Era il 1882 quando lo studente di medicina Philippe Gaucher diede per la prima volta un’identità nosografica alla patologia da accumulo lisosomiale che, negli anni a seguire, cominciò a essere riportata con il suo nome, ossia malattia di Gaucher. Nei due secoli successivi, i rapidi progressi della biologia molecolare, lo sviluppo di nuove tecnologie e la dedizione di migliaia di studiosi hanno permesso una conoscenza sempre più approfondita di questa condizione. Tuttavia, nonostante i passi avanti compiuti, la corretta individuazione della malattia di Gaucher rappresenta ancora un nodo critico e i ritardi diagnostici sono ancora frequenti.
Come accade per molte altre malattie rare, a mancare è la consapevolezza dell’esistenza stessa della Gaucher o il sospetto che determinati sintomi possano essere riconducibili proprio alla malattia. “Per questo, all’IRCCS Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna abbiamo ideato “Don’t let it slip”: un opuscolo informativo – semplice e immediato, quanto rigoroso dal punto di vista scientifico – in grado di supportare i clinici nella diagnosi”, spiega il dottor Antonio de Vivo, dirigente medico dell’Unità operativa di Ematologia all’Istituto ospedaliero bolognese.
UNA MALATTIA DA ACCUMULO LISOSOMIALE
La malattia di Gaucher è rara patologia ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva, correlata a un deficit dell’enzima glucocerebrosidasi (GCase) e, in alcuni casi, da una carenza dell’attivatore proteico di GCase, la saposina C. Stando a quanto riportato nello Human Gene Mutation Database (HGMD), ad oggi sono state identificate oltre quattrocento mutazioni genetiche associate a variazioni nell’espressione della glucocerebrosidasi.
Questo enzima è presente in tutte le cellule ed è grazie alla sua funzione catabolica che i glucosilceramidi, e altri glicolipidi, vengono scissi in zuccheri e grassi riutilizzabili dall’organismo. Pertanto, il deficit di GCase provoca un dannoso accumulo di glucosilceramidi non degradati a livello di diversi organi, tipicamente fegato, milza, polmoni, cervello e midollo osseo, con conseguenze anche molto gravi.
RARA, MA NON RARISSIMA
Considerata la più comune tra le patologie da accumulo lisosomiale, la malattia di Gaucher ha una prevalenza di circa un caso su 40.000-60.000 individui nella popolazione generale, ma arriva a contare un caso ogni 850 individui tra gli ebrei con discendenza ashkenazita. “Si tratta di numeri importanti per una malattia classificata come ‘rara’: questo conferma ulteriormente la necessità di sensibilizzare i clinici sulla patologia, migliorando la consapevolezza della condizione e la conseguente capacità di diagnosticarla”, afferma il dottor de Vivo.
UNA DIAGNOSI COMPLICATA
A rendere particolarmente complessa la diagnosi della malattia di Gaucher è l’estrema variabilità fenotipica della patologia, tanto che essa può essere considerata più come uno spettro di condizioni patologiche che come una singola entità. “La sintomatologia è molto eterogenea – precisa De Vivo – e le varie forme cliniche possono spaziare da quelle letali a pochi mesi dalla nascita fino a quelle lievi o totalmente asintomatiche”.
A seconda del grado di coinvolgimento neurologico e dell’età di insorgenza, si possono distinguere tre diverse tipologie cliniche di Gaucher. Le forme più gravi, il tipo 2 e 3, sono anche le più rare: esordiscono generalmente in età pediatrica e presentano un importante coinvolgimento neurologico. Il tipo 1, invece, con il 90% dei casi, è la forma più frequente: interessa quasi esclusivamente gli organi viscerali (milza, fegato, polmoni), il midollo e il sistema scheletrico, anche se, negli ultimi anni, sono state raccolte prove crescenti di un possibile lieve coinvolgimento neurologico.
“Le principali manifestazioni della Gaucher includono splenomegalia (ingrossamento della milza privo di causa apparente), piastrinopenia e iperferritinemia (sovraccarico di ferro). Per questa ragione, tra i vari specialisti che costellano l’iter diagnostico dei pazienti, almeno una volta viene coinvolto l’ematologo”, spiega il dottor de Vivo.
IL PROGETTO “DON’T LET IT SLIP”
Dal racconto dei pazienti affetti da malattia di Gaucher emerge che tutti, prima dell’individuazione della patologia, si sono sottoposti ad almeno una visita da un ematologo o un internista. Queste due figure, quindi, risultano attori fondamentali della diagnosi ed è proprio a loro che è principalmente indirizzato l’opuscolo “Don’t let it slip”.
“Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il dottor Giovanni Marconi, dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori ‘Dino Amadori’ di Meldola, il dottor Nicola Tumedei, dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria Istituto di Ematologia ‘L. e A. Seràgnoli’ di Bologna, la dottoressa Elisa Lucchini, dell’UCO di Ematologia dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina di Trieste, la dottoressa Maria Chiara Finazzi, dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la dottoressa Ilaria Maria Burgo, dell’Ospedale ‘L. Sacco’ di Milano, il dottor Gian Luca Forni, del Centro microcitemia, anemie congenite e dismetabolismo del ferro dell’Ospedale Galliera di Genova, e la dottoressa Silvia Linari, della SODc Malattie emorragiche e della coagulazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze”, racconta l’ematologo.
“Don’t let it slip” è un semplice foglio in formato A3, ripiegabile, ma la potenza di questo strumento risiede proprio nel suo essere ‘portatile’. “Si può tenere nel portafoglio o in tasca, si può appendere al muro o conservare sul cellulare in formato digitale – afferma il dottor De Vivo -. All’interno si può trovare una breve spiegazione della malattia di Gaucher e, mutuato da uno studio internazionale, un elenco di quelli che sono i criteri di diagnosi, maggiori (splenomegalia, piastrinopenia, iperferritinemia o storia familiare di malattia) e minori (anemia, astenia, lesioni ossee, aumento delle gamma-globuline, tempo prolungato di sanguinamento), nonché una lista di altri possibili sintomi concomitanti (osteopenia, stipsi, ipersplenismo, infezioni ricorrenti, ecchimosi, ecc.)”.
E ancora: “A partire dai tre criteri maggiori – splenomegalia, piastrinopenia e iperferritinemia – abbiamo creato, in parte modificando e integrando materiale già noto, tre algoritmi diagnostici, esemplificati nel volantino grazie a tre diversi diagrammi di flusso, che possono aiutare i clinici a capire quando è necessario sottoporre i pazienti al test per la Gaucher. Inoltre, in collaborazione con la dottoressa Silvia Linari, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, abbiamo realizzato un paragrafo finale incentrato sui problemi della coagulazione. Spesso, infatti, alla malattia di Gaucher si associano disturbi emorragici che non vanno sottovalutati”.
IL VALORE DI UNA DIAGNOSI TEMPESTIVA
Il test diagnostico per l’individuazione della malattia di Gaucher è economico e di facile esecuzione: bastano un buchino sulla punta del dito e dieci gocce di sangue su carta bibula (Dried Blood Spot, DBS). “La semplicità di questo test rende ulteriormente evidente la necessità di promuovere un’adeguata consapevolezza della Gaucher tra medici e specialisti, affinché le persone affette dalla malattia possano beneficiare di una diagnosi il più possibile tempestiva”, afferma il dottor De Vivo.
Infatti, la diagnosi è fondamentale non solo per i pazienti che verranno sottoposti a terapia, enzimatica, chelante o di riduzione del substrato, ma anche per coloro che non necessitano di trattamento. “La diagnosi, infatti, rappresenta lo strumento più valido che abbiamo a disposizione per contribuire a ridurre le forme inappropriate di assistenza e le possibili complicazioni”, afferma risoluto il dottor de Vivo.
E aggiunge: “Soprattutto in passato, infatti, i pazienti che presentavano splenomegalia in assenza di altre evidenze di malattia – condizione spesso erroneamente denominata come sindrome di Banti – venivano sottoposti a splenectomia, intervento non solo inutile, ma anche dannoso. La milza, infatti, rappresenta l’unica ‘barriera’ in grado di arginare l’espansione della patologia che, in sua assenza, comincia a intaccare gli altri organi. Alcuni pazienti, inoltre, venivano sottoposti a prolungate terapie steroidee, che non facevano altro che peggiorare il quadro di osteoporosi e la suscettibilità alle infezioni. Infine, non erano rari i casi di procedure invasive, come le biopsie osteomidollari, inutilmente pericolose nel caso di pazienti con aumentato rischio emorragico”.
Infine, una diagnosi accurata e tempestiva è fondamentale per tutelare il paziente anche dal punto di vista economico, visto che le persone affette da malattia di Gaucher hanno diritto a un codice di esenzione specifico (RCG080) che le esonera dal pagamento di determinate prestazioni sanitarie.
“Il nostro obiettivo è diffondere il più possibile questo libretto, dandogli la massima visibilità – conclude il dottor de Vivo -. Dato che l’Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola-Malpighi, in quanto facente parte delle reti ERN, è un Centro di riferimento per le malattie rare ufficialmente riconosciuto a livello europeo, contiamo di rendere liberamente disponibile il nostro opuscolo ‘Don’t let it slip’ anche al di fuori dell’ambito nazionale”.
Clicca QUI per scaricare l’opuscolo “Don’t let it slip”.
Redazione Nurse Times
Fonte: OMAR – Osservatorio Malattie Rare
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