Il 2 dicembre ci ha lasciati Luciano Gattinoni, a 79 anni. Non voglio dilungarmi nel descrivere chi fosse per il mondo dell’anestesia e della rianimazione.
Di questo parleranno gli amici, i colleghi e tutti coloro che hanno avuto l’onore di lavorare al suo fianco. Io voglio raccontarvi una storia, la mia storia. Una storia che rappresenta l’impatto che Gattinoni ha avuto sulle vite di tanti, anche senza averlo mai conosciuto di persona.
Ero un infermiere in una terapia intensiva polivalente. Una sera, durante il cambio turno, arriva quello che definiamo un “brutto malato”: una donna di circa 1 metro e 60, affetta da una polmonite gravissima.
I miei colleghi, conoscendo la mia passione per la ventilazione meccanica, mi chiedono di controllare i parametri del ventilatore.
Mi avvicino al letto e subito capisco la gravità della situazione: FiO2 al 90%, PaO2 a 55 mmHg, volume corrente sotto i 6 ml/kg, e una pressione plateau di 42 cmH2O.
Per chi non lavora in terapia intensiva, questo significa ossigenazione scarsa e ventilazione non in sicurezza. Mi informo su chi sia il medico di guardia, perché la collaborazione è fondamentale in momenti come questi. Per fortuna, il medico era una persona aperta al confronto con gli infermieri. Ricordo ancora le sue parole:
“Mattia, tu sei bravo in queste cose. Dimmi cosa faresti e perché, e procediamo insieme.”
Tutto ciò che abbiamo fatto quella notte per salvare quella paziente è stato guidato dalle conoscenze trasmesse da Luciano Gattinoni. Grazie ai suoi articoli scientifici, abbiamo imparato a ventilare in modo protettivo, a gestire situazioni critiche, a guadagnare tempo prezioso per il paziente e a minimizzare i danni iatrogeni. Gattinoni ci ha insegnato che buona medicina e buona economia vanno di pari passo.
Ha rivoluzionato il mondo della terapia intensiva, introducendo la posizione prona, una tecnica che ha salvato milioni di vite durante la pandemia di COVID-19. E non è stato solo questo: la sua mente brillante ha lasciato un segno indelebile su generazioni di clinici e ricercatori.
La sua scomparsa è una perdita incommensurabile.
Ma il suo insegnamento vive in ogni ventilatore impostato correttamente, in ogni vita salvata grazie alle sue intuizioni. Posso dire con orgoglio di aver vissuto e lavorato nell’era di Luciano Gattinoni.
Prima di lasciarci, il Professore ci ha consegnato un’ultima lezione: “Un giovane ricercatore, se vuole fare davvero ricerca sulla fisiopatologia, può farlo perché non richiede tanti soldi, ma conoscenza, pazienza, passione e intelligenza. E, soprattutto, richiede la capacità di guardare la realtà con gli occhi di un bambino.”
Grazie, Professore. Grazie di tutto.
Mattia Fama
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