Ci sono voluti tre appelli e un balletto di rimpalli tra Cassazione e giudici di merito, prima di arrivare al verdetto di ieri, mercoledì 6 dicembre: l’iniezione di benzodiazepine che il 27 ottobre 2015 costò la vita a Giovan Battista Tuninetti, 84enne ricoverato all’ospedale di Carmagnola (Torino), è riconducibile a un omicidio colposo, non a omicidio volontario.
Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello, che per la terza volta ha esaminato il caso dell’infermiere Marco Capra, finito a processo per una dose letale di Midazolam, un potente sedativo somministrato, secondo l’ipotesi accusatoria, per passare un pomeriggio in tranquillità e per non badare all’anziano degente. Quest’ultimo, il giorno precedente, era stato molto agitato, mentre poche ore dopo l’infusione si era spento nel letto d’ospedale per la combinatoria di due farmaci che, scopriranno le perizie, non dovevano essere somministrati insieme su un paziente affetto da più patologie.
“Il mio tutor ha ucciso una persona sotto i miei occhi”. Con questo messaggio una stagista 21enne aveva denunciato i fatti in chat e poi si era recata personalmente da un superiore, parlando di “omicidio colposo”. La denuncia della direzione sanitaria aveva fatto partire gli accertamenti e subito gli inquirenti avevano scoperto una seconda omissione a carico dell’infermiere: non solo aveva somministrato il principio attivo killer, ma non lo aveva segnalato in cartella clinica ed era rimasto in silenzio mentre i colleghi cercavano di rianimare il paziente.
In primo grado il gup di Asti lo aveva condannato a 5 anni e 8 mesi per omicidio colposo, mentre i giudici d’appello nel 2021 avevano riqualificato la condotta in omicidio volontario con dolo eventuale, infliggendogli 14 anni e 4 mesi di carcere. L’integrazione istruttoria, in quel caso, si era concentrata su precedenti casi di morte sospetta nello stesso ospedale, con un’ulteriore indagine su 47 cartelle cliniche per verificare i rumor secondo cui l’infermiere già in altre occasioni aveva sedato dei pazienti per non doverli accudire.
Quella sentenza, però, non ha retto al vaglio della Cassazione, che ha ordinato un nuovo processo, accogliendo l’istanza degli avvocati difensori. Nell’appello-bis, partito a ottobre 2022, i giudici hanno disposto una nuova perizia con l’obiettivo di stabilire se il paziente potesse essere salvato con un antidoto e se l’infermiere ne fosse al corrente.
Redazione Nurse Times
Fonte: Torino Today
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