Il virus è il principale agente infettivo responsabile di sordità e di ritardo psicomotorio congenito. Uno studio tutto italiano, condotto presso l’ospedale Sant’Anna, ha dimostrato come una donna incinta ben informata sulle norme igieniche sia in grado di evitare l’infezione durante la gravidanza.
L’infezione da citomegalovirus in gravidanza può essere prevenuta. Si tratta di una scoperta che ha avuto un risalto mondiale ed è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale EBioMedicine, la nuova pubblicazione online di medicina traslazionale nata dallo sforzo congiunto delle redazioni di The Lancet e Cell Press.
Il citomegalovirus (CMV) è il principale agente infettivo responsabile di sordità e di ritardo psicomotorio congenito. Si stima che ogni anno circa 40.000 bambini negli Stati Uniti, 35.000 in Europa e 2.000 in Italia nascano con l’infezione congenita (cioè contratta durante la gravidanza) da CMV. Il 10 – 20% di questi bambini (circa 200 – 400 in Italia) viene alla luce già sintomatico o svilupperà sintomi più o meno gravi nei primi anni di vita, un numero analogo a quello dei nati con la molto più nota sindrome di Down. Il costo sanitario e sociale dell’infezione congenita da CMV è enorme. In Paesi come la Germania e l’Italia i costi diretti di una infezione congenita da CMV superano i 60.000-100.000 euro, mentre le conseguenze per le famiglie colpite sono incalcolabili.
La trasmissione al feto è più frequente e le conseguenze per il bambino sono più gravi quando la gestante contrae l’infezione per la prima volta durante la gravidanza. Per ragioni legate alle caratteristiche del virus, il CMV è frequentemente e abbondantemente presente nelle urine e nella saliva dei bambini al di sotto dei tre anni di vita ed una delle più frequenti modalità di infezione avviene quando si portano inavvertitamente alla bocca mani o oggetti contaminati. E’ questa la ragione per cui gestanti sieronegative (ovvero suscettibili all’infezione primaria), che hanno frequenti contatti con bambini piccoli per ragioni familiari o di lavoro, sono ad elevato rischio di contrarre l’infezione. Circa i due terzi di tutte le infezioni primarie avvengono infatti in donne alla seconda o più gravidanza.
Viene in questi giorni pubblicato uno studio che dimostra in modo inequivocabile che una donna incinta ben informata sulle norme igieniche da seguire è in grado di evitare l’infezione durante la gravidanza e quindi di non infettare il suo bambino. Lo studio è stato condotto presso le Cliniche Ostetrico Ginecologica universitaria dell’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino (diretta dalla professoressa Tullia Todros) e della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Università di Pavia (diretta dal professor Giuseppe Gerna) ed è pubblicato su EBioMedicine, la nuova rivista online di medicina traslazionale nata dallo sforzo congiunto delle redazioni di The Lancet e Cell Press.
Lo studio congiunto Torino – Pavia, che ha coinvolto circa 9000 gestanti, si prefiggeva di valutare l’efficacia e l’accettabilità di un intervento basato sulla identificazione, all’inizio della gravidanza, delle donne ad alto rischio di infezione e sulla loro informazione. Alle donne veniva raccomandato di lavarsi frequentemente le mani, di non baciare i bambini piccoli sulla bocca o sulla faccia, di non condividere stoviglie, biancheria, cibo o bevande. Più in generale, veniva raccomandato di non portare alla bocca qualunque cosa potesse essere stata nella bocca del bambino (ciuccio, manine e piedini inclusi).
I risultati sono stati inequivocabili: mentre nel gruppo di controllo (donne non informate) 9 donne su 100 hanno contratto l’infezione da CMV, solo 1 su 100 ha contratto l’infezione nel gruppo che aveva ricevuto adeguate informazioni.
Inoltre, quando richieste di esprimere un giudizio al termine dello studio, il 93% delle donne ha ritenuto che l’impegno richiesto per seguire le norme igieniche raccomandate (incluso quella, non facile da mettere in pratica, di limitare gesti spontanei di affetto come baciare il proprio bambino sulla bocca / faccia) fosse del tutto proponibile alle donne a rischio di infezione.
Questa favorevole combinazione si è verificata tre anni fa dall’incontro dei ricercatori dell’Università di Pavia, coordinati dal professor Giuseppe Gerna e dalla dottoressa Maria Grazia Revello, e dell’Università di Torino, coordinati dalla professoressa Tullia Todros e dalla dottoressa Cecilia Tibaldi, con la Fondazione Carlo Denegri di Torino.
I risultati di questo studio dimostrano in modo tangibile che prevenire è meglio che curare.
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