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Amministrazione di sostegno: aspetti giuridico – professionali

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Amministrazione di sostegno: aspetti giuridico - professionali
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Grazie alla pubblicazione della L. 6/2004 e delle successive riforme degli articoli 404 e ss. del codice civile in tema di interdizione e inabilitazione, la cura della persona e dei suoi interessi morali può essere demandata alla figura dell’Amministratore di Sostegno (ADS).

Lo scopo dell’istituzione dell’ADS, come indicato nella norma sopra richiamata, è di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana attraverso interventi di sostegno temporaneo o permanente.

Tale istituto va a rivoluzionare quello dell’interdizione e dell’inabilitazione. Infatti,  con l’interdizione il soggetto non può compiere atti giuridicamente validi, che vengono posti in essere a suo nome, per suo conto e nel suo interesse da parte del tutore nominato dall’autorità giudiziaria.

Con l’inabilitazione, invece, l’inabilitato può compiere autonomamente solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli straordinari necessita l’assistenza di un curatore nominato dall’autorità giudiziaria.

Entrambi gli istituti non possono essere emanati in presenza di malattie psichiche, anche se persistenti nel tempo, che comportino episodi di compromissione cognitiva, solo momentanei, fra lunghi periodi di equilibrio, senza che possa avere rilievo un reale pericolo di ricadute.

L’ADS rientra, invece, nell’ambito del progetto personalizzato per la persona fragile, la sua scelta infatti avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del beneficiario e risulta uno strumento flessibile e modificabile in relazione all’interesse della persona. L’ambito di applicazione dell’ADS è la maggiore possibilità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di tale soggetto, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore facilità della procedura applicativa.

La designazione di una persona come amministratore di sostegno deve essere effettuata in base all’art. 408 del codice civile che prevede che “l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria futura incapacità”, non ha la mera funzione di comunicare la scelta del soggetto che, qualora se ne presenti la necessità, deve essere nominato dal giudice tutelare quale amministratore, salva l’esistenza di “gravi motivi” ostativi al riguardo.

Questa scelta anticipata, infatti, può avere anche la finalità di indicare, quando si è ancora nella pienezza delle proprie facoltà, le direttive sulle decisioni sanitarie e/o terapeutiche che si desidera vengano attuate da chi verrà chiamato a ricoprire l’incarico di amministratore di sostegno nel momento in cui il designante sia divenuto incapace.

In pratica, l’art. 408 del codice civile è una norma che ribadisce il principio di autodeterminazione personale, derivante dall’art. 32 della Costituzione Italiana, e, quindi, questa prospettiva intende valorizzare il rapporto di fiducia tra designante e designato, con la conseguenza che quest’ultimo sarà tenuto a seguire le intenzioni espresse dal primo soggetto circa gli interventi non solo di natura patrimoniale ma, anche, personale che si dovessero rendere necessari se qualora si verificasse la condizione di incapacità.

Questi principi sono stati affermati dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella recente sentenza n. 14158/17, depositata a Giugno 2017, con la quale è stato riconosciuto sul piano procedurale il diritto di impugnare il provvedimento del giudice tutelare di rigetto della richiesta di un amministratore di far valere le direttive ricevute da un soggetto prima di divenire incapace, con particolare riferimento alle terapie e ai trattamenti da accettare o rifiutare in virtù della propria fede religiosa di testimone di Geova.

La Suprema Corte ha affermato che la normale volontarietà delle cure è sancita, come già detto, dall’art. 32 della Costituzione, in coerenza con i principi fondamentali d’identità e libertà della persona umana di cui agli artt. 2 e 32 della nostra Costituzione, e che ciò assume connotati ancora più forti, degni di tutela e di garanzia, laddove la scelta o il rifiuto del trattamento sanitario sia connesso all’espressione di una fede religiosa il cui libero esercizio è sancito dall’art. 19 della Costituzione.

In ambito sanitario la nuova normativa trova applicazione nei confronti di una vasta tipologia di persone, ad esempio di soggetti affetti da morbo di Alzheimer, demenza senile, ictus, coma o patologie psichiche che rendono la persona non in grado di manifestare un consapevole consenso.

Inoltre, anche se la normativa non considera l’età avanzata del beneficiario come requisito per la nomina di un ADS, tale nomina può essere compiuta quando l’età determini una limitazione funzionale delle normali funzioni della vita quotidiana. L’amministrazione può avere durata temporanea individuata a periodo fisso salvo proroga quando vi sia la necessità di fornire il consenso al compimento di atti terapeutico-sanitari o interventi chirurgici, o in caso di forme non transitorie susseguenti ad esiti post-traumatici comatosi a prognosi infausta, o, ancora, nel caso di soggetti molto anziani affetti da disturbi ingravescenti (Alzheimer, demenze) rispetto ai quali l’interdizione avrebbe un contenuto sostanzialmente “afflittivo” e per nulla “protettivo”.

Il procedimento di nomina di ADS si avanza al Giudice Tutelare (del domicilio o della residenza del beneficiario) mediante la presentazione di ricorso in cui verranno indicate le specifiche ragioni cliniche, fisiche, sociali, etc per cui si ritiene necessaria tale nomina.

Il ricorso può essere presentato sia dal beneficiario (che può indicare il nominativo del proprio amministratore in vista della propria eventuale e futura incapacità) che da coniuge, convivente stabile, figli, parenti entro il 4 ° e affini entro il 3° grado, Pubblico Ministero nonché dai responsabili dei servizi sanitari e sociali.

Il ricorso potrà essere presentato dalla struttura sanitaria anche con procedura d’urgenza, abbreviando i termini previsti di 60 giorni per l’emissione del decreto motivato di nomina di ADS provvisorio, al fine di garantire la continuità nella cura della persona.

Tale intervento potrà poi essere inserito, attraverso un articolato provvedimento del Giudice Tutelare, in un più ampio percorso di sostegno che non si limiti alla valutazione della possibilità di effettuazione del singolo atto terapeutico, al fine di garantire un coordinamento giuridicamente rilevante di più competenze, permettendo, per quanto possibile e necessario, l’intervento di sostegno anche al recupero da parte del beneficiario di possibili spazi di autonomia.

La nomina della persona dell’ADS sarà poi opportunamente valutata dal Giudice Tutelare ed il decreto di nomina dovrà contenere l’indicazione della durata e dell’oggetto dell’incarico, degli atti che ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, degli atti che il beneficiario può compiere solo con assistenza, dei limiti delle spese che può sostenere con l’utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità, della periodicità con cui deve riferire al Giudice Tutelare circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.

Tra i compiti specifici dell’ADS in ambito sanitario, affidatogli dal Tribunale vi è quello di manifestare il consenso ai trattamenti sanitari e terapeutici. All’amministratore possono essere demandati i poteri-doveri di scegliere, in nome e per conto della persona beneficiaria, le terapie ritenute più idonee per la tutela e la cura della salute, sia fisica che psichica, della persona, tenendo informato il Giudice Tutelare in merito alle scelte effettuate.

Anche nella normativa internazionale (art. 6 Convenzione di Oviedo) si legittima la sostituzione nella prestazione del consenso nel caso in cui il soggetto non abbia la “capacità di prestarlo”.

L’ADS potrà avere un ruolo rilevante anche nella decisione di un ricovero presso una struttura protetta, con il consenso ove possibile del beneficiario, o degli altri familiari qualora presenti, ed al suo mantenimento nella stessa in modo permanente. Nel caso in cui il paziente non fosse in grado di manifestare una propria volontà potrà essere inserito in una struttura protetta con carattere di permanenza.

 

Carmelo Rinnone

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