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Decreto Milleproroghe e infermieri: quando il “meglio di niente” diventa una strategia di governo

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C’è qualcosa di rassicurante nel Decreto Milleproroghe.

Ogni anno arriva puntuale, come l’influenza stagionale o la carenza di personale. Non cura, non risolve, ma attenua i sintomi. Per un altro po’.

Anche questa volta, per gli infermieri, il messaggio è chiaro: niente rivoluzioni, solo proroghe. Ma attenzione, perché tra le pieghe del decreto qualcosa di buono c’è. Il problema è che arriva sempre con il contagocce, mentre l’emorragia continua.

Le luci: quando lo Stato dice “vi vediamo”

Partiamo dalle notizie positive, che vanno dette senza sarcasmo.

La proroga dello scudo penale fino al 31 dicembre 2026 è un segnale importante. In un sistema dove l’infermiere lavora spesso in condizioni di sottodimensionamento cronico, con turni massacranti e responsabilità crescenti, riconoscere che l’errore non è sempre colpa del singolo è un atto di realismo. Non è un premio. È una presa d’atto.

Anche la possibilità di continuare a lavorare nel privato pur restando nel pubblico, in deroga al vincolo di esclusività, va letta come un’ammissione implicita: gli stipendi non bastano più. Se per trattenere i professionisti bisogna permettere doppi incarichi, significa che il sistema retributivo pubblico ha smesso da tempo di essere competitivo.

E poi c’è la stabilizzazione del personale precario, che suona come musica per chi da anni vive di contratti a termine, proroga dopo proroga, esattamente come il decreto che li governa.

Fin qui, applausi. Ma brevi.

Le ombre: la politica del “tiriamo avanti”

Il problema non è ciò che il Milleproroghe fa. È ciò che non fa, sistematicamente.

Lo scudo penale viene prorogato, ma non si interviene sulle cause che lo rendono necessario: carichi di lavoro ingestibili, rapporti infermiere-paziente fuori da ogni standard europeo, reparti tenuti in piedi con la forza di volontà.
Proteggiamo l’infermiere dall’errore, ma lo lasciamo lavorare nelle stesse condizioni che producono l’errore. Coerenza istituzionale.

La deroga al vincolo di esclusività viene celebrata come opportunità, ma rischia di diventare una normalizzazione del doppio lavoro. Non una scelta, ma una necessità.
Il messaggio implicito è inquietante: “Lo sappiamo che lo stipendio non basta, arrangiatevi”.

Quanto alle stabilizzazioni, bene. Ma perché sempre come misura straordinaria?
Perché in sanità l’ordinario è il precariato e lo straordinario è la sicurezza contrattuale?

La grande assente: una visione

Nel Decreto Milleproroghe manca sempre la stessa cosa: una strategia.

Non c’è una riforma strutturale del lavoro infermieristico.
Non c’è un piano serio sul reclutamento.
Non c’è una valorizzazione economica e professionale stabile.
Non c’è un’idea di carriera che non passi solo dal “resisti abbastanza a lungo”.

C’è solo una politica del rinvio, dove l’emergenza diventa sistema e il sistema diventa emergenza permanente.

Conclusione

Il Decreto Milleproroghe ci dice che qualcosa si muove, ma sempre di lato, mai in avanti.
Ci protegge, ci concede, ci proroga, ma non ci progetta.

E allora gli infermieri devono continuare a vivere di proroghe o è arrivato il momento di una politica che non rinvii più la dignità professionale a un prossimo decreto?

Redazione NurseTimes

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