Commento a Cassazione Lavoro n. 18712 del 23 settembre 2016
“L’espletamento di fatto di mansioni superiori fa sorgere il diritto al corrispondente trattamento economico a patto che si assolva all’onere della prova sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo”
La sentenza in esame tratta di un dirigente medico dipendente di una ASL Campana, il quale riteneva di dover essere retribuito con una retribuzione maggiore, in quanto aveva espletato per un certo periodo di tempo le funzioni superiori a seguito di una delibera del D.G.
La suprema Corte chiarisce che: in materia di pubblico impiego contrattualizzato, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, all’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere (Cass. SU 11 dicembre 2007, n. 25837; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367);
In altri termini, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, – come la disposizione interna che ne giustifichi l’impiego – posto che, una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.
E’ però necessario, afferma la Corte, che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte tutte le responsabilità correlate a dette mansioni superiori.
Di conseguenza, anche se l’espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario è riconducibile all’ipotesi regolata dal D.Lgs. 31 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, relativa al conferimento illegittimo di mansioni superiori, con conseguente diritto del prestatore al corrispondente trattamento economico, tuttavia, al fine del riconoscimento del suddetto trattamento economico non è sufficiente il provvedimento di incarico, occorrendo invece l’allegazione e la prova della pienezza delle mansioni assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite da parte della parte ricorrente.
La Corte territoriale, in virtù dei su riportati principi, ha posto l’accento sulla mancata dimostrazione, da parte del ricorrente dell’avvenuta mansione superiore – per effetto del provvedimento del Direttore generale della AUSL n. 366 del 12 dicembre 2001, risultato privo dei contenuti contrattuali indispensabili idonei per qualificarlo come un atto di preposizione in senso proprio – della piena responsabilità delle funzioni connesse alla direzione della UO Servizio Tossicodipendenti del distretto della ASL, non avendo in particolare precisato quale sia stata l’attività svolta in concreto e, in particolare, se, per effetto di tale attività, egli abbia esercitato la direzione della suddetta struttura, assumendo oltre alle responsabilità professionali proprie dell’atto medico, anche la gestione organizzativa e amministrativa inerente il proprio operato.
Tale statuizione della Corte territoriale, afferma la Suprema Corte, non è stata efficacemente contestata nel presente ricorso, nel quale anzi, come si è detto, si muove dal presupposto in base al quale il suddetto provvedimento del Direttore generale avrebbe dovuto essere considerato un atto di conferimento dell’incarico dirigenziale e, come tale, avrebbe comportato l’assunzione da parte del ricorrente di tutte le connesse responsabilità, senza necessità di una specifica dimostrazione al riguardo da parte dell’interessato, dovendo, caso mai, essere la ASL a dimostrare che il suddetto atto di nomina non aveva avuto seguito.
Si dimentica però che: di regola, nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni vige il principio secondo cui la qualifica dirigenziale presuppone atti formali di inquadramento e non può, quindi, desumersi dalla natura dei compiti assegnati; nell’ipotesi di esercizio di fatto delle mansioni dirigenziali, l’interessato, al fine di ottenere il corrispondente trattamento economico ha l’onere di allegare e provare la pienezza delle mansioni assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite.
Senza contare che l’assunto del ricorrente secondo cui la ASL avrebbe dovuto dimostrare il mancato seguito del provvedimento del Direttore generale in oggetto – oltre a non essere conforme alla regola della ripartizione dell’onere probatorio applicabile nella specie – conferma che il ricorrente non ha sostanzialmente contestato l’affermazione – anch’essa di primario rilievo nella motivazione della sentenza impugnata – in ordine alla irregolarità e lacunosità del suddetto provvedimento e alla sua conseguente inidoneità a dimostrare l’avvenuta assunzione da parte del medico della piena responsabilità delle funzioni proprie della direzione della UO in argomento.
Per questi motivi, il ricorso deve essere respinto senza addebito di spese per la parte ricorrente.
Il direttivo AADI
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