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Una pressione di plateau al di sotto dei 30 cmH2O non significa protezione

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Una pressione di plateau al di sotto dei 30 cmH2O non significa protezione
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Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura di Mattia Fama, infermiere in area critica e docente universitario per attività seminariale.

È difficile in poche righe semplificare questo argomento, ma vorrei provare a farlo perché è di vitale importanza per i nostri pazienti che hanno sviluppato un’ARDS grave. Chi di noi lavora tutti i giorni in terapia intensiva, ha a che fare con le curve della ventilazione meccanica e in particolare con il ventilatore, sa benissimo che il limite di pressione da non oltrepassare mai quando si ventila un paziente in ventilazione meccanica, è di 30 cmH2O.

Mi spiego meglio: se la pressione all’interno dell’alveolo polmonare supera i 30 cmH2O alla fine di un’inspirazione, il paziente potrebbe andare incontro a un danno. Tutti noi siamo cresciuti con questo dogma e per anni si è pensato che tutti i cambiamenti pressori erano dovuti solo al cambiamento del polmone, ma non è così.

Quando il ventilatore introduce una pressione all’interno delle vie aeree, una parte di essa viene spesa per espandere il polmone e una parte di essa per spostare quello che c’è al di fuori del polmone. Immaginate di gonfiare un palloncino con la vostra bocca: l’aria esercita una pressione all’interno del palloncino; tuttavia un ostacolo al gonfiaggio del palloncino, seppur in questo caso minimo, è rappresentato dalla pressione atmosferica che si trova all’esterno del palloncino. Una parte della vostra fatica nel gonfiare il palloncino sarà quindi spesa per espandere il palloncino e una parte per spostare la miscela di aria presente nell’atmosfera all’esterno del palloncino, che si oppone al gonfiaggio.

Pensiamo adesso di connettere al ventilatore una donna gravida, un paziente obeso o un paziente con un’ipertensione intra-addominale. Capiamo benissimo che la pressione esercitata direttamente sul polmone potrebbe ridursi notevolmente poiché il feto, il tessuto adiposo o un’elevata pressione in addome potrebbe essere un ostacolo all’espansione del polmone causando ipoventilazione. Allo stesso modo su un altro paziente una pressione alveolare di 30 cmH2O potrebbe rivelarsi dannosa esponendo il polmone a rischio di sovradistensione e stress.

Fortunatamente esiste uno strumento in grado di aiutarci a capire quanta pressione si spende sul polmone e quanta ne si esercita per spostare quello che c’è all’esterno di esso, e quindi eseguire quello che in linguaggio tecnico si chiama partizionamento della meccanica respiratoria. Questo strumento si chiama sondino esofageo ed è un presidio utilizzato principalmente in terapia intensiva per ottimizzare la ventilazione meccanica e proteggere il polmone.

Posizionando questo presidio possiamo dividere le due pressioni e conoscere quanta pressione viene esercitata direttamente sul polmone e quanta ne viene esercitata al di fuori del polmone. La pressione esercitata direttamente sul polmone si chiama pressione transpolmonare e ad oggi il limite da non superare è di 20 cmH2O.

Tuttavia si sono verificati casi di sovradistensione anche a valori inferiori e quindi in via precauzionale si potrebbe pensare di abbassare il valore soglia a 15 cmH2O. Teniamo anche in mente che per i pazienti più gravi potrebbe non esistere una ventilazione sicura e, non potendo dunque garantire protezione al polmone, l’alternativa è la circolazione extracorporea veno-venosa.

Concludo ricordando che la ventilazione meccanica è uno strumento di supporto: permette al paziente di sopravvivere finché guarisce e quindi vale la regola del primum non nocere, secundum cavere, tertium sanare. E’ in quest’ottica che è doveroso ricordare a noi infermieri che facciamo monitoraggio, che è più importante proteggere il paziente da un possibile danno, che perseguire il mito di un’emogasanalisi perfetta, specialmente quando si tratta di aumentare le pressioni mettendo a rischio il polmone.

Mattia Fama
Infermiere in area critica
Dipartimento Terapie intensive, anestesiologia e terapia del dolore
Azienda Usl di Piacenza
Docente per attività seminariale
Dipartimento di Scienze Chirurgiche Università di Parma

Bibliografia:

1. Bulleri E (marzo 16, 2019). La pressione esofagea: applicazioni cliniche. https://triggerlab.org/2019/03/16/la-pressione-esofagea-applicazioni-cliniche/

2. Bulleri E (ottobre 19, 2018). La pressione esofagea: posizionamento e verifica.https://triggerlab.org/2018/10/19/la-pressione-esofagea-parte-1/

3. Gattinoni L, et al. Bench-to-bedside review: chest wall elastance in acute lung injury/acute respiratory distress syndrome patients. Crit Care. 2004 Oct; 8(5):350-5

4. Gattinoni L, et al. Physical and biological triggers of ventilator-induced lung injury and its prevention. Eur Respir J Suppl 2003;47:15s–25s.

5. Grieco DL, et al. Transpulmonary pressure: importance and limits. Ann Transl Med 2017; 5(14):285.

6. Jonkman AH, Telias I, Spinelli E, Akoumianaki E, PiquilloudL. The oesophageal balloon for respiratory monitoring in ventilated patients: updated clinical review and practical aspects. Eur Respir Rev. 2023 May 17;32(168):220186. 

7. Mauri T, et al. Esophageal and transpulmonary pressure in the clinical setting: meaning, usefulness and perspectives.Intensive Care Med 2016; 42:1360–1373.

8. Owens W. The ventilator book. Third Edition. Published by arrangement with William Owens. 202:71-90

9. Piccione RC, Maio E. ECMO manuale pratico dell’assistenza in extracorporeal membrane oxygenation.  Piccin-Nuova Libraria 2021:21-34

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