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Vaccino anti-Covid, obbligo per personale sanitario è costituzionalmente legittimo

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Sanitari e obbligo vaccinale: sostegno al Governo da Consulta e Consiglio di Stato
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Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 14 del 2023. Anelli (Fnomceo): “Riconosciute le ragioni della scienza e della tutela della salute collettiva”.

L’obbligo del vaccino anti-Covid per il personale sanitario non costituisce una misura irragionevole né sproporzionata se l’obiettivo è quello di prevenire la diffusione del virus e di salvaguardare la funzionalità del sistema sanitario. Lo stabilisce la Corte Costituzionale con la sentenza n. 14 del 2023, definendo “non fondata” la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. L’obbligo vaccinale era stato introdotto dal Governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e per gli over 50. Dal 1° novembre 2022 non c’è più.

Dello stesso tenore anche le altre due sentenze depositate quasi contestualmente: la n. 15 del 2023 sui lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, e la n. 16 del 2023 sul ricorso al Tar di una psicologa sospesa dall’esercizio della professione sanitaria per non essersi vaccinata. Inoltre la previsione per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2, anziché di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (tampone), non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili.

In risposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova la Corte ha quindi affermato che la normativa censurata ha operato un “contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione”. 

Secondo la Corte, “il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini”.  La mancata osservanza dell’obbligo vaccinale – ricorda poi la Consulta – ha riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio. 

La sentenza ha ritenuto “non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza” anche la scelta legislativa di non prevedere, per i lavoratori del settore sanitario che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola. I giudici, infatti, hanno considerato tale scelta “giustificata dal maggior rischio di contagio, sia per sé stessi che per la collettività, correlato all’esercizio delle professioni sanitarie”. 

Come emerge dall’analisi comparata, del resto, “misure simili sono state adottate anche in altri Paesi europei”, continua la Corte. Nella sua pronuncia, in particolare, la Corte ha chiarito, sempre in linea con la propria giurisprudenza, che “il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all’indennizzo”.

La sentenza, infine, ha sancito che quanto previsto dalle norme censurate – secondo cui al lavoratore che avesse scelto di non sottoporsi alla vaccinazione non erano dovuti, nel periodo di sospensione, la retribuzione ne’ altro compenso o emolumento – ha giustificato anche la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio.

La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare. Casi, questi ultimi, in cui l’assegno alimentare può essere erogato.    In particolare, la Corte ha escluso che fosse costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l’erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.

“Le sentenze depositate dai giudici della Corte Costituzionale in materia di obbligo vaccinale costituiscono un grande riconoscimento delle ragioni della scienza e della tutela della salute collettiva – ha commentato Filippo Anelli, presidente della la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli dontoiatri (Fnomceo) -. Tali ragioni, del resto, sono state testimoniate dall’adesione della stragrande maggioranza degli italiani, che si sono sottoposti alla vaccinazione, e dai 470mila medici e odontoiatri italiani che hanno adempiuto all’obbligo vaccinale: il 99,2%, ossia la quasi totalità”.

Sempre Anelli: “La Corte ha ritenuto che la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non possa ritenersi né irragionevole né sproporzionata. E questo alla luce dei dati epidemiologici e delle evidenze scientifiche disponibili. La Corte ha ribadito con chiarezza che l’articolo 32 della Costituzione affida al legislatore il compito di contemperare il diritto alla salute del singolo con il coesistente diritto degli altri e quindi con l’interesse della collettività. E ciò in considerazione del rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Today.it

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