Home Regionali Calabria Giovane morto in clinica a Paola (Cosenza): mistero sui farmaci assunti. Le testimonianze di due infermieri e l’accusa di omicidio colposo per un medico
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Giovane morto in clinica a Paola (Cosenza): mistero sui farmaci assunti. Le testimonianze di due infermieri e l’accusa di omicidio colposo per un medico

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Gianmatteo Broccolo è morto a 36 anni nella clinica Villa degli Oleandri di Paola (Cosenza). Il suo decesso è stato attribuito a insufficienza neurologica e depressione respiratoria acuta da assunzione di psicofarmaci. Uno stato indotto dall’assunzione di ossicodone e benzodiazepine.

I fatti risalgono a quattro anni fa. L’uomo si era allontanato dalla clinica il 6 gennaio 2021. Qualche giorno dopo, nella notte tra il 9 e il 10 gennaio, vi era stato riaccompagnato in ambulanza da Cetraro (Cosenza), scortato dai carabinieri, che lo avevano rintracciato sulla costa tirrenica cosentina e trasportato in ospedale. Ufficialmente il suo cuore ha cessato di battere a distanza di neanche 12 ore dal rientro. Sul suo letto è stata trovata, stando agli atti, “una compressa di colore rosa con scritto da un lato ‘OC’ e dall’altro ’20, di cui si sconosce la tipologia del farmaco”.

Alle 12:30, proprio in prossimità della tragedia, il padre era nel cortile della clinica e chiedeva di salutarlo, di consegnargli il telefono e dei dolci. Gli dissero però che suo figlio riposava. L’autopsia ha segnalato la presenza nel suo stomaco di 5 pillole di ossicodone appena ingerite, in fase di iniziale assorbimento, ma anche macchie ematiche nelle narici, sanguinamenti gastrici e nel cervello, sparsi focolai emorragici, edema polmonare e celebrale.

I farmaci che aveva in tasca invece non contenevano ossicodone. Per far chiarezza sulla morte di Broccolo, oltre a un procedimento in corso al Tribunale di Cosenza, la Procura di Paola ha avviato indagini che hanno portato a processo il dottor Emilio Ruggiero, internista, medico di base ad Amantea (Cosenza). Il medico è accusato di omicidio colposo, in quanto ritenuto responsabile di aver aiutato Broccolo a procurarsi psicofarmaci e oppiacei durante i giorni in cui era “evaso” dalla clinica.

Quale terapia sia stata somministrata a Broccolo tra il 9 e il 10 gennaio non è stato del tutto chiarito dai sanitari che lo hanno avuto in carico nelle ore tra l’arrivo in clinica e la morte. L’infermiere di turno quando è stato dichiarato il decesso è stato ascoltato mercoledì nel corso del procedimento a carico di Ruggiero, rendendo dichiarazioni ritenute non conformi con quanto dichiarato nell’immediatezza dei fatti ai carabinieri.

Allora riferì di aver somministrato tutta la terapia al paziente (elencandola nei dettagli), il quale gli avrebbe anche chiesto un caffè. Mercoledì ha invece detto di ricordare che il ragazzo “alle 7, quando sono arrivato, non si era ancora svegliato. Ha dormito tutta la mattina, non ci ho mai parlato. Non gli ho dato nessun farmaco. Quando ho portato i dolci del padre ho visto che non rispondeva. Abbiamo provato a rianimarlo, poi sono state chiamate la guardia medica e il 118. Nel giubbotto e nel pantalone abbiamo in seguito trovato medicine che noi non usiamo”.

L’infermiere di turno che ha invece accolto Broccolo alla clinica Villa degli Oleandri quando è rientrato in ambulanza da Cetraro, ricorda di aver somministrato la terapia: 500 mg di Depachin, 300 mg di Seroquel, 30 gocce di Azepam, 35 gocce di Aldol e 10 gocce di Talofen. “Erano i farmaci che prendeva abitualmente – ha spiegato –. Il dottor Crispino, senza visitarlo, mi ha detto per telefono di dargli la solita terapia. E così ho fatto, con l’aiuto del 118 e dei carabinieri. Non ho controllato né la pressione né altri parametri, e nemmeno se avesse assunto altre medicine o se ne avesse con sé, perché pensavo fosse già stato perquisito dai carabinieri”.

L’uomo è stato quindi incalzato dal legale della difesa, che ha sottolineato l’illogicità di non avere controllato gli indumenti di un paziente ristretto in clinica per ordine di un giudice a causa di un’inchiesta (Ricettopoli) che ruota sul consumo di psicofarmaci e oppiacei. È stata inoltre sollevata la gravità dell’aver fatto ingerire medicine particolarmente impattanti senza misurare neanche la pressione. “Ho fatto solo quello che ha detto il dottore Crispino”, si è giustificato l’infermiere davanti ai giudici.

Redazione Nurse Times

Fonte: QuiCosenza.it

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