsi razionali e coerenti dei soggetti fragili all’interno del sistema sanitario.

A tale scopo potrebbe essere predisposto un formulario unico per l’intera ASL, di semplice comprensione e compilazione, che le direzioni periferiche potrebbero inviare capillarmente ai propri operatori sollecitandone la restituzione nelle sedi direzionali centrali oltre che  ai responsabili dei relativi servizi, come miglioramento del “circolo della qualità” (metodo di derivazione giapponese già da anni ampiamente utilizzato presso aziende private e pubbliche).

A partire da una tale concezione di “efficacia propositiva” dei professionisti, risulterebbe preziosa la possibilità che ogni area possa fare riferimento ad un “ufficio progettazione centralizzato”, che rielabori osservazioni e proposte degli stessi, traducendole in ipotesi operative adeguate alle diverse realtà e praticabili nei diversi contesti.

Una priorità di progettazione che si potrebbe perseguire attraverso l’utilizzo di finanziamenti europei, per l’intero livello regionale, potrebbe riguardare la mediazione culturale e le altre attività che possano agevolare la fruizione dei servizi sanitari da parte delle persone immigrate.

Altro elemento ipotizzabile è la sperimentazione di una funzione di “case-management” inserita nel territorio e dialogante con i soggetti fragili ed i sistemi assistenziali (UVM, MMG, Medicina Legale, Presidi Ospedalieri, assistenza domiciliare, etc.) utilizzando personale delle professioni sociali e sanitarie, da formare e  coordinati da un dirigente assistenziale.

La funzione di case-management potrebbe essere finalizzata a:

Permettere la condivisione di un metodo di lavoro (sia nelle modalità di valutazione, sia nella progettazione, realizzazione e verifica del progetto assistenziale personalizzato) tra figure professionali plurime;

Facilitare il coordinamento dei professionisti ai fini della coerenza del percorso;

Operare il controllo sull’utilizzo delle risorse e sulla loro corretta allocazione (valutazione di efficacia ed efficienza).

La funzione di case-management, da attribuire al personale sociale e sanitario, avrebbe sostanzialmente il ruolo di “raccoglitore e rielaboratore” delle informazioni relative al percorso assistenziale, della attivazione immediata di interventi “tampone” per superare buchi nella sequenzialità dei percorsi, del monitoraggio della prosecuzione dei percorsi e della “tesorizzazione delle buone prassi”, nonché di individuare il “referente del progetto” secondo la necessità prevalente del soggetto assistibile.

Il referente del progetto, che potrebbe essere l’Infermiere ADI, in quanto responsabile del caso, costituisce l’elemento di congiunzione indispensabile tra la persona  gli altri operatori, le strutture, come depositario del progetto realizzato da un équipé multispecialistica e riferimento certo per il MMG.

Una riflessione particolare merita la necessità che i professionisti, che svolgeranno la funzione centralizzata di case-management, prevedano momenti di presenza ospedaliera fissi e programmati e formulino proposte atte a favorire formazioni congiunte, condivisione di linguaggi ed elaborazione di ipotesi operative.

Sarebbe altresì auspicabile una riflessione, a livello regionale, per identificare una funzione che, finora, viene assolta in maniera del tutto spontanea o casuale: la funzione di “tutor”, “guida,”, “facilitatore”, o come viene denominato in alcune realtà nazionali “infermiere di famiglia”. Questa funzione potrebbe essere intesa come riferimento diretto e più accessibile per dipanare intoppi, superare incongruenze, tenere conto delle situazioni anche molto concrete per valutare la fattibilità dei percorsi, cercare di rendere coerenti le risposte del sistema, facilitare l’accesso alle informazioni ed alle soluzioni.

Tale funzione potrebbe essere svolta da professionisti Infemieri con buone capacità professionali che siano disponibili a svolgere un ruolo altamente professionalizzante. Risulta pertanto fondamentale analizzare le esperienze, per questa funzione, di affidamento a personale già operante (es. infermieri dell’assistenza domiciliari), nonché valutare la possibilità di utilizzare figure specifiche. La permanenza dello svolgimento “random” di questa funzione nei servizi rivolti o attraversati da particolari fragilità può portare a deterioramento e/o cattivo utilizzo di risorse materiali ed immateriali

Famiglia e fragilità

La fragilità interessa in vario modo, prima o poi, tutte le famiglie. È una dimensione normale del familiare. Quindi il centro del nostro paradigma di riferimento dovrà essere collocata la famiglia, a servizio della persona fragile.

Le famiglie che curano nel nostro paese in effetti ancora ci sono, sono responsabili, e chiedono proprio per questo libertà e normalità. Non politiche speciali per bisogni eccezionali, ma politiche normali per domande crescenti e spesso eccedenti le risorse delle famiglie.

Certamente occorre, quindi, riconoscere e sostenere il lavoro di cura in famiglia, sia per quello svolto dai membri della famiglia, (intervenire a favore dei care giver), sia per quello svolto da persone straniere (le badanti), cui occorre garantire condizioni dignitose e maggiore qualità di azione di cura.

Il contatto tra i servizi socio sanitari  e le famiglie che curano è spesso complesso, burocratico, troppo differenziato per enti, competenze, tipologie settoriali di bisogni.

Certamente è emersa una domanda urgente e prioritaria di semplificazione e unificazione dei contatti tra famiglie e sistema dei servizi: questo implica un segretariato sociale di base, e la richiesta di un interlocutore unico, una deburocratizzazione dei percorsi di accertamento di invalidità, che siano prioritariamente finalizzati al “progetto individualizzato di cura”, prima che a meccanismi di certificazione e accertamenti amministrativo-burocratico per impedire abusi e distorsioni.

