Un significativo passo avanti nella lotta contro l’epatite Delta, con risultati che promettono di cambiare la prognosi di molti pazienti. Gli studi più recenti sono presentati al 57° Congresso dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf), in corso a Roma.
Gli studi recenti condotti in pazienti con cirrosi e trattati nella pratica clinica quotidiana hanno confermato i dati prodotti dagli studi registrativi, dimostrando come il trattamento dell’epatite Delta con Bulevirtide ottiene la risposta virologica e biochimica in oltre la metà dei pazienti. E dati preliminari indicano una riduzione degli eventi clinicamente rilevanti, quali lo scompenso epatico.
Tali evidenze aprono nuove prospettive nella gestione di una malattia spesso severa e rapidamente evolutiva, che spesso porta alla cirrosi in giovane età. È quindi indispensabile che la ricerca dell’anticorpo anti-HDV venga sistematicamente effettuato in tutti i soggetti HBsAg positivi, dal momento che il virus dell’epatite Delta ha bisogno del virus dell’epatite B per dare luogo ad un’infezione produttiva. I dati sono oggetto di approfondimento del 57° Congresso nazionale dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf), incorso a Roma (27-28 marzo), presso il Centro Congressi Auditorium della Tecnica (viale Umberto Tupini, 65), con oltre 800 specialisti.
IL SUCCESSO DELLA TERAPIA
I dati incoraggianti emergono sia dallo studio registrativo dopo tre anni di trattamento con Bulevirtide 2 mg, la formula disponibile in Italia, che nei riscontri in real life.

“Dopo tre anni di trattamento, nel 29% dei pazienti il virus non è più dosabile in circolo, viremia non detectabile; il 73% dei pazienti ottiene riduzione significativa della viremia (almeno due logaritmi); il 59% normalizza le transaminasi, che sono un indicatore di danno epatico attivo; il 55% ha allo stesso tempo una riduzione significativa sia della viremia che delle transaminasi”, sottolinea la professoressa Maurizia Brunetto (foto), del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa e direttore dell’UO di Epatologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.
“In sintesi – prosegue -, oltre la metà dei pazienti in trattamento ha una risposta virologica e biochimica, che si mantiene durante i tre anni di cura. I dati in real life confermano e avvalorano i risultati dello studio registrativo, tenendo conto che il trattamento è stato effettuato in pazienti con uno stadio più avanzato di malattia. I dati prodotti dallo studio registrativo indicano un’elevata probabilità (50%) di ricomparsa della viremia in caso di sospensione della terapia. Ne consegue che al momento la terapia nel paziente con risposta virologica e clinica non deve essere sospesa”.
E ancora: “Alcuni dati preliminari, emersi da uno studio multicentrico europeo coordinato dall’Università di Milano con il professor Pietro Lampertico e la dottoressa Elisabetta De Gasperi, condotto su oltre 270 pazienti, suggeriscono che questo trattamento riduca anche eventi come cirrosi scompensata e trapianto”.
EPATITE DELTA: 7-9 MILA PAZIENTI STIMATI IN ITALIA. IL RISCHIO È UN TRAPIANTO PRIMA DEI 50 ANNI
L’epatite Delta si manifesta solo nelle persone affette da epatite B, ma è particolarmente aggressiva e purtroppo ancora non è sempre diagnosticata tempestivamente. Lo studio PITER HDV-HBV, coordinato dall’Iss, ha dimostrato come anche in centri epatologici circa il 25% dei soggetti HBsAg positivi non vengono testati per anti-HDV.
Al momento in Italia abbiamo due popolazioni di persone affette da epatite D: una costituita da pazienti di origine italiana, in genere con un’età superiore ai 45 anni, in quanto non protetti dall’infezione di HBV e HDV grazie alla vaccinazione obbligatoria dal 1991; l’altra formata da pazienti trasferitisi in Italia provenendo da aree ad alta endemia da HDV (es. Romania, Moldavia, Ucraina). Questi pazienti sono spesso giovani, ma con malattia molto attiva ed evolutiva, come dimostrato dal fatto che la prevalenza dell’infezione Delta è particolarmente alta nei pazienti con cirrosi, e bassa nei portatori di HBV senza malattia di fegato.
“Come dimostrano gli studi dell’Università di Pisa e della piattaforma PITER dell’Istituto Superiore di Sanità, la prevalenza della cirrosi nei pazienti stranieri di meno di 40 anni con epatite Delta è del 70%, simile a quella dei soggetti italiani di 50-60 anni, dove è cirrotico il 76% – spiega la professoressa Brunetto -. L’HDV, infatti, provoca una malattia aggressiva ed evolutiva, con un quadro di cirrosi anche sotto i 40 anni e con il rischio di scompenso, di epatocarcinoma e di trapianto. Serve dunque maggiore consapevolezza sui rischi di questa infezione ed effettuare gli screening sulla popolazione con epatite B”.
IL 57° CONGRESSO AISF
Il 57° Meeting annuale dell’Aisf affronta i principali temi in ambito epatologico. Oltre alle numerose sessioni e ai laboratori pratici, si tengono quattro simposi, volti a sottolineare le novità terapeutiche per le diverse patologie: l’evoluzione dell’immunoterapia per il tumore del fegato, i nuovi farmaci per la MASLD, i nuovi farmaci di seconda linea per le malattie autoimmuni e colestatiche, le novità per trattare l’Epatite B nell’immunodepresso, per l’epatite Delta e l’impegno nella lotta all’epatite C, per la quale i farmaci DAA permettono di eradicare il virus definitivamente, in poche settimane e senza effetti collaterali. Nel pre-meeting attenzione per l’intelligenza artificiale, tema di interesse per tutti gli specialisti e non solo per i più giovani.
Redazione Nurse Times
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