L’unità di Aritmologia ed Elettrofisiologia dell’ospedale ravennate esegue ogni anno oltre 300 interventi di Crioablazione per eliminare il difetto elettrico del cuore più diffuso al mondo
Energia superfredda per curare l’aritmia cardiaca più diffusa al mondo: la Fibrillazione atriale.
Maria Cecilia Hospital, ospedale privato di Alta Specialità GVM Care & Research a Cotignola (Ravenna), si colloca tra i primi Centri in Italia e in Europa per l’alto numero di casi affrontati, efficacemente e a minor percentuale di complicanze (l’1% contro il 3,8% del Registro nazionale), mediante Crioablazione.
L’unità di Aritmologia ed Elettrofisiologia diretta dal dottor Saverio Iacopino esegue ogni anno oltre 300 procedure tramite Cryoenergia.
Questo il termine tecnico dell’innovativa metodica interventistica, su pazienti colpiti da Fibrillazione atriale.
Aritmia particolarmente insidiosa, la cui caratteristica sintomatologia, battito molto rapido ed irregolare, è il primo campanello d’allarme; la Fibrillazione atriale è una patologia a diffusione planetaria.
Una malattia, l’incidenza cresce all’avanzare dell’età biologica, rende impossibile un’efficace contrazione delle cavità atriali del cuore che si ripercuote, a sua volta, sulla funzionalità dei ventricoli e sul flusso sanguigno.
Può portare ad ictus cerebrale, scompenso cardiaco e gravi problematiche renali. La previsione degli specialisti parla di quasi 20 milioni di malati entro il 2030.
“I dati dell’esperienza di Maria Cecilia Hospital sull’ablazione (rimozione del difetto elettrico) mediante Cryoenergia – spiega il dottor Saverio Iacopino – confermano il nostro Centro quale struttura in Italia e in Europa con la maggiore percentuale di casi sottoposti ad efficace terapia”.
Nel corso del 12° Meeting Internazionale sulla Fibrillazione atriale, svoltosi a Bologna il 16 e 17 febbraio scorsi, il Dottor Iacopino ha presentato i numeri del progetto multicentrico italiano denominato 1STOP.
Il progetto raccoglie gli esiti relativi a 2.536 pazienti sottoposti a Crioablazione, ad oggi il più ampio Registro sull’ablazione in assoluto su scala mondiale, dimostrando che è stato possibile ottenere con la procedura in acuto un isolamento completo delle vene polmonari (l’origine degli impulsi elettrici errati) pari al 98,2%.
A livello nazionale al follow-up (controllo medico) medio a 2 anni, circa l’80% dei pazienti con Fibrillazione atriale parossistica (durata inferiore ai 7 giorni) trattati in Crioablazione mantiene un regolare ritmo cardiaco.
E lo stesso accade nel 60% dei malati affetti dalla forma persistente (durata superiore ai 7 giorni).
Ciò a fronte di complicanze procedurali nell’ordine del 3,8%, percentuale sensibilmente più bassa rispetto a quanto riportato in pazienti trattati con Radiofrequenza (ablazione transcatetere a caldo estremo), circa il 6% secondo i dati di una survey mondiale.
Nello specifico, cioè concentrando l’attenzione su Maria Cecilia Hospital, la Crioablazione ha dato riscontri ancora più positivi.
“Al follow-up medio di 16 mesi – dice il dottor Iacopino – circa il 90% dei pazienti con Fibrillazione atriale parossistica mantiene il ritmo sinusale. Dato che si attesta al 70% nei soggetti colpiti dalla forma persistente. Mentre le complicanze procedurali scendono all’1%, quindi meno della quota inserita nel Registro italiano”.
Come funziona la Crioablazione
La Crioablazione è la tecnica che utilizza un dispositivo medico a forma di palloncino (il “criopallone”) in grado di sfruttare l’energia fredda – la temperatura media varia dai -40° ai -45° – per cicatrizzare, ghiacciandolo, il tessuto da cui scaturisce il problema elettrico del cuore.
Nella Crioablazione, l’energia fredda si somministra in maniera più omogena rispetto alla Radiofrequenza (o ablazione a caldo estremo).
Il dispositivo, del diametro di circa 30 millimetri, è introdotto dall’atrio sinistro in corrispondenza delle 4 vene polmonari.
Contiene un piccolo sensore capace di riprodurre i segnali elettrici da eliminare; in questo modo si è in grado di capire dove, durante la procedura, il segnale smette di propagarsi. Se il potenziale elettrico s’interrompe entro 1 minuto dall’inizio dell’ablazione, l’efficacia del trattamento è a lungo termine.
È una metodica che dimostra minore probabilità di recidive – riducendo di molto l’esposizione radiologica per tecnici, medici e malati – nonché minori eventi avversi dopo la procedura (necessità di eseguire una cardioversione elettrica o di ripetere l’ablazione).
Richiede una sedazione del paziente meno profonda.
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