L’attribuzione patrimoniale spettante al lavoratore per mancato godimento del risposo settimanale, previsto ex art. 36 comma 3 Cost., ha natura risarcitoria poiché è correlata ad un inadempimento del datore di lavoro, essa, quindi, non va confusa con la maggiorazione contrattualmente prevista per la coincidenza di festività con la giornata di riposo settimanale.
Il (sacrosanto) diritto al riposo.
Un gruppo di dipendenti di un’azienda di trasporto pubblico si rivolgeva al giudice del lavoro per ottenere il risarcimento del danno per non aver goduto dei riposi stabiliti. Essi, infatti, avrebbero dovuto fruire del riposo minimo di undici ore giornaliere e del riposo settimanale di quarantacinque ore consecutive. I giudici di merito qualificavano il danno patito dai lavoratori come “danno da usura psicofisica” e non come “danno alla salute” o “danno biologico”, pertanto liquidavano il danno in via equitativa, utilizzando come parametro di calcolo la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore per la maggiorazione del lavoro straordinario notturno e festivo.
La società datrice di lavoro impugnava la sentenza di secondo grado, deducendo vizi di motivazione in ordine all’accertamento del danno (non vi sarebbero stati più fatti gravi, precisi e concordanti) ed alla sua determinazione in via equitativa (che sarebbe stata scarsamente giustificata).
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Nel caso di specie, tutti i giudici aditi sono concordi nel ricondurre il danno da mancato riposo al danno da stress o da usura psico – fisica. A sua volta, il danno da stress o da usura psicofisica, rientra nella categoria unitaria del danno non patrimoniale, causato da inadempimento contrattuale, pertanto, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto, sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.
In particolare, per qualificare il danno da mancato risposo, la Corte di Cassazione applica il principio – già enunciato con riferimento al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo – secondo cui è doveroso distinguere il “danno da usura psico-fisica” dall’ulteriore “danno alla salute” o “danno biologico”.
Il primo, infatti, consegue la mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, i secondi, invece, si concretizzano in una vera e propria infermità del lavoratore dovuta ad un’attività che è usurante, poiché svolta in piena continuità, senza il rispetto dei riposi settimanali.
Tali differenze vengono giustificate dalla Suprema Corte in considerazione della copertura costituzionale specifica del danno da mancato riposo: l’art. 36 Cost, disponendo il diritto al riposo settimanale, espone il datore di lavoro al diretto risarcimento del danno non patrimoniale. È lo stesso ordinamento che valuta il mancato riposo settimanale come un’offesa grave ed intollerabile, pertanto non v’è la necessità di un ulteriore accertamento sul punto da parte del giudice di merito. L’eccezione del datore di lavoro circa la mancanza di violazioni plurime, precise e concordanti è, quindi, priva di fondamento: esse non servono, per l’ordinamento il mancato riposo è già fatto grave, tale da giustificare un risarcimento.
Una volta accertato il danno da mancato riposo e qualificato come danno da usura psico-fisica, il giudice di merito l’aveva quantificato in via equitativa, utilizzando come criterio di calcolo la maggiorazione retributiva prevista per le ore di lavoro straordinario notturno e festivo. La Corte di Cassazione avalla la decisione sul punto, poiché ben motivata. Tale conclusione sembra contraddire la massima della sentenza, ma non è così.
Vero è che il mancato risposo non è automaticamente assimilabile allo svolgimento del lavoro straordinario e vero è, quindi, che il danno da mancato riposo non può essere riparato attraverso il pagamento delle maggiorazioni dovute per lavoro straordinario.
Tuttavia, in assenza di una norma che indichi come quantificare il danno da mancato riposo, il giudice può determinarlo in via equitativa, applicando istituti e parametri che siano coerenti con la serietà del caso. L’importante è che la scelta dei criteri di valutazione sia adeguatamente motivata.
Il giudice di merito, quindi, ha ben potuto liquidare il danno da stress utilizzando come criterio la retribuzione dovuta nei casi di lavoro straordinario notturno e festivo. Ben ha potuto poiché ha adeguatamente motivato tale scelta, senza “appiccicare” la retribuzione per il lavoro straordinario al mancato riposo.
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