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Cassazione: “Illecito lo svolgimento contemporaneo di attività lavorativa ordinaria e intramoenia da parte del medico”

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Rilanciamo il commento di Chiara di Lorenzo (Ufficio legislativo Fnomceo) sulla sentenza n. 9877 del 12/03/2021 della seconda sezione penale.

Sentenza sul ricorso proposto da: (Omissis) avverso la sentenza del 08/09/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere(Omissis); udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore (Omissis) che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso L’avv. (Omissis) insiste per l’accoglimento del ricorso RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1.

La Corte di appello di Torino, con sentenza dell’8 settembre 2020 confermava la condanna del ricorrente per il reato di truffa ai danni di un Ente pubblico. Si contestava al ricorrente, primario del reparto di otorinolaringoiatria presso l’ospedale di (Omissis) di avere svolto l’attività intramoenia in violazione della convenzione e fuori dagli orari autorizzati. La violazione della convenzione di lavoro esclusivo e la attestazione falsa delle ore di lavoro effettivo presso l’ospedale di (Omissis) lucravano al ricorrente la percezione della somma erogata per le ore non lavorate (euro 23.219, 405) e quella dell’indennità di lavoro esclusivo (euro 86.350, 65) 2.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva che il ricorrente non era obbligato al rispetto di un orario giornaliero ma solo a quello dell’orario minimo settimanale di trentotto ore e che, comunque, svolgendo una funzione apicale, era vincolato essenzialmente dall’obbligo di risultato; pertanto non sarebbe stato provato l’inadempimento, anche tenuto conto del fatto che alla data di cessazione del rapporto di lavoro, rispetto all’orario minimo risultavano diverse ore di esubero (quasi ottocento). Sarebbe altresì assente la prova del danno.

2.1.1. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente ripropone argomenti già sottoposti al vaglio della Corte di appello senza confrontarsi con il percorso argomentativo posto a fondamento dell’accertamento di responsabilità e, segnatamente, con i passaggi motivazionali che esprimevano le ragioni dell’accertamento del danno. La Corte territoriale rilevava infatti che il danno riferibile alla percezione indebita dell’indennità di esclusiva era già stato accertato con sentenza della Corte dei Conti passata in giudicato. A tale danno, certo anche nel quantum, si aggiungeva quello correlato alla omessa timbrature del cartellino in uscita (univocamente accertata anche attraverso servizi di osservazione della polizia giudiziaria) che, nella valutazione della Corte di merito aveva contribuito a facilitare il raggiungimento del monte contrattuale di trentotto ore settimanali.

La Corte di appello, con valutazione di puro merito non rivalutabile in questa sede in quanto priva di illogicità manifeste ed aderente alle emergenze processuali, riteneva che non poteva essere preso in considerazione il preteso esubero di ore maturate dal ricorrente, dato che il conteggio allegato era poco affidabile, tenuto conto che l’imputato aveva l’abitudine di non registrare tutte le uscite ed i successivi rientri. Osservava inoltre che il monte di ottocento ore di preteso esubero era riferibile ai ventidue anni di servizio e che era comunque illegittima l’autocompensazione allegata dato che la stessa, ove fosse stata realmente esistente avrebbe dovuto essere certificata ed autorizzata dal datore di lavoro. Si tratta di una motivazione priva di vizi logici, coerente con le emergenze processuali e che non risulta in alcun modo incisa dalle doglianze difensive che si limitano a riproporre quelle già avanzate con l’atto di appello e ad invocare una rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove che non rientra nella cognizione del giudice di legittimità.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo: le visite effettuate fuori dall’ospedale venivano regolarmente comunicate all’Asl di appartenenza che poteva effettuare i relativi controlli; il sistema di prenotazione e di rendicontazione delle visite ostavano pertanto alla progettazione della azione fraudolenta contestata, destinata ad essere inevitabilmente rilevata attraverso il controllo delle prenotazioni; tale situazione sarebbe incompatibile con il riconoscimento dell’elemento soggettivo.

2.2.1 Anche in questo caso il motivo è inammissibile dato che (a) si propone alla Corte di legittimità una valutazione delle emergenze processuali antagonista rispetto a quella effettuata dai giudici di entrambi i gradi di merito, senza indicare vizi logici manifesti o decisive discrasie tra prova raccolta e prova valutata; (b) non viene effettuato alcun doveroso confronto con gli argomenti posti dalla Corte di merito a sostegno dell’accertamento dell’elemento soggettivo. La Corte di merito ha ritenuto infatti che la prova della consapevolezza degli illeciti si ricavava in modo univoco dal fatto che il ricorrente aveva provveduto a correggere i tabulati delle presenze con annotazioni a mano: il che dimostrava che lo stesso era pienamente consapevole del fatto che le due attività non potevano essere svolte contemporaneamente. Si tratta di argomento decisivo, coerente con le emergenze processuali e non contestato dal ricorrente.