Occorre prevede un “custode” di questo percorso/progetto individualizzato, come già citato nell’espressione di “case management”.

Nelle esperienze positive e nelle criticità viene confermata la centralità dell’integrazione, che assume diversi volti e confini: in primis integrazione tra sociale e sanitario; integrazione interprofessionale; integrazione tra livelli di responsabilità della pubblica amministrazione (nazionale, regionale, locale) tra soggetti diversi (servizi pubblici, cooperazione sociale, volontariato, associazionismo, auto-mutuo aiuto di associazioni e di famiglie).

La formazione e la ricerca devono  essere gli strumenti essenziali per creare la svolta tra professioni sociali e sanitarie che si occupano della fragilità. Inoltre, si dovrà intervenire nei loro curricula formativi di base e con moduli di formazione continua, al fine di  preparali: alla presa in carico multidimensionale (non solo specialistica, pur doverosa), al lavoro con le famiglie, al lavoro interprofessionale.

Questa revisione radicale deve essere promossa nei suoi contenuti a livello nazionale, come priorità strategica, dato che migliorare il fattore umano, nelle azioni per le persone fragili, significa incrementare in modo decisivo la qualità degli interventi.

Prevenzione, riabilitazione, presa in carico precoce non sono e non possono essere parole fuori moda. Sembra banale ma le famiglie e le associazioni, non vogliono smettere di ricordare che prevenzione e riabilitazione non sono solo parole per scrivere libri, ma sono azioni che possono migliorare la qualità della vita e delle cure (e forse addirittura far risparmiare!). Se anche sono state dimenticate nelle azioni concrete di molti territori, occorre riportarle al centro della programmazione e dell’azione.

La famiglia che cura può resistere solo in una comunità che cura. Questa indicazione deve essere  sottolineata, affermando che la famiglia attende dal contesto sociale cultura solidale, non  solidarietà concessa in casi di emergenza.

La sfida della “sussidiarietà buona” troverebbe qui una nuova declinazione, e si gioca su due livelli. In primo luogo nel ribadire che quando si dice “la famiglia al centro” non si può e non si vuole scaricare i costi e gli impegni di cura e di assistenza, lasciandola sola, ma occorre “farsi prossimo alla famiglia”, aiutarla e sostenerla.

In secondo luogo che all’ente pubblico spetta la valorizzazione di tutte le autonome capacità di autorganizzazione e di azione sociale della società civile, conservando però un insostituibile e irrinunciabile ruolo di garanzia, di qualità, di equità, di regia complessiva della rete.

Questa “cultura solidale” si concretizza anche in una serie di sfide a livello nazionale e locale, che coinvolgono la sfera politico-amministrativa, ma anche l’orizzonte culturale complessivo del nostro Paese.

Più importante però, come conclusione, è ricordare che la comunità solidale sarà operante quando, di fronte alle varie fragilità trattate, i cittadini delle nostre città e dei nostri paesi sapranno dire no alla paura, no al solo controllo, no alla sola repressione, no alla stigmatizzazione dei diversi e dei deboli, no alla colpevolizzazione della famiglia che ha al proprio interno un membro “fragile”. In questo senso è necessaria una maggiore attenzione a campagne di sensibilizzazione indirizzate a tutta la popolazione, per esempio pubblicità-progresso, il lavoro nelle scuole,  le priorità di azione degli enti locali.

Bisogna affermare invece una logica generalizzata di “prossimità alla fragilità”, in cui ricostruire trame relazionali solidali tra le persone e le famiglie, per combattere i veri nemici delle persone fragili e delle loro famiglie: l’estraneità, la solitudine e l’isolamento, che generano rabbia, paura, impotenza e critiche verso il sistema sanitario e socile. Occorre invece costruire, progettare, realizzare, valorizzare e valutare servizi socio sanitari, sistemi locali e ambiti di vita capaci di rigenerare fiducia e speranza.

Questa è la sfida centrale che ci attende come professionisti della salute.

 

Cosimo Della Pietà

 

 

Riferimenti bibliografici

  • Agodi M. C. qualità e quantità: un falso dilemma e tanti equivoci. Franco Angeli 1996
  • Vario Massimiliano. L’approccio multidimensionale rivolto all’anziano fragile.  Una revisione della letteratura. Professioni infermieristiche 2008;
  • Vitale Elsa, Bandila Maglie Rosita. Il ruolo dell’infermiere psichiatrico nel trattamento di anoressia e bulimia nervosa. Professioni infermieristiche 2007;
  • Wright L, Hickson M, Frost G. Mangiare insieme è importante: l’utilizzo della sala da pranzo in una geriatria per acuti incrementa l’apporto energetico. Giornale italiano di Scienze infermieristiche 2007;3(6):37–41;
  • Collegio IPASVI di Roma. L’indicizzazione per la professione infermieristica. ROMA: Collegio IPASVI di ROMA, 2006.
  • Silver Heidi J, Wellman Nancy S, Galindo-Ciiocon Daisy, Johnson Paulette. I caregiver delle persone anziane con nutrizione enterale a domicilio necessitano di addestramento avendo una preparazione assistenziale scarsa. Giornale italiano di Scienze infermieristiche 2006;
  • francoangeli.it
  • ipasvi.roma.it
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