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Cassazione: licenziamento legittimo anche per fatti gravi scoperti dopo l’assunzione

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Disabile trattato in modo "disumano": per la Cassazione scatta il reato di tortura
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La Corte di Cassazione è tornata a esprimersi su un tema delicato e ricorrente nel diritto del lavoro: è possibile licenziare un dipendente per fatti gravi commessi in passato, ma scoperti solo dopo l’instaurazione di un nuovo rapporto?

La risposta, come ribadito in una recente ordinanza, è sì, a patto che tali comportamenti ledano in modo irreparabile il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore.

Il caso riguardava un portalettere assunto nel 2006 da una società operante nel settore postale. Nel 2015, durante una perquisizione nella sua abitazione, le Forze dell’Ordine avevano scoperto quasi 8.000 plichi postali mai consegnati, risalenti agli anni 2007 e 2008. Tra questi vi erano anche atti giudiziari e raccomandate. La società, appreso il fatto, aveva avviato un procedimento disciplinare culminato nel licenziamento per giusta causa.

Il lavoratore aveva però impugnato il provvedimento, sostenendo che i fatti si riferivano a un precedente contratto ormai cessato e che il rapporto attuale, nel frattempo avviato con lo stesso datore, doveva considerarsi autonomo. Aveva inoltre richiamato problemi personali e psicologici vissuti in quegli anni, chiedendo una sanzione meno severa.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere gli aveva dato ragione, ordinandone la reintegrazione. Ma in appello, la decisione è stata ribaltata: la Corte di Napoli ha ritenuto legittimo il licenziamento, valutazione poi confermata in via definitiva dalla Cassazione.

Per i giudici supremi, non è rilevante che i comportamenti contestati siano avvenuti prima della sottoscrizione del contratto attuale. Ciò che conta è l’impatto che tali fatti, se gravi e conosciuti solo successivamente, possono avere sul rapporto fiduciario. In casi come questo, dove il lavoratore aveva scientemente sottratto e occultato la corrispondenza – venendo meno ai più basilari doveri di diligenza e correttezza – il datore è legittimato a interrompere il rapporto.

La Corte ha sottolineato che difficoltà personali o psicologiche non possono giustificare simili comportamenti, tanto più in assenza di una documentata incapacità mentale. Il lavoratore, secondo i giudici, avrebbe potuto ricorrere a strumenti legittimi come i permessi o l’astensione per malattia, non certo accumulare plichi postali in casa.

Nessun rilievo ha avuto nemmeno la contestazione di una sanzione sproporzionata: il contratto collettivo applicabile (CCNL Poste) prevede il licenziamento per fatti di particolare gravità, e nel caso di specie la fiducia nei confronti del dipendente era stata irrimediabilmente compromessa.

Con questa decisione, la Cassazione ribadisce un principio ormai consolidato: anche fatti anteriori all’assunzione possono giustificare il licenziamento, se scoperti successivamente e se tali da ledere il rapporto fiduciario. Una linea rigorosa, ma coerente con la centralità della fiducia nel mondo del lavoro.

Redazione NurseTimes

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