2.3. Violazione di legge in relazione alla dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato previsto dall’art. 55 quinquies TUPI: si deduceva che all’epoca della consumazione del reato (contestato sino al marzo 2013 ) la condotta omissiva non era prevista ed era stata inserita nella fattispecie che disciplina il licenziamento disciplinare (art. 55 quater TUPI) solo nel 2016, sicché il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

2.3.1 La doglianza è inammissibile sia perché manifestamente infondata, sia perché non è indicato in modo specifico l’interesse del ricorrente ad essere assolto nel merito, piuttosto che prosciolto per il decorso del termine di prescrizione. Segnatamente: il collegio ritiene che la Corte di appello ha correttamente escluso la modifica della norma sul licenziamento disciplinare abbia qualche refluenza sulla fattispecie prevista dall’art. 55 quinquies d.lvo n. 165 del 2001; quest’ultima norma punisce penalmente la falsa attestazione della presenza consumata attraverso n qualsiasi attività fraudolenta e, dunque non solo, come ritenuto dal ricorrente, attraverso attività commissive, ma anche attraverso l’omessa timbratura del cartellino in uscita; né può ritenersi che l’interpolazione dell’art. 55 quater del TUPI possa intesa come una azione di interpretazione autentica della estensione dei comportamenti penalmente – e non solo disciplinarmente – rilevanti indicati nell’art. 55 dello stesso testo: si tratta di norme che agiscono in ambiti distinti – disciplinare l’uno, penale l’altro – e del tutto indipendenti.

2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’attenuante del risarcimento del danno: le attenuanti atipiche avrebbero dovuto essere riconosciute in ragione del buon comportamento processuale e della scarsa pericolosità sociale del ricorrente, mentre con l’attenuante del risarcimento avrebbe dovuto essere concessa in ragione dell’esistenza di un accordo transattivo che riguardava l’intero danno, nulla rilevando che il pagamento fosse stato rateizzato.

2.4.1. La doglianza è inammissibile. Con riguardo agli oneri motivazionali gravanti sul giudice di merito in relazione alla concessione delle attenuanti generiche il collegio ribadisce che è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto (Cass. Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Rv. 260415; Cass. Sez. 1 sent. n. 3163 del 28.11.1988 dep. 25.2.1989 rv 180654). Con riguardo alla mancata concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 6) cod. pen. ed alla mancata valorizzazione dell’impegno al pagamento rateale il collegio afferma nuovamente che l’attenuante invocata è concedibile solo se il risarcimento è integrale e preventivo.

Si ribadisce cioè che ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019 Ud. (dep. 19/12/2019 ) Rv. 278368; Sez. 4, Sentenza n. 34380 del 14/07/2011 Ud. (dep. 20/09/2011 ) Rv. 25150).

Di contro nessun effetto ha l’impegno a risarcire ratealmente: il collegio sul punto intende dare continuità alla giurisprudenza secondo cui la circostanza attenuante della riparazione del danno non trova applicazione qualora il risarcimento sia corrisposto ratealmente poiché, trattandosi di un ristoro futuro ed aleatorio, lo stesso non è integrale ed effettivo (Sez. 6, Sentenza n. 830 del 25/11/1982 Ud. (dep. 29/01/1983) Rv. 157175) 2.4. Violazione di legge: la sospensione del termine di prescrizione non sarebbe di centotrentasei giorni, come ritenuto dai giudici di merito, ma solo di diciannove, con la conseguenza che il termine massimo di prescrizione sarebbe spirato il 19 ottobre 2020.

2.4.1. la invocata anticipazione del termine di prescrizione sposta il termine di estinzione ad una data comunque successiva a quella della pronuncia della sentenza impugnata che risale all’8 settembre 2020. Si ribadisce che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’articolo 581 cod. proc. pen., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen. (cfr.: Cass., Sez. Un., n. 21 del 11.11.1994 dep. 1995, rv 199903; Cass. Sez. Un., n. 32 del 22.11. 2000, rv 217266).

2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in € 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione Nurse Times

